"Fuori tutti", l'arte che dà voce alle emozioni. La mostra da Mascarini dei pazienti dell'Atelier dell'Ospedale Psichiatrico. Un evento straordinario
E' in corso in via Torriani 10, negli ambienti dell'Antichità Mascarini, una mostra straordinaria, storica, quasi commovente nel far rivivere la vita dell'Atelier che fu allestito nell'Ospedale Psichiatrico dall'inizio degli anni settanta. Per chi al tempo della sua apertura era giovane studente in medicina, l'Atelier ha sempre rappresentato un modello, uno straordinario mezzo di espressione dato a chi riusciva ad esprimere attraverso l'arte quello che non riusciva a tirare fuori con le parole. Era il compimento di quello che avevo sentito durante l'occupazione dell'Ospedale Psichiatrico di Colorno da Mario Tommasini e Franco Basaglia. Vedere una cinquantina di opere esposte, restaurate e incorniciate dà il giusto peso a una iniziativa che rende pubblica un'arte così impregnata da umanità. E il titolo "Fuori tutti" è già denso di significati prima ancora di passare ad ammirare le opere. E alcune opere, come dice il professor Rodolfo Bona, sono "traboccanti di forme e di colori, sono testimonianza di un'arte che riempie la vita e ci consente di coglierne il significato più vero attraverso scarti imprevisti e sorprendenti". "Ci arriva - dice ancora Bona nell'album-catalogo che accompagna la mostra - un coro dissennante di voci che vengono dal passato ed escono dal silenzio e che ci parlano dei nostri tormenti, delle nostre paure e della nostra ansia di libertà e di pace. Queste voci passano attraverso tinte che balbettano timidamente o che esplodono in direzioni impreviste, che ci invitano a deviare rispetto a più rassicuranti tracciati, cogliendoci talvolta di sorpresa, con un sussurro che ci inquieta o con un grido che ci riempie di meraviglia".
Passando in rassegna quelle opere sembra di vederci tracce di Bansky, di Chagall, di Dalì, di Matisse. Tutti grandi artisti che i malati neppure conoscevano ma che la libertà di potersi esprimere ha fatto mettere sulle tele o sui fogli di disegno. Se poi, com'è capitato a me, vi capita che qualcuno vi abbini un quadro al ricordo di un viso o di una persona, allora lo ricordi in piazza Duomo o al dormitorio di via Fores e davvero resti incredulo davanti alle opere in mostra fino al 14 giugno.
Ma com'era nata l'iniziativa dell'atelier all'Istituto Psichiatrico? Lo ricorda il professor Giuseppe Taraschi nel suo bel libro "La psichiatrica a Cremona, dagli anni Sessanta ad oggi". Scrive Taraschi raccontando la psichiatria cremonese che l'hanno visto protagonista dei rivolgimenti clinici, terapeutici e legislativi di quegli anni."Un'iniziativa cominciata in sordina nel 1970 si dimostrò gradita ai malati e utilissima per la loro riabilitazione. Intendo riferirmi all'Atelier di attività espressive. All'inizio ci venne in aiuto un noto pittore cremonese, ricoverato per breve tempo, che riunì diversi malati invitandoli a dipingere e scoprì in molti di loro un'apprezzabile disposizione al disegno e alla pittura. Per la verità l'argomento non ci era nuovo. Da tempo frequentavamo due centri che già si erano affermati nello studio e nella terapia dei malati attraverso attività espressive. Quello di Verona diretto dal professor Cherubino Trabucchi con l'allora suo assistente Vittorino Andreoli e quello di Reggio Emilia diretto da Piero Benassi. Vi erano stati anche dei congressi sull'argomento. Il primo che ricordo si svolse a Pisa in occasione del 29° Congresso della Società Italiana di Psichiatria, nel maggio 1966, con la partecipazione di esperti internazionali tra cui, oltre il nostro Gastone Maccagnani, i celebri R. Volmat e J. Bobon.
Ben presto anche da noi si passò dalle prime esperienze alla graduale formazione di un vero atelier, grazie all'impegno di artisti locali assai stimati e motivati: il pittore Antonino Lipara, lo scultore Giovanni Solci e il regista teatrale Walter Benzoni, che vennero assunti dalla Provincia e che accolsero il compito loro assegnato con vero entusiasmo".
Continua ancora il professor Taraschi:" L'attività dell'Atelier confermò il grande interesse clinico scientifico della possibilità di conoscere il paziente attraver- so canali di comunicazione, che sostituivano efficacemente quello verbale, compromesso dalla malattia. Nel contempo sottraeva all'ozio coloro che non sentivano la vocazione per il lavoro manuale. Si arrivò a risultati incredibili. Il primo caso clamoroso fu quello di un medico, entrato in stato di psicosi avanzata, in condizioni di estremo abbandono e di totale abulia e trascuratezza della propria persona. Si ricompose attraverso la pittura dove, partendo da scarabocchi, giunse a dipingere delicati acquerelli. Un altro caso de- gno di menzione è quello di un paziente di cinquanta anni, venuto dall'istituto geriatrico di Sospiro, di cui ho fatto cenno parlando dei nostri rapporti con quell'istituto. Era da tempo in stato di blocco catatonico e non autosufficiente. Dopo pochi mesi fu in grado di recitare poesie in una sera- ta di arte varia e di dipingere anche lui buoni acquerelli. L'Atelier veniva frequentato anche da ex degenti ormai da tempo dimessi e costituì le premesse per il futuro Day Hospital (o centro diurno). Il successo dell'Atelier fu notevole e furono organizzate mostre, (con tavole rotonde) in ospedale e in club cittadini, delle opere prodotte. Molte di esse furono vendute e garantirono agli autori un guadagno non trascurabile. Molti dipinti tappezzano tuttora gli ambienti dell'Ospedale Generale, dove, grazie alla 180, siamo stati trasferiti. Non pochi corridoi di collegamento sono coperti da pregevoli murales, opera di un giovane etilista, che ogni tanto veniva da noi e che morì tragicamente in un incidente. La frequenza a tutte queste attività esterne ai reparti fece si che l'utente uscisse dall'anonimato della vita ospedaliera e affermasse una sua personalità ben distinta, dalla quale emergevano anche comportamenti stravaganti, che però non ostacolavano affatto il contatto umano con gli operatori, che assunse per molti il carattere di una vera amicizia".
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