28 giugno 2021

Modello sanitario lombardo: altro che eccellenza, occorre cambiare. Cremona, Crema, Casalmaggiore: grido d'allarme, appello alla Regione

L'appello parte dal Comune di Torlino Vimercati, nel cremasco, ma il discorso interessa tutta la provincia e la Lombardia nel suo complesso. Qui, a causa della crisi sanitaria creata dalla pandemia, quello che è da sempre acclamato come il “modello sanitario regionale” è stato messo a dura prova. I limiti della sanità lombarda – e dunque anche quella cremonese – sono stati messi a nudo. L'insufficienza dei medici di base è il tema che si è guadagnato con prepotenza la ribalta delle cronache. Ma non è il solo, come dimostra anche l'inchiesta pubblicata oggi dal Corriere della Sera a firma di Milena Gabanelli e Simona Ravizza.

Sanità lombarda, la riforma del modello” è il titolo del servizio che presenta i dati “su ricoveri e interventi negli ospedali pubblici e in quelli accreditati” ma anche “il confronto tra i più redditizi e il nodo delle liste d'attesa che sforano i tempi di legge”. “La sanità lombarda – si chiedono le giornaliste del Corriere –, presa spesso anche come esempio da esportare in altre regioni, ha davvero un sistema pubblico-privato in grado di garantire cure più tempestive? I dati, forniti dall’Agenzia nazionale per i servizi sanitari regionali (Agenas), e che per la prima volta è possibile rendere pubblici, permettono di capire come funziona nella realtà il modello. L’analisi riguarda le tipologie dei ricoveri e degli interventi chirurgici eseguiti nel pubblico e nel privato e la corrispettiva entità dei rimborsi ottenuti dal sistema sanitario. Quel che emerge non è una conseguenza dell’intasamento degli ospedali causato dal Covid, perché è stata fotografata la situazione considerando i numeri del 2019. Dopo è andata solo peggio”.

 

CREMA – L'inchiesta è, come si suol dire, “sul pezzo”. Sì, perché i problemi della medicina del territorio sono sotto gli occhi di tutti e senza dubbio la lettera inviata dal vicesindaco e assessore ai Servizi Sociali di Torlino Vimercati, Giuseppe Figoni, all'assessore regionale alla Sanità, Letizia Moratti, al presidente della Provincia Mirko Signoroni e al presidente dell'Area Omogenea Cremasca, Aldo Casorati, rende il polso della situazione che si vive “sul campo”, ossia sul territorio.

L'appello del vicesindaco è stato protocollato oggi, 28 giugno, e l'oggetto è stringato: “Medicina del territorio”. “Vi scrivo – si legge nel documento – per sollecitare alcune riflessioni per un complessivo ripensamento dell'organizzazione della medicina del territorio, a seguito della pandemia da Covid-19”. Pandemia, osserva Giuseppe Figoni, che ha evidenziato “la precarietà di una organizzazione sanitaria che soffre di uno sbilanciamento generale sull'asse ospedaliero”. “E' sotto gli occhi di tutti – osserva il vicesindaco di Torlino Vimercati – la necessità di potenziare e riorganizzare la rete dei servizi di prevenzione, diagnosi, cura e riabilitazione territoriale, per rispondere alla nuova domanda di salute, attraverso le attività di prevenzione, diagnostica e riabilitazione territoriale e domiciliare”.

Significativo il passaggio in cui il vicesindaco osserva come sia “impellente la necessità di un cambiamento fondato su nuovi modelli di servizi territoriali che portino al riassetto delle cure primarie”. Il rischio, evidenzia Figoni, è che dopo tutte le parole spese in fase di emergenza è che “nulla cambi e rimanga senza risposta l'esigenza di una nuova organizzazione della medicina del territorio che preveda l'integrazione ospedale-territorio attraverso gli interventi domiciliari socio-sanitari, il potenziamento dei servizi di residenzialità assistita e di sanità territoriale e domiciliare”.

In chiusura, il vicesindaco di Torlino passa ad alcune proposte concrete: “Dovrebbero essere recuperati i presidi sanitari minori, come l'Ospedale di Rivolta d'Adda, di Soresina, di Crema. E' necessario aumentare il numero dei posti letto di terapia intensiva. Occorre creare centri decentrati per visite, diagnostica e prestazioni infermieristiche”. Soprattutto, annota Figoni in chiusura dando voce a un'esigenza avvertita ormai a tutti i livelli, “bisogna porre rimedio alla ormai cronica insufficienza dei medici di base per evitare che i pazienti diventino solo un numero e si affollino presso i pronto soccorso per ottenere legittime risposte al proprio bisogno di cure”.

 

CREMONA – Appello, quello del vicesindaco di Torlino Vimercati, che l'ex sindaco di Cremona e già primario presso l'Ospedale, il dottor Paolo Bodini, giudica “condivisibilissimo”. “Certamente – spiega Bodini – la medicina territoriale è la parte più trascurata, in tutta Italia ma in particolare in Lombardia, come si è visto in occasione dell'emergenza sanitaria. In questo senso è evidente che è stata trascurata non solo numericamente, ma anche dal punto di vista della pianificazione”. Il riferimento di Bodini va ai problemi generati dai moltissimi medici di base andati in pensione e non adeguatamente “rimpiazzati” dal punto di vista numerico, ma anche ai “dipartimenti di prevenzione, che sono stati smantellati”.

Questi, osserva Bodini, “sono certamente punti sui quali intervenire: numeri e organizzazione” A questo scopo, aggiunge, sarebbe opportuno spingere sulla “medicina di gruppo, ossia organizzazioni e strutture che l'Asl può mettere a disposizione, con anche un supporto di attrezzature per la diagnostica, per fare una sorta di filtro tra la medicina di base e l'ospedale”. In questo modo, “la persona che ha problemi non deve necessariamente recarsi al pronto soccorso (con il rischio di intasare queste realtà e mettere in crisi le stesse strutture ospedaliere; ndr), ma può trovare in queste strutture una prima risposta alle sue esigenze”.

 

CASALMAGGIORE – Perfettamente in linea anche Luigi Borghesi, ex primario di Anestesia e rianimazione all’ospedale Oglio Po, medico molto noto nel casalasco e non solo. “Se condivido l'appello a rivedere il modello sanitario lombardo? Assolutamente sì”, dice convinto. “Il nostro territorio – commenta – ha pagato più di altri il fatto che negli ultimi 15-20 anni sia stato privato di professionalità. Relativamente ai medici di base è emerso il grosso problema del pensionamento e anche i sindaci fanno fatica a trovare sostituti, ma anche tutto il lavoro di prevenzione è stato abbandonato”.

Il punto, evidenzia Borghesi, è che “hanno diviso l'Ats e l'Asst dando a quest'ultima dei compiti che prima erano dell'Asl. Questa diversa impostazione è stata un fallimento che il territorio ha pagato molto caro”. Per questo, incalza Borghesi, “assolutamente sì, il modello va rivisto nel modo più assoluto. Tutti i nostri territori hanno sofferto, ma nello specifico del casalasco-viadanese si è avvertita ancora di più la mancanza di un disegno organico e alla fine risulta difficile capire chi deve fare cosa”. Il modello, conclude, “va cambiato, altrimenti si va al disastro. Si arriva al punto in cui, in altre parole, la gente per farsi curare dovrà andare fuori regione”.

Federico Centenari


© RIPRODUZIONE RISERVATA




commenti