100 mila studenti e 4000 docenti collegati in streaming per seguire la testimonianza di Edith Bruck. Evento nazionale, erano in presenza a Roma, al Museo della Shoah, in rappresentanza delle scuole cremonesi aderenti al progetto Essere cittadini europei. Percorsi per una Memoria europea attiva, la dirigente Roberta Mozzi del Torriani (scuola capofila della Rete) e due studenti della Consulta: Simone Barili (presidente, IIS Torriani) e Carlo Ferrari (vicepresidente, Liceo Vida). Marco Caviglia, storico e responsabile per la didattica del Museo della Shoah ha introdotto l'incontro; è intervenuto anche Mario Venezia figlio di Shlomo (il docufilm "il respiro di Shlomo è stato presentato alla delegazione delle scuole)
Dall'aula magna del Torriani Ilde Bottoli, direttore scientifico del progetto, ha ricordato agli studenti presenti per seguire lo streaming che la modalità di quest'anno è significativa: segna la sempre maggiore difficoltà, anno dopo anno, di organizzare per tutti incontri in presenza con i testimoni della Shoah perché ormai sono pochi e sempre più anziani. Un privilegio e un regalo prezioso, dunque, il racconto di Edith sia per chi era a Roma, sia per le migliaia di studenti in collegamento.
Bottoli ha poi ringraziato Tiziano Zanisi dell'Associazione Nazionale Divisione Acqui, senza il quale, l'incontro non si sarebbe potuto realizzare.
Edith ha raccontato delle prime volte in cui si è sentita insultare nella lingua ungherese, la sua lingua, nel piccolo villaggio in cui abitava con i genitori e i numerosi fratelli nella povertà più assoluta. E' stata la prima grande ferita. Il pane perduto è il titolo del romanzo in cui racconta la sua storia dagli anni Quaranta al 1954. Il pane che sua madre sta facendo lievitare quando improvvisamente, all'alba, nel 1944, gendarmi ungheresi entrano in casa e di prepotenza portano tutta la sua famiglia in un ghetto. Da questo momento gli insulti e la sofferenza colpiscono in una lingua straniera, il tedesco, ed è un percorso di dolore e resistenza per cercare di rimanere, nonostante tutto, umani. Dopo cinque settimane vengono caricati su un vagone e dopo tre notti e quattro giorni arrivano ad Auschwitz; per la prima volta sono sottoposti alla selezione. Un primo gesto di pietà da parte di un soldato le consente di evitare la morte, ma purtroppo la separa definitivamente da sua madre. Pochi, quattro o cinque, ma importanti gesti di pietà costellano anche le altre tappe del suo inferno: dopo Auschwitz è la volta di Dachau e dei diversi campi satellite, quindi Bergen Belsen, infine la "marcia della morte": 500 chilometri di insensata marcia verso Christianstadt e poi il ritorno, di nuovo a Bergen Belsen, sotto la guida di nazisti privi ormai di un progetto e di una disciplina e, per questo, ancora più temibili. La liberazione li costringe ad un'altra marcia, verso casa. Dagli alleati arrivano cibo e aiuto durante il percorso: il pane perduto è dunque "ritrovato" e Edith e sua sorella non esitano a condividerlo con i soldati fascisti che, ormai allo sbando, tentano a loro volta di rientrare in patria. Una patria perduta, non c'è un posto per chi è sopravvissuto all'orrore. Gli ebrei sono ancora additati, respinti e sentono forte la responsabilità di essere sopravvissuti. Rimane l'umanità, ma non c'è più identità e Edith riprende il viaggio, questa volta verso la Terra Promessa, ma non sarà neanche il nascente stato di Israele la sua casa, se ne andrà anche da lì. Nel 1954 da Napoli, finalmente potrà ricominciare a vivere.
Tra gli studenti presenti, Barili e Ferrari si sono per primi rivolti a Edith Bruck, porgendo i saluti di tutta la Rete delle scuole Cremonesi aderenti al progetto del viaggio della Memoria. Le hanno chiesto di spiegare il significato della "lettera a Dio" posta a epilogo del suo libro. Ne è nato un racconto importante. Edith ha spiegato che proprio quella lettera, uscita in anteprima su un quotidiano, ha spinto papa Francesco ad andare da lei, a casa: non un incontro ufficiale in sinagoga, ma a casa. Hanno ripercorso insieme il senso di quei quattro o cinque gesti di pietà che le hanno dato speranza e hanno parlato di un Dio che è costante ricerca, "parole che - ha concluso Edith - mi hanno finalmente donato serenità".
Dopo gli affettuosi saluti degli altri studenti presenti, in rappresentanza di varie regioni italiane, ha preso la parola il ministro dell'Istruzione Giuseppe Valditara che ha raccontato di essere andato a visitare Dachau a ventuno anni ed è stata un'esperienza che gli ha insegnato il valore della memoria, soprattutto nella società attuale perché, stando ad alcune statistiche il 25% dei francesi non conosce la storia dell'olocausto e il 38% degli ebrei attualmente residenti in Europa ha paura, l'antisemitismo non è mai morto.
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