12 dicembre 2025

Messa da Requiem, Braga firma una maiuscola esecuzione immersa nella religiosità e nel teatro del maestro di Roncole

“Dopo aver studiato la partitura in ogni micropassaggio una persona senza fede non avrebbe mai potuto scrivere un’opera come questa”. Questo mi raccontava Loris Braga pochi giorni fa. Ha mantenuto questa promessa. E quel pensiero l’ha trasfuso nella lettura di quell’immenso e gigantesco monumento del più grande lavoro sacro del compositore di Roncole. 

Braga, alla guida della BeMyOrchestra di Cremona e del Coro Lirico Ponchielli-Vertova, ha immerso la Messa da Requiem di Giuseppe Verdi in un’intesa e profonda religiosità. Ha amplificato il canto dei defunti attraverso una tensione altissima, quasi palpabile fisicamente, sotto le volte della chiesa di San Pietro. L’hanno seguito a perfezione, in questo impervio sentiero impervio, i quattro solisti: Kseniia Overko, soprano;  Eleonora Filipponi, mezzosoprano; Xinrui Liu, tenore; Mauro Corna, basso. E i centoquaranta musicisti tra orchestrali e coristi.

Non ha lasciato nulla al caso. Ha cesellato ogni frase. Ogni momento. Ha raccontato il Verdi sublime dell’inventiva melodica. Non si è sottratto alla severa vena contrappuntistica. Ha infuso vigore nella spettacolare teatralità del Dies Irae, furioso refrain che serpeggia all’interno di tutta la composizione. L’ha riempito di tormento interiore. Di quel timore che solo colui che crede può avere dell’ira divina nel giorno ‘ultimo’; quello del giudizio universale. Ma ha anche cosparso i sillabati finali del Libera me di pathos feroce, di mistero imperscrutabile, di grido sussurrato.Di prece che si leva, non solo da un palcoscenico sacro, ma direttamente dal cuore e dall’anima. Di tutto questo gli va dato atto. Gli va dato atto del coraggio per aver affrontato la più alta antologia del lessico di Verdi. Laddove il sacro e il profano non trovano limiti tra di loro, ma dove l’ humanitas regna sopra ogni cosa.

Bene l’orchestra. Puntualissime e sempre ben intonate le sezioni degli ottoni. Parti difficilissime le loro. Le percussioni hanno tuonato con forza e nei sincopati angoscianti propri della sequenza. Precisi gli archi, anche e soprattutto in quei passaggi in ‘pianissimo’ e nelle posizioni più acute che ricordano passaggi dell’Otello. 

Il lavoro duro, durissimo di Braga si è fatto sentire sui cori. Non hanno sbagliato nulla pur confrontandosi con una partitura, in alcune parti terribile anche per i professionisti figuriamoci per un coro composto soprattutto da chi ama la musica. E questa sera quell’amore li ha trasformati veramente in professionisti.

Ha scelto bene anche la composizione del quartetto dei solisti. Da appalusi le voci maschili. Bene anche il soprano e il mezzo soprano, in particolar modo negli ultimi passaggi del testo. 

Un’esecuzione da ricordare. Per la dedizione dimostrata. Per il calore palesato. Per la forza viva e genuina infusa nel testo verdiano. 

Cremona deve essere grata per questo vero e proprio dono alla sua vita musicale. Non è da tutti e non è stato semplice.

Sicuramente Aldo Protti e Alberto Bruni a cui era dedicata l’esecuzione avranno sentito queste note. Un ricordo dolce, dolcissimo di quel mondo che hanno lasciato quaggiù

Un applauso prima timido e poi , finalmente liberatorio, è partito da un pubblico che ha letteralmente gremito la chiesa cittadina.

Una serata di grande musica. Di cultura e di passione per la musica di questa città che non è solo liuteria e Monteverdi, ma anche di tanto Giuseppe Verdi.  

Fotoservizio di Francesco Sessa Ventura

Roberto Fiorentini


© RIPRODUZIONE RISERVATA




commenti