Quei lunghi inverni in cui il Po ghiacciava. Gli attraversamenti a piedi del grande fiume. Nel 1929 i lastroni di ghiaccio distrussero i mulini
E’ tornata la brina ed è tornato il ghiaccio, in questi primi giorni del 2025, ad “imbiancare” leggermente, di prima mattina, le terre di fiume. La colonnina di mercurio è tornata a scendere, molto leggermente, sotto lo zero; ben poca cosa rispetto a certi inverni del passato, come ha giustamente e ben scritto Fabrizio Loffi qui https://cremonasera.it/cronaca/il-meteo-annuncia-un-crollo-delle-temperature-fino-a-3-ben-poca-cosa-rispetto-agli-inverni-di-una-volta-come-quello-del-1985-quando-si-toccarono-i-22-e-del-1929-quando-ghiacci-il-po. La neve, da un po’ di anni a questa parte, è diventata una rarità nelle terre del Po e, salvo qualche sporadica e casuale spruzzata non se ne è quasi più vista. Senza entrare nel merito dei cambiamenti climatici che sono comunque evidenti, bisogna dire che già da diversi anni si sta assistendo ad inverni particolarmente miti, con temperature che nel peggiore dei casi scendono di una manciata di gradi sotto zero. Con buona pace di chi, per vendere forse qualche giornale in più, o per avere un po’ più di audience televisivo (e questo va proprio detto), fa titoli sensazionalistici parlando di “temperature polari”, “inverni siberiani” e battezza gli anticicloni (così come accade d’estate) con nomi impressionanti, arrivando anche a “scomodare” Lucifero, Belbebù e altre “mostruosità” o esseri mitologici vari. Non ne abbiano troppo a male quelli che sparano titoloni a sensazione. Loro, e la loro cara d’identità parla evidentemente chiaro, le temperature “polari” o “siberiane” non le hanno mai viste né avvertite.
Non lo dice chi scrive queste righe, che comunque ha vissuto in prima persona e ricorda benissimo l’inverno del 1985 quando le temperature sfiorarono, lungo il Po, anche i 25 gradi sotto zero. Lo dice soprattutto, ancora una volta, la storia, con le sue innumerevoli testimonianze. Nei secoli passati ci furono inverni talmente rigidi, da congelare il Grande fiume al punto da permettere alla gente di attraversarlo a piedi. L’ultimo di questi inverni fu quello del 1929. Ma ci furono situazioni anche più “siberiane” o “polari” (per chi ama questi termini) in passato. Le più grandi gelate del Po avvennero negli anni 1126, 1152, 1211, 1216, 1234, 1443, 1481/82, 1489/90, 1511, 1549, 1550, 1701, 1709, 1811/12, 1829, 1830 e, appunto, 1929. In tempi più recenti sono passati alla storia anche gli inverni del 1951/52, 1956 e, appunto, 1985.
Attingendo alle fonti storiche ecco che nel 1216 il Po gelò così tanto che i contadini vi passavano sopra con carri e cavalli ed i soldati di armeggiavano. Il 1234 fu caratterizzato da un’intensa ondata di freddo in Italia, i cui effetti impressionarono i contemporanei, tanto da trovare ampio spazio nelle fonti documentarie coeve, in particolare nelle più importanti cronache italiane del Duecento. Dal nord al sud della penisola, gli effetti furono più o meno gli stessi: gelate di fiumi e lagune (Po e Laguna veneta), morti di persone, animali selvatici e domestici, distruzione di raccolti e alberi da frutto. Il fiume Po si gelò in più tratti tanto che il suo alveo poteva essere attraversato con cavalli e carri carichi di mercanzie, alla pari di quelli di molti suoi affluenti. A Reggio Emilia, nella piazza comunale, si trovarono molti lupi morti congelati (a dimostrazione del fatto, se mai ce ne fosse bisogno, che la presenza del lupo, in passato, in pianura, era cosa nota e normale), mentre in Puglia a morire per il freddo e per gli stenti della fame furono migliaia di pecore, la cui perdita inferse un duro colpo alla pastorizia, motore trainante dell’economia locale in quel tempo. Le fonti raccontano anche di uomini trovati morti congelati nei propri letti. Anche per l’agricoltura gli effetti furono del tutto distruttivi: in Pianura Padana gelarono vigneti, ulivi, fichi e in genere ogni sorta di alberi da frutto. Inoltre, gran parte degli alberi della famosa pineta di Ravenna perirono per il gelo.
Passando al 1481-1482 ci furono quattro trimestri quasi consecutivi degni di nota, e tra il 1489 ed il 1490 la Laguna Veneta rimase a lungo gelata, così come il Po e l’Arno, e nevicò a Venezia per dodici giorni consecutivi. Questo, tra le altre cose comportò una tardivissima recrudescenza del freddo a fine maggio ed il successivo 1490/1491, vide un prolungamento del freddo invernale fino ai primi di giugno, quando addirittura nevicò a a Bologna il 1º giugno con 32 cm di accumulo, così come nevicò (pur con accumuli inferiori) a Ferrara tre giorni dopo, con conseguenti gelate mattutine fuori stagione. Il Po, in tempi remoti, poteva ghiacciarsi completamente, tanto da essere appunto transitabile.
Nel “Memorie storiche della città di Cremona” di Lorenzo Manini, che attinse al Campi, si legge che nel 1549 “il Po si agghiacciò, siccome avvenne nel 1126 e nel 1234…che ognuno vi camminava sopra ben anco con carri e cavalli. Dal mese di dicembre iniziò un freddo fierissimo, per il quale il Po s’aggiacciò di maniera che passavano gli uomini, le bestie cariche ed anco i carri; ed alli 15 di detto mese io li viddi sopra il giaccio più di 200 persone, assicurandosi anche le gentildonne di farle correre sopra i cocchi”. Quello poi del 1709 e poi tuttora considerato come l’inverno più rigido della storia d’Europ.
Tra gennaio e aprile 1709 il Vecchio Continente fu investito da un’anomala ondata di freddo che paralizzò l’intera regione, causando un elevato numero di vittime tra la popolazione. In Emilia Romagna perirono, per la morsa del gelo, tutte le piante da frutto, in particolare meli, ciliegi, noci che solitamente resistono anche a temperature molto rigide. A Venezia i contadini portavano i generi alimentari a piedi sui canali ghiacciati. Gelarono molti fiumi, tra cui il Po, che fu ricoperto da uno strato di ghiaccio di circa 70 centimetri, sul quale passavano uomini, carri e cavalli. Roma e Firenze rimasero isolate per le intense nevicate. Nelle campagne le coltivazioni di ulivo, vite e agrumi furono seriamente compromesse o distrutte. In molti casi i terreni coltivati prima del 1709 non poterono più essere recuperati.
Anche nell’Adriatico, come in molti altri porti d’Europa, le gelate bloccarono le imbarcazioni, i cui equipaggi morirono di freddo e di fame. Con leggere oscillazioni, le temperature si mantennero basse fino a primavera. Ma il freddo non fu l’unica piaga da affrontare: al gelo seguirono fame, inondazioni ed epidemie. La neve che si era accumulata nei mesi invernali provocò intense inondazioni al suo scioglimento e le epidemie non si fecero attendere. Aumentarono e si diffusero malattie bronco-polmonari. Il freddo e la fame favorirono il diffondersi dell’influenza, che era scoppiata a Roma l’anno precedente, fino a renderla una pandemia che si sarebbe estesa per quasi tutta l’Europa tra il 1709 e il 1710. Inoltre, dall’Impero ottomano giunse,a peggiorare le cose, la peste.
Passando a tempi molto più recenti, è passato alla storia il grande inverno del 1929 che vide gelare il Po ricoperto da uno spesso strato di ghiaccio, che consentiva alle persone di camminarvi sopra. Ci sono ancora ricordi lasciati dagli anziani che affermavano che occorreva un palanchino per aprire le porte delle stalle e quando si usava l’acqua calda, questa si ghiacciava praticamente all’istante al contatto con l’esterno, così come gelavano gli occhi alle perone. Del resto il 1929 fu anche l’anno della definitiva disfatta dei mulini natanti che macinavano il grano, perché i lastroni di ghiaccio (il “giasson” come lo chiamavano nelle terre di fiume) che arrivavano dal fiume li distrussero in modo totale. All’epoca, va aggiunto, non c’era un monitoraggio di stazioni meteo come è possibile avere ora.
Alcuni documenti indicano che durante il lungo periodo gelido del 1929, così come nel 1956 e 1985, in alcune località della bassa Valle Padana, la temperatura scese anche a meno 30 gradi. Chi scrive queste righe, come già anticipato, ha ben presente l’inverno del 1985. A Zibello, per esempio, quell’anno c’era anche chi si era mosso sulla storica “Lanca ad Barnon” in Vespa, dal tanto che il ghiaccio era spesso. Quelli, sì, erano inverni siberiani, o polari, sempre per usate termini che, in modo inappropriato, sono stati utilizzati per descrivere gli inverni, in realtà piuttosto miti, degli ultimi anni. Inverni che, insieme a tanti altri elementi, hanno dimostrato i chiari cambiamenti climatici in corso.
Inverni come quelli del 1929, del 1985, del 1709 o del 1481 (per citarne alcuni) potrebbero ripetersi? Nulla può escluderlo. Nonostante il riscaldamento globale, che non può essere negato ed è certificato da dati incontrovertibili, l’estremizzazione climatica, come affermano anche molti esperti, può anche riservare eventuali episodi di gelo pari a quelli che, raramente, si sono verificati nel Novecento, quando ancora, tutto sommato, le stagioni si succedevano regolari e il Grande Fiume aveva i suoi cicli naturali con le piene primaverili e autunnali, le piccole magre estive e le sporadiche ghiacciate invernali aiutate da abbondanti nevicate.
Per concludere si può solo dire e rimarcare, ancora una volta, che in ogni tempo ed in ogni stagione, col sole o con la brina, all’alba e al tramonto, con la nebbia o con la pioggia, tra antichi saperi e profumi di cose buone, anche in pieno inverno, le terre di fiume, nei loro essenziali silenzi, offrono sempre straordinarie meraviglie.
Eremita del Po
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