Spente le luci della festa del torrone, si sono accesi i lumi in piazza duomo per la piccola Indi Gregory
Indi Gregory è morta nella notte fra domenica e lunedì. «Mia figlia è morta, la mia vita è finita all’1.45», ha dichiarato Gregory, il padre.
Spentesi le luci della Festa del Torrone, si sono accesi ieri sera i lumi della preghiera di un gruppo di cittadini datisi appuntamento in piazza Duomo per la piccola Indi Gregory, la bambina inglese di otto mesi affetta da un’inguaribile malattia mitocondriale. L’Alta Corte londinese ha disposto che le vengano sospesi i trattamenti vitali di ventilazione, idratazione e alimentazione, accogliendo così l’indicazione dei medici dell’ospedale di Nottingham e respingendo il ricorso dei genitori che si oppongono all’abbandono delle cure. Lo stesso ha fatto la Corte Europea per i diritti dell’uomo. Il governo Meloni è intervenuto con la concessione lampo ad Indi della cittadinanza italiana per provare a rimettere in discussione il rifiuto opposto dai tribunali del Regno Unito all’offerta dell’ospedale Bambino Gesù di Roma di continuare ad assistere la piccola fino alla sua fine naturale e “per difendere”, ha dichiarato la premier, “il diritto della sua mamma e del suo papà a fare tutto quello che possono per lei”. Ma la decisione dei giudici non è stata modificata. Una vicenda, questa di Indi, che ricalca in tutto e per tutto quella di Charlie Gard, fatto morire dalla medesima alleanza tra camici e parrucche nel luglio 2017 all’ospedale pediatrico “Great Ormond Children Hospital” di Londra. E l’attuale vicenda è sovrapponibile anche a quella di Alfie Evans, che ha subìto il medesimo destino all’ospedale pediatrico “Alder Hey Children’s Hospital” di Liverpool il 28 aprile 2018. Per lui, un bambino di quasi due anni, vitale e reattivo come Indi, era già pronto un aereo attrezzato per trasportarlo all’ospedale Gaslini di Genova. Una morte per sentenza di poco preceduta da quella di Isaiah Haastrup, avvenuta il 7 marzo dello stesso anno al King’s College Hospital di Londra. Tutte morti giustificate eticamente dal medesimo principio affermato giuridicamente nel Children Act (1989) del “best interest”, il migliore interesse del bambino.
“Qui si tratta di capire” ci ha detto Gianfranco, “se i figli sono ancora dei genitori o dello Stato, se vale ancora il diritto naturale di patria potestà oppure se lo Stato può arrogarsi un inesistente diritto di vita e di morte”.
Mentre Chiara, insegnante, ha osservato che “proprio nel giorno in cui in Italia si celebra la Giornata delle cure palliative, nell’irriconoscibile patria della Magna Charta e dell’Habeas Corpus ci si rifiuta di curare quando il paziente non può guarire; così, in base a visioni eugenetiche ed eutanasiche, per le quali ci si può ormai permettere di giudicare una vita come indegna di essere vissuta, si manda a morire di asfissia, di disidratazione e denutrizione una creatura di pochi mesi di vita. Di fronte a tale barbarie verso un'innocente presentata come atto di civile pietà compiuto nel suo interesse”, ha concluso, “non resta che pregare”. (m.c.)
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