15 febbraio 2023

Perugia celebra i 500 anni di Pietro Vannucci (il Perugino). Nella chiesa di S. Agostino una delle sue opere più famose: la pala Roncadelli, prestata solo a Bergamo 5 anni fa

L'Università per Stranieri di Perugia dedica giovedì 16 e venerdì 17 febbraio un convegno di studi al pittore Pietro Vannucci detto “Il Perugino” (Città della Pieve, 1448 - Fontignano, 1523) in occasione del cinquecentenario della sua morte. Temi scelti per celebrare il "Divin Pittore" sono le modalità e i tempi di ricezione del suo linguaggio figurativo oltre i confini delle sua terra d'origine: prendendo le mosse dalla definizione che ne offrì Francesco Maturanzio - "Mastro Pietro homo singulare in quella arte, in quel tempo per tutto l'universo mondo" - l'iniziativa scientifica si propone di ripercorrere le tappe 'geografiche' del successo dell'artista pievano: da Firenze a Roma, da Venezia a Cremona, da Pavia a Mantova e Bologna, passando per le Marche, per Siena e fino a Napoli. Quattordici gli studiosi provenienti da più parti d'Italia che si impegneranno in un'attenta lettura delle opere e dei contesti territoriali in cui esse presero vita, con l'obiettivo di comprendere le radici sociali, oltreché artistiche, della fortuna dell'artista. L'assise scientifica che si svolge a Palazzo Gallenga inaugura, di fatto, le celebrazioni di Pietro Vannucci, morto di peste a Fontignano nel febbraio del 1523. Nei mesi successivi al convegno (di cui verrà curata la pubblicazione degli Atti) e per tutta la durata delle manifestazioni in programma nel corso del cinquecentenario, l'Ateneo promuoverà lezioni, conferenze e visite di studio dedicate al Perugino. Il progetto e il coordinamento dell'iniziativa sono a cura di Maria Rita Silvestrelli ed Elvio Lunghi, docenti di Storia dell'Arte dell’Ateneo. 

A Cremona, nella chiesa di Sant’Agostino, è conservata una delle opere più significative dell’artista, “La Madonna col Bambino in trono tra i santi Giovanni Evangelista e Agostino”. Le fonti storiche ricordano che la pala di sant'Agostino venne commissionata al Perugino nel 1493 da Eliseo Roncadelli, che era stato capitano di Galeazzo Maria Sforza, probabilmente per l'altare di famiglia. Un anno dopo, nel 1494, la tavola veniva consegnata al committente. Lo studioso Marco Tanzi nel libro Pittura a Cremona dal Romanico al Settecento scrive che "Nulla ci vieta di ipotizzare un soggiorno cremonese del Perugino in occasione del suo viaggio a Venezia nell'estate del 1494. Grande è l'importanza di un dipinto del Perugino a Cremona, non solamente perché primo fra quelli eseguiti fuori dal triangolo Perugia, Firenze, Roma, in anticipo rispetto alle opere di Pavia, Bologna, Venezia e Napoli, ma proprio per segnalare il prestigio di una città che riesce a procurarsi un'opera dell'artista forse più celebre ai suoi tempi". 

La pala del Perugino costituisce un momento fondamentale nella evoluzione della pittura cremonese, perché permette il passaggio da una maniera secca, come viene definita dal Vasari, ad uno stile definito protoclassico. Sono gli anni in cui Boccaccino comincia la propria evoluzione stilistica. Altrettanto singolare è il fatto che Perugino, normalmente al soldo di potenti, come il doge a Venezia o gli Sforza a Pavia, abbia dipinto questa tavola per Eliseo Roncadelli, che non era figura certamente di primo piano. Nel 1796 la tela prese la via del Museo del Louvre dove rimase fino al 1818, quando con la Restaurazione, ritornò a Cremona. La pala Roncadelli era una delle tappe abituali nel corso delle visite di Giuseppe Verdi a Cremona, che era solito soffermarvisi davanti in ammirazione. La pala del Perugino lasciò un’altra volta Cremona quasi cent’anni dopo quando, in previsione dell’offensiva austriaca sul Piave conseguente alla disfatta di Caporetto, nel novembre del 1917, vennero spediti a Roma due interi convogli di materiale raccolto e poi imballato nel salone dell’ex refettorio della chiesa di San Pietro. Insieme alla pala del Perugino, già protetta con sacchi di sabbia e assi di legno nella chiesa di Sant’Agostino fin dall’anno precedente, presero la via della capitale sedici casse con opere del museo Ala Ponzone e della Biblioteca Civica, arazzi, quadri, argenteria e corali del Duomo, le tele dei Campi conservate nelle chiese di Sant’Abbondio, Sant’Agata, Santa Maria Maddalena e San Sebastiano. Nel 1999 è stata sottoposta a restauro, ed ha lasciato la sua sede originaria solo nel 2018 per partecipare alla mostra “Raffaello e l’eco del mito” promossa dall’Accademia Carrara di Bergamo.

Fabrizio Loffi


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commenti


Michele de Crecchio

17 febbraio 2023 23:38

Solo grazie alla decisa opposizione degli eredi Roncadelli, anche questo capolavoro non è stato asportato dalla sua sede storica per essere visibile solo a pagamento nel Museo Diocesano, così come era stato inizialmente ipotizzato (e come è, purtroppo, effettivamente capitato alla celeberrima "Tavola di Sant'Agata").