I dati del seminario organizzato da Smea e Levoni alla Cattolica di Cremona per mettere a fuoco i problemi della filiera suinicola nazionale: in calo la redditività dei tagli e delle produzioni Dop
Un percorso attraverso le dinamiche di più stretta attualità lungo la filiera del suino e dei salumi. È questo che ha proposto Gabriele Canali – docente di economia agro-alimentare – in un seminario all’Università Cattolica del Sacro Cuore di Cremona, organizzato dalla Smea grazie alla collaborazione con Assaggezza, l’accademia voluta da Levoni, uno dei maggiori player italiani nel settore dei salumi. Una partnership preziosa che proseguirà nel tempo, come hanno sottolineato sia Davide Mambriani, responsabile Corsi di formazione executive della Smea che Michele Rinaldi, Human resources and organization director di Levoni SpA.
I problemi della filiera
Un incontro partecipato, perché il settore dei suini e dei salumi di problemi ne sta vivendo molti, e il professor Canali non si è certo sottratto ad affrontarli. A cominciare dalla Peste suina africana, la cui fase acuta attuale è certamente dovuta ai ritardi di molti enti coinvolti ma anche a qualche leggerezza interna alla filiera. Una filiera che peraltro – sottolinea il docente Unicatt – non parla al suo interno. Perché, al di là della Psa, una necessità che si fa sempre più urgente è l’apertura di un dialogo strutturale tra i segmenti dell’allevamento, della macellazione e della stagionatura. Sui temi della qualità, ad esempio, per produrre suini, tagli freschi e prodotti finiti sempre più adatti ai consumatori italiani e ai mercati esteri. Non solo. Qualora si creasse davvero un’interprofessione efficace e strutturata nel settore suinicolo e dei salumi, sarebbe più facile parlare con le istituzioni: “Se un’istanza viene portata ai policy maker da una sola parte, impone scelte difficili; se invece è tutta la filiera a dirsi d’accordo su un’iniziativa, ad esempio normativa, per la politica è molto più facile accoglierla” ha rimarcato Canali.
I dati parlano
Per il resto, a far capire come stanno le cose in questo settore che è tra i più importanti dell’agro-alimentare italiano sono state le elaborazioni del Crefis, il Centro ricerche economiche sulle filiere sostenibili di cui Canali è direttore. A cominciare dagli andamenti dei mercati delle commodities che compongono l’alimentazione dei suini, ovvero il principale fattore di costo per gli allevatori. E come ha evidenziato il professor Canali, i prezzi di mais, soia e orzo hanno registrato una crescita impetuosa tra fine 2021 e inizio 2022, mettendo in difficoltà l’allevamento di molti paesi, per poi scendere e arrivare oggi a livelli più accettabili.
Nel contempo, le quotazioni dei suini da macello pesanti – il principale prodotto della suinicoltura italiana – pur con molti ondeggiamenti sono salite negli ultimi anni, rimanendo peraltro al di sopra di quanto registrato nei paesi europei nostri competitor.
E più a valle nella filiera? Considerando il quinquennio 2019-2024, i prezzi delle cosce fresche pesanti destinate a prosciutto mostrano un trend in sostanziale crescita sino al 2023, poi una flessione a cui fa seguito un nuovo netto rialzo a partire da maggio di quest’anno. C’è però una dinamica preoccupante che ha voluto sottolineare il professor Canali: la produzione di prosciutti Dop sta calando da almeno tre anni. Un fenomeno che riguarda soprattutto il Prosciutto di Parma, che passa da 7,8 milioni di cosce stagionate del 2021 a 7,3 milioni del 2023.
La redditività è cruciale
Ma qual è lo stato di salute economica dei diversi operatori lungo la filiera? Su questa questione Canali ha risposto con i dati dell’Indice Crefis di redditività, uno strumento messo a punto dal Centro di ricerca della Cattolica di Cremona che, unico in Italia, misura la remuneratività dell’attività di allevamento, macellazione e stagionatura. E guardando a quest’ultimo segmento della filiera emerge un dato importante: il gap di redditività tra “Parma Dop” e prosciutti generici è andato assottigliandosi a partire da metà 2023 per diventare negativo nelle ultime settimane. Ciò significa che oggi è più conveniente produrre prosciutti non tutelati rispetti ai Dop. È un fenomeno preoccupante – ha spiegato Canali – perché se è vero che la salumeria italiana si giova largamente di un’identità basata sui prodotti di eccellenza, quando va in sofferenza il principale prodotto in questo ambito, è l’intera filiera del suino pesante a soffrirne.
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