26 luglio 2024

La magia dell'acqua: nonostante il gran caldo, non manca l'acqua nei fossi, regalandoci scorci e paesaggi suggestivi. Tra impianti moderni di irrigazione e ricordi del passato, l'acqua e l'agricoltura

E’ estate! E fa caldo. Lapalissiano, ci pare. 

La temperatura supera allegramente i 30° di giorno e a quel punto la tentazione per tutti è di tuffarsi in piscina o godersi un gelato all’ombra.

E chi lavora nei campi? (in realtà, la domanda è proprio ‘chi ci lavora ancora nei campi’?). 

D’estate ‘irrigare’ è il verbo dell’imprenditore agricolo, il suo undicesimo comandamento perché senza acqua alle colture -ovviamente- tutto va in fumo, bruciato dal solleone di luglio e agosto. 

Ricordiamo bene i campi arsi degli ultimi due anni, caratterizzati da estati calde e torride, avare di pioggia come non mai senonchè flagellate da violente grandinate; ricorderemo tutti i fossi asciutti, dove solo ad un sottile rigagnolo di acqua era concesso di scorrere pigramente, accompagnato dal canto delle cicali insofferenti, mentre nei campi il mais seccava troppo presto ed i girasoli chinavano la pesante testa ormai senza più vigore.

Era il ritratto dell’arsura, dove il verde cedeva il posto al colore della polvere e della terra secca.

Oggi invece il panorama è molto diverso, per fortuna: la pioggia è stata abbondante per tutta la primavera e oltre, sia da noi che in montagna: laghi, bacini e fiumi sono gonfi di acqua e anche nei fossi è ritornata la vita. Certo le intense e a tratti violente piogge primaverili hanno portato anche tanti disagi e danni, molti campi già seminati hanno dovuto essere lavorati di nuovo perché i semi marcivano senza germogliare nel terreno madido di pioggia mentre spesso la grandine danneggiava le piantine già nate. Senza contare poi i ritardi nelle semine perchè era praticamente impossibile lavorare i terreni fradici. 

Ora invece l’estate sta facendo la sua parte in modo coerente, tanto caldo e poca pioggia e quindi il lavoro dei campi, come si diceva poco sopra, in queste settimane  si concentra quasi per intero sull’irrigazione. 

O, per dirla alla cremonese, ‘èl dàacquà’.

E per chi è un attento osservatore e chi ha la fortuna di farsi qualche giro nella campagna, magari in bicicletta, avrà certo notato i fossi e i canali gonfi di acqua come non si vedeva da tempo. I più fortunati potranno notare anche i simpatici castorini, meglio conosciuti come nutrie, che nuotano felici avanti e indietro dopo aver scavato l’ennesima tana lungo le rive, ignare dei danni che stanno facendo. Ma questa è un’altra storia.

Tornando all’acqua, elemento essenziale per la vita, essendo così abbondante quest’anno nella nostra terra, offre uno spettacolo suggestivo che un occhio allenato e attento come quello di Lilluccio Bartoli, collega ed amico, ma soprattutto ottimo ed estroso fotografo, che ha saputo cogliere in tutte le sue vibranti sfaccettature: riflessi, ombre, cascate, alberi. Guardando le foto sembra di sentirne lo sciabordìo senza fretta e persino di cogliere il refrigerio dell’acqua, ammirando l’arcobaleno che si genera accanto al getto della pioggia che lancia il suo carico dissetante sui campi di mais.

Irrigare è un’arte, non solo un mestiere: devi conoscere il terreno, se sabbioso o argilloso, la sua pendenza; devi controllare che il vento non sposti il getto d’acqua sulla strada o in casa di qualcuno invece che nel campo (anche se in realtà questo aspetto non è di primaria importanza in genere, va detto ahimè); bisogna calcolare i tempi, sistemare l’impianto in modo tale che non danneggi le piante o che non si ribalti e controllare che non manchi l’acqua nel fosso, per non rovinare il motore. Certo oggi gli impianti pivot alleggeriscono anche questi aspetti, essendo automatizzati e semoventi, direttamente collegati ai pozzi. Insomma, quasi una passeggiata dove la manodopera è davvero ridotta all’osso.

Mica come una volta, qualche decennio fa, quando l’agricoltore o il suo lavoratore entravano direttamente in mezzo alle file del mais, con la camicia ben allacciata fino al collo e ai polsi per sfidare le foglie taglienti, sistemare tubi e impianti, collegarli al motore ed al getto, restando nel campo a controllare che tutto filasse liscio, per ore ed ore sotto il caldo. E nel frattempo le donne arrivavano armate di borsa di paglia, con dentro un bottiglione di vino e una bottiglia d'acqua avvolti in uno straccio bagnato per tenerli al fresco. Non mancava poi la scodella con ‘el scartòos’ che conteneva un po’ di zucchero e un pezzo di pane, generalmente detto ‘èn bufèet’ o ‘na canela de pan’: la merenda consisteva nel versare acqua e vino (in proporzioni personalizzate) nella scodella appunto, aggiungere un po’ di zucchero -se serviva- e ‘pucciare’ il pane per ammorbidirlo e renderlo più piacevole al palato.

Una volta idratati e rifocillati, si adagiavano con cura le bottiglie sulla riva, col fondo dentro l’acqua per mantenerli al fresco. Fine della merenda, si poteva tornare a controllare la pioggia o la turbina.

Era sempre acqua, ma a quei tempi era molto più pesante. 

Oggi possiamo goderci lo spettacolo dei fossi pieni di acqua per qualche giorno perchè poi, finita la stagione dell'irrigazione, torneranno vuoti fino alla prossima estate. A proposito, forse non tutti lo sanno, ma negli anni passati, l'acqua veniva mandata nei fossi il 25 aprile, per San Marco. E ci restava pressochè fino all'autunno. Se poi andiamo ancora più indietro, non si trovava fosso vuoto durante l'anno, con l'acqua in estate e il ghiaccio in inverno.

 “QUÀANT I DÀACQUA...

Dàcquàa = Irrigare. Ecco come si cura l'arsura della terra.

La mia personale arsura viene curata con medicamentose fiale col tappo di sughero, autoprescrivibili, non mutuabili. Ho scarsa dimestichezza nell'imbroccare la posologia.”

-Lilluccio Bartoli- fotografo dalla nascita (si vede o no?) e oste subito dopo (si evince anche quello o no?) https://www.facebook.com/profile.php?id=100064843839189

Foto di Lilluccio Bartoli

Michela Garatti


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commenti


Lilluccio Bartoli

26 luglio 2024 19:54

[Sulla fiducia, erano molto belle anche le foto (parecchissine) non pubblicate.] Il motto col quale ci si autobenediceva l'acqua dei fossi, prima di berla, illudendosi similcircamenoquasilmente di potabilizzarla, era...
"Acqua dè fòss, acqua dè bis, èl signùur él la benèdìs."
Traduzione per i non avvezzi al vernacolo dè Zanèen dè la bàla: acqua di canale irriguo, acqua di serpe, il signore (e non uno a caso) la benedice rendentola fruibile. La traduzione inficia l'immediatezza dell'esortazione similreligiosa nonché l'abbattimento batterico.