6 dicembre 2025

I senzatetto in ospedale, la testimonianza di un operatore che ha ascoltato la loro storia. "Le istituzioni si facciano carico di un supporto per queste persone"

Ha letto l'articolo sulle nostre pagine che denunciava la situazione di disagio nelle aree comuni dell'ospedale, elette a dormitori dai senzatetto (leggi qui). Ci ha contattati per raccontarci come anche lui, operatore nel nosocomio cittadino, si sia reso conto di questa situazione di grave disagio sociale e di come abbia provato anche ad avvicinare uno di questi clochard per farsi raccontare la sua storia.

"Serve un supporto per queste persone, che sono davvero tante. Non sono solo quelle che si vedono nell'atrio, ogni giorno ne arrivano di diverse e si distribuiscono in varie aree dell'ospedale. Credo tocchi alle istituzioni fare qualcosa per queste persone" è il primo commento dell'operatore "Non è sufficiente chiudere i cancelli, perchè poi succede che li ritroviamo fuori".

Sarebbe dunque necessario per prima cosa conoscere l'entità di questa situazione, sapere quante sono le persone in difficoltà ed oltre ai numeri ache sapere chi sono e perchè vivono per strada, se per scelta o se obtorto collo si sono trovati senza un tetto sopra la testa. Ma sarebbe anche importante sapere quanti di loro sono tossicodipendenti, o se hanno malattie o ancora quanti sono i soggetti con problemi psichiatrici per esempio. Perchè dietro la parola "barbone" o la più elegante versione d'oltralpe "clochard", si cela un'umanità variegata, accomunata dalla sofferenza e dal disagio.

"Io li vedo ogni giorno e mi domando se chi passa di qui come me quotidianamente non li noti" si chiede il nostro lettore. "Ho provato ad avvicinare uno di loro, per scambiare due parole e cercare di capire la sua storia, magari per capire anche come aiutarlo. Mi ha detto che vive per strada da quando ha perso il lavoro; avrà circa una sessantina di anni, mi ha detto che gli manca poco alla pensione, ma dopo aver perso il lavoro e dopo che la moglie lo ha lasciato, è rimasto senza casa e ora vive così. Ad un altro uomo so che era stato proposto anche un piccolo lavoro, ma poi non ha accettato".  

Difficile dire quante siano le persone che entrano nel perimetro dell'Ospedale Maggiore per trovare un riparo di fortuna: oltre all'atrio principale, molti entrano anche dall'accesso ai poliambulatori, che è aperto, qualcuno scende al piano -2, nelle cantine, anch'esse facilmente accessibili; altri si accampano sul retro, nei pressi della chiesa; poi ci sono i piani e le aree esterne dei reparti "So che qualcuno sale al settimo piano, dove ci sono le panchine della sala d'attesa della rianimazione; fino a quest'estate l'Area Donna era pure questa aperta". Ma come entrano? Nessuno vede? "Passano dall'accesso principale, come le altre persone. So che a volte le guardie hanno segnalato alla Questura la presenza di questi senzatetto, ma se non infastidiscono nessuno o non danno in escandescenze, non intervengono".

Il discorso poi passa al nuovo ospedale, tema inevitabile: "E' stato fatto un passaggio sulla sicurezza durante una presentazione, dicendoci che il nuovo progetto prevede che ci siano cancelli chiusi e con maggiori presidi di controllo. Bene, ma ciò risolverà solo in parte il problema, lasciandolo al di fuori dei cancelli, dove ritroveremo tutti questi disperati. Ripeto, sono le istituzioni che devono farsi carico di queste situazioni di povertà e di disagio. Non è giusto ritrovarli in ospedale, ma non possiamo solo buttarli fuori, sono comunque persone e vanno aiutate. E poi altrettanto importanti ci sono gli aspetti della sicurezza e anche dell'igiene, dal momento siamo in un ospedale e che questi sono luoghi comuni, frequentati da degenti, medici, famigliari".

Intanto, come ogni giorno, anche oggi questi uomini e donne si rifugiano in ospedale. Li riconosci perchè indossano strati e strati di cappotti per ripararsi dal freddo, abiti sporchi e sgualciti, cuffie e berretti infeltriti, qualcuno ha le ciabatte, ma non le calze. Difficilemente alzano lo sguardo. Un uomo verso sera sposta la fila di sedie per infilarsi a dormire su un davanzale, dove ha disteso un vecchio quotidiano per isolarsi dal freddo marmo, nascosto e lontano dagli sguardi; poco più in là c'è da tempo una catasta di sacchetti, devono essere dell'uomo avvolto nel suo cappotto nero, che dorme seduto su una sedia con la testa appoggiata alla colonna: quelle borsine sono il suo mondo impacchettato nelle buste del Supermercato. Raramente li vedi parlare tra loro, probabilmente non parlano nemmeno la stessa lingua, ma probabilmente non hanno bisogno di dirsi nulla di più per capirsi e condividere la propria solitudine. Forse non sono più nemmeno abituati a scambiare due parole con qualcuno.

Intorno il mondo scorre come se nulla fosse, il brusio e il via vai della gente prosegue nella sua quotidianità, ovattando la solitudine di quelle vite in disparte a cui nessuno dedica più nemmeno uno sguardo.

Michela Garatti


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