19 ottobre 2024

Prima inter pares, Antje Weithaas, istrionica e magnetica virtuosa con la Camerata Bern per una serata memorabile al MdV

"La mia vera idea, della quale sono perfettamente consapevole da quando mi sento compositore,  è l'affratellamento dei popoli. L'affratellamento ad onta di tutte le guerre e di tutti i contrasti. Fin dove le mie forze me lo permettono, io cerco di seguire questa idea con la mia musica: perciò, non mi sottraggo a nessun influsso, provenga esso da fonte slovacca, rumena, araba o qualsiasi altra. Basta che la fonte sia pura, fresca e sana."

Ci piace pensare che la Camerata Bern abbia scelto come brano iniziale del concerto di stasera le Danze rumene di Béla Bartók, autore della citazione in apertura, per lanciare un messaggio di pace più che mai necessario in questi tempi assai burrascosi per l’umanità. 

L’eccezionale ensemble di stasera, per la prima volta presente a Cremona, è stato fondato nel 1962 a Berna; il gruppo, che si esibisce regolarmente senza direttore, ha inanellato partnership importanti con tutti i più grandi solisti della scena internazionale (Kopatchinskaja, Gringolds, Azzolini, sono attualmente partners artistici). In anni più recenti sta affiancando al grande repertorio classico eseguito in maniera tradizionale la musica contemporanea e l’esecuzione con strumenti antichi.

Stasera la Camerata Bern si è esibita con la violinista Antje Weithaas, artista anch’essa per la prima volta sulla scena cremonese, che ha letteralmente rapito il pubblico. Considerata la capofila dei violinisti di “nuova generazione”, versatile e poliedrica dal carisma eccezionale, Weithaas ha dato il la a una ennesima serata memorabile di questo spettacolare STRADIVARI festival guidando i musicisti attraverso le melodie folcloriche del compositore ungherese. La fisicità impetuosa della musicista è emersa dalle prime battute come collante del discorso musicale, che mai come in Bartók si fa vero e proprio lessico, grazie alla restituzione fedele delle melodie popolari transilvane dal sapore magico, grazie all’uso arcaico ma estremamente appropriato delle scale modali. Nella seconda danza la fissità ipnotica dell’orchestra ha accompagnato l’eloquio raffinatissimo di Weithaas; nel susseguirsi delle danze più rustiche ed effervescenti l’ebbrezza dinamica del suono pieno e potente di questi magnifici musicisti ha trionfato.

In questo viaggio tra le epoche accomunato dal comune denominatore della provenienza di area austroungarica dei compositori prescelti, il concerto di Franz Joseph Haydn per violino e orchestra ha brillato come una gemma rara e preziosa: dei quattro concerti per violino giunti ai posteri è infatti il meno eseguito e conosciuto. Di impianto formale parzialmente vivaldiano, ma più esteso e articolato, è stato reso da Weithaas con gamma timbrica ricchissima, e un fraseggio di lucidissima intelligenza che ha reso cristallina la selva lussureggiante di invenzioni melodiche, ma sempre con fermo controllo della sintassi strutturale. L’orchestra ha circondato la solista raccogliendo ogni più infinitesimale suggestione interpretativa, in un afflato che ha tenuto con il fiato sospeso la platea.

Dopo una tale meraviglia sembrava quasi impossibile rimanere ancora più incantati da questi straordinari musicisti, ma nella Serenata di Antonín Dvořák - complice anche la particolarissima acustica dell’auditorium che incorpora i suoni e li lascia circolare in tutte le direzioni facendo da cassa di risonanza alla materia sonora viva e vibrante come un gigantesco strumento musicale – i suoni levigatissimi e cesellati della Camerata Bern hanno tenuto avvinto l’uditorio. Weithaas ha un modo tutto suo di esercitare il suo magnetismo sui compagni di viaggio: il dialogo e la connessione creano una corrente continua e tangibile in cui i musicisti diventano un corpo unico al servizio del senso musicale. Una tale comunanza d’intenti ha dato forma a un’interpretazione accurata ed emozionante di questo brano meraviglioso, complesso, ma di una complessità godibile, in cui la genialità del compositore boemo risalta in ogni piega. Come dichiarò lo stesso Dvořák: “credo che sia questo il talento musicale del mio paese, che ogni slavo ama profondamente la musica, anche se lavora tutto il giorno nei campi o fra i buoi. È lo spirito della musica a renderlo felice”. E questa felicità ha pervaso anche il pubblico, purtroppo non numeroso come avrebbe dovuto esserlo per un evento di tale portata, che ha potuto rinfrancare lo spirito al risuonare dei temi cantabilissimi, dei ritmi di danza e delle melodie popolari resi con la potenza di un suono teutonico caratterizzato da solidità e purezza adamantina ma sempre elegantemente tornito. Il Minuetto etereo e vaporoso, lo Scherzo sfavillante, il Larghetto di un languore lirico ma sempre teso e vibrante. Una festa dell’udito grazie a questi valorosi musicisti che hanno ricompensato il pubblico plaudente con il rituale brano fuori programma, la suggestiva trascrizione di un’antica aria.

Pubblico in visibilio, e affratellamento vero tra i musicisti che tra gli applausi scroscianti si sono scambiati calorosi abbracci, visibilmente felici dell’accoglienza cremonese.

Prossimo appuntamento stasera alle 21.00 con le giovani promesse dell’Agon Ensemble.

Fotoservizio di Gianpaolo Guarneri (FotoStudio B12)

Angela Alessi


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