Monteverdi e i suoi eredi: florilegio di opere barocche con l'Ensemble Les Épopées diretto da Stéphane Fuget
Nell’ambito del Monteverdi Festival, il concerto “Monteverdi, Cavalli: Maîtres et Élèves” all'Auditorium Arvedi ha rappresentato una parentesi intimista e rivelatrice di un panorama operistico poco conosciuto ai più. Sotto la direzione ispirata di Stéphane Fuget al clavicembalo, l’ensemble Les Épopées ha guidato il pubblico in un affascinante percorso nel cuore dell’opera veneziana del Seicento, dalle radici monteverdiane fino ai suoi frutti più preziosi e meno esplorati.
Fin dalle prime battute della Sinfonia dell’Eliogabalo di Cavalli, è emersa una chiarezza stilistica e una freschezza interpretativa non comuni: ogni gesto musicale è stato cesellato con eleganza e consapevolezza, rendendo tangibile l’estetica teatrale e la tensione affettiva che attraversa questa musica.
Le voci soliste — Claire Lefilliâtre, Isabelle Druet, Anthéa Pichanick e Cyril Auvity — hanno saputo interpretare con grande raffinatezza espressiva l’intero arco degli affetti barocchi: dal dolore composto alla passione febbrile, dalla malinconia sospesa all’ironia leggera. Notevole l’intesa tra i cantanti, perfettamente calati in un fraseggio che ha saputo fondere rigore retorico e libertà teatrale, tanto da non far rimpiangere la mancanza di una vera e propria rappresentazione scenica completa.
A emergere con forza è stata anche la volontà programmatica del concerto: far risuonare musiche di compositori raramente eseguiti come Freschi, Sartorio, Pallavicino, Legrenzi e i due Ziani, mostrando quanto la scuola veneziana fosse viva, vitale, e permeata dallo spirito innovatore del maestro Monteverdi. L’alternanza di sinfonie, duetti e arie ha offerto un affresco sonoro avvincente, denso di sorprese timbriche, abbellimenti raffinati e colori orchestrali ricercati.
Particolarmente riuscita la resa strumentale: i violini di Hélène Houzel e Davide Monti hanno danzato compatti tra eleganza e virtuosismo, dominando la sottile arte delle notes inégales e sfoggiando una gamma dinamica intessuta delle più infinitesimali sfumature: sostenuti con delicatezza dalla tiorba di Léa Masson, dal violoncello di Alice Coquart, dalla viola da gamba di Claire Gautrot, e naturalmente dal cembalo dello stesso Fuget, timoniere discreto ma inflessibile, punto di riferimento indiscusso per tutto il gruppo. Il suo gesto ha modellato le interpretazioni dell’ensemble con un’attitudine volta alla cura della prosodia sfaccettata e fortemente caratterizzata.
Forse discutibile la scelta di comporre un programma dando ampio spazio anche a lunghi recitativi che, per quanto resi al meglio dai musicisti, sempre ricchi di varietà e di contrasti dinamici e interpretativi, estrapolati dall’opera hanno appesantito la fruibilità del concerto per un pubblico non strettamente specialistico e non preparato rispetto all’intera trama dell’opera di riferimento, in modo da poterne apprezzare al meglio le sfumature.
Il concerto di stasera ci ha regalato un affresco storico e poetico, un’esperienza che ha illuminato la continuità e la ricchezza dell’opera veneziana del Seicento. Un omaggio raffinato, colto e profondamente emozionante, che ha saputo rendere giustizia non solo al genio di Monteverdi, ma anche alla voce spesso dimenticata dei suoi innumerevoli e meritevoli successori.
Su tutto hanno brillato i lacerti monteverdiani, tratti da L’Orfeo e L’Incoronazione di Poppea, che sono stati eseguiti con intensità quasi liturgica. Fuget ha saputo scolpire ogni frase con rispetto filologico, senza mai perdere il senso della teatralità viva e palpitante.
Un’interpretazione dell’iconico duetto Pur ti miro da L’incoronazione di Poppea, rarefatta e punteggiata dai pizzicati del violoncello che si sono intersecati mirabilmente con gli arabeschi del clavicembalo, ha chiuso tra gli applausi soddisfatti un concerto per palati esigenti.
Foto di Salvoliuzzi Photographer
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