Galleria, un degrado senza fine che stringe il cuore tra nidi di piccioni fioriere imbrattate, erbacce e cestini stracolmi di rifiuti
Vista la tranquillità del luogo, ormai deserto, in Galleria XXV Aprile ha nidificato anche un piccione. Ha costruito il suo nido sull’architrave di gusto vagamente neoegizio che chiude la vetrinetta con le locandine degli ultimi film in programmazione. Pessimo indizio. D’altronde indizi del degrado in cui versa la galleria, possiamo trovarne ovunque. Basterebbero questi segnali da soli a spiegare il motivo della disaffezione dei cremonesi. Ad iniziare dall’ingresso sul vertice di nord ovest, quello posizionato sul crocicchio dove inizia la “rambla” di corso Campi. Ogni crocicchio dovrebbe costruire, di per sé, luogo di incontro e di aggregazione. Ma qualcuno avrebbe veramente voglia di sostare tra due fioriere perennemente lordate dalle deiezioni dei nostri amici quattrozampe, tra l’erba che cresce negli anfratti dei marciapiedi, tra cavi che scendono dai muri come improbabili liane urbane, sui logori gradini alti una trentina di centimetri che costituiscono l’unico ingresso, per molti insormontabile, alla galleria o sull’asfalto sconnesso e crepato di via Guarneri del Gesù? Vogliamo lanciare un sguardo all’interno? Davvero vogliamo percorrere quella vasca su cui incombe una rete stracolma di guano? Anche l’ingresso alla rambla del salotto buono non è da meno: cestini stracolmi di rifiuti che nessuno vuota, cartoni accumulati disordinatamente sui resti di un dimenticato arredo urbano. E questo è il centro storico. Il centro commerciale, pulsante di vita, dove le vetrine oscurate sono un pugno allo stomaco, dove anche il passeggiare diventa angosciante, e non solo per le mascherine, il distanziamento sociale, o la pandemia. L’emergenza covid non può rappresentare la scusante buona per giustificare la sciatteria in cui versa ormai il centro della città, abbandonato a se stesso. Un centro dove anche le iniziative immobiliari in cantiere, vera boccata d’ossigeno, rischiano di essere penalizzate dal contesto che le circonda. Un città triste, annichilita e rassegnata. Non c’è sentimento peggiore della rassegnazione, ma è quello che oggi si avverte in modo palpabile proprio nelle zone dove fino a qualche anno fa si sentiva scorrere la vita. E questo che davvero vogliamo? A leggere le cronache dell’inaugurazione viene da chiedersi se davvero sono passati solo 80 anni. Le cronache del tempo descrivono il nuovo palazzo delle Assicurazioni come “il maggior edificio civile di carattere monumentale sorto dopo il Medioevo”. Dopo la demolizione delle antiche preesistenze, tra cui il bar Roma, alcune botteghe di liuteria, compresa quella di Antonio Stradivari, e altre attività artigianali, il complesso venne realizzato dal 1930 al 1934 con uffici e locali commerciali. “Vi sono 5 livelli rivestiti di marmi diversi, fra cui il granito rosso di Baveno per le colonne dell’interno; la galleria è lunga 75 metri e larga 10, con 130 metri di portici. Attraverso un ingresso angolare da via Gramsci e dai portici di Piazza Roma, il percorso della galleria magnetizza i visitatori e li porta nella luce zenitale dell’interno, realizzata per la prima volta in Italia, con una copertura in vetrocemento. La torre, alta più di 50 metri, rivestita in travertino, domina il complesso, che ha una matrice neoclassica, mentre la pianta diagonale della Galleria lega il tessuto ortogonale del centro storico”. Dov’è finito tutto questo?
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commenti
Michele de Crecchio
26 marzo 2021 21:19
In realtà, veramente bella, la nostra galleria, con il suo triste assetto da "androne cimiteriale", non è stata mai. Vederla però così ridotta fa veramente male al cuore. Il suo attuale grave degrado esprime drammaticamente, a mio parere, le prevedibili conseguenze delle sciagurate scelte in materia di urbanistica commerciale fatte, con troppa leggerezza, dalle amministrazioni comunali, di vario colore, che si sono succedute negli ultimi venti anni alla guida della nostra sfortunata città.
Marco Turati
26 marzo 2021 22:16
Io credo che dobbiamo molto di tutto ciò alla miope avidità della proprietà, che - a quanto si sa - continua a chiedere affitti folli nonostante la crisi economica, preferendo che le vetrine restino spente, piuttosto che abbassare i prezzi.