Visti da vicino, anzi, vicinissimo. Li ha coinvolti nel progetto, li ha accolti, ha parlato con loro prima e dopo l'ingresso in scena, ne è stato l'ombra, ha concordato i brani, è stato nei camerini, ha seguito le prove e condiviso il successo. Chi meglio di Roberto Codazzi, direttore artistico dello Stradivarifestival chiusosi domenica scorsa (con due appendici: il recital, il 18 novembre, di Sergey Krylov e la pianista quindicenne Alexandra Dovgan e lo Stradivariemorialday, il 18 dicembre, di Anna Tifu e Musica Antiqua Latina) può svelare il dietro le quinte della manifestazione e dei suoi talentuosi protagonisti che hanno incantato il pubblico?
La rassegna è stata aperta dai fratelli Alessandro e Massimo Quarta.
“E' stata un'esperienza entusiasmante sotto tutti i punti di vista. Ho trascorso con loro un'intera settimana prima del concerto, frutto della promessa di suonare per la prima volta insieme. Tra i due fratelli ci sono uno scarto generazionale e 12 anni di differenza. Hanno intrapreso strade diverse, ma con la voglia di ritrovarsi. E così è stato. Conosco da tempo Alessandro e lo considero un amico; con Massimo, pur avendo studiato lui alla Stauffer, ci siamo sempre sfiorati senza mai approfondire la conoscenza. Ho trovato due persone dal tratto umano veramente straordinario, al di là del fatto di essere salentini, garanzia di una grande carica umana ed espressiva. Da una parte, la follia artistica di Alessandro; dall'altra, la maggior serietà, ma unita a un carisma fuori dal comune, di Massimo. Sono contento di aver conosciuto Massimo, anche lui si è rivelato un artista con un pensiero forte e una preparazione incredibile”.
I due Quarta sono stati supportati dai giovani dell'Agon Ensemble.
“Quello è stato per me un tuffo al cuore essendo amico e avendo suonato per tanti anni con Mauro Moruzzi, una persona speciale che ha lasciato una traccia non solo artistica ma anche umana. Conoscevo già i suoi due figli, Martino e Marco Mauro, ma ho avuto modo di approfondire il rapporto. Sono due ragazzi degni del loro padre, con un'umanità e una educazione, oggi merce sempre più rara, fuori dal normale. L'eccezionale risultato artistico del concerto è nato da tutti questi fattori. Può sembrare banale e retorico dirlo, ma è così: un progetto di condivisione anche umana che ha portato a un esito artistico unico. Tutto il pubblico, i critici musicali, gli stessi Quarta, il direttore d'orchestra Braconi hanno riconosciuto il talento dei giovani dell'ensemble. La generazione di oggi è la migliore. Quando suonavano, sorridevano, si guardavano, c'era una complicità”.
E' poi toccato al pianista Giuseppe Albanese e al Quartetto d'archi della Scala.
"Conosco da tempo i componenti del Quartetto, soprattutto il violoncellista Polidori, di cui sono amico. Stiamo parlando di musicisti preparatissimi, lo prova il fatto di suonare in un'orchestra tra le più prestigiose al mondo. Ma quando possono esibirsi fuori dall'orchestra, danno qualcosa di più, com'è normale che sia perché sei imbrigliato nell'orchestra. Quella del Quartetto è una complicità di persone che da 30 anni sono fianco a fianco. Lontano dal palcoscenico, sono abituate a prendersi in giro e fare battute, ma si capisce che sotto c'è uno strato che va oltre. Quanto ad Albanese, mi ha stramaledetto per avergli fatto fare a freddo un pezzo (di Franz Liszt, ndr) che andrebbe preceduto da un altro. Ma il pubblico ha capito che era entrato in scena un trapezista senza rete impegnato con un brano di una difficoltà straordinaria”.
C'è poi stato il trionfo di Vinicio Capossela.
“Un artista che vive nel suo mondo, quel mondo poetico che trasferisce nelle sue canzoni. Un mondo fatto di suggestioni letterarie e umane che, frullate insieme, hanno creato un artista di culto per i suoi fans, che lo adorano. Quasi una religione di feticisti. Per entrare in assonanza con questa gente devi trovare un codice comune”.
Lei lo ha trovato?
“E' stata una casualità dovuta al fatto che Capossela ha acquistato a Cremona il suo pianoforte, come lui stesso ha raccontato leggendo alcune pagine della sua monumentale autobiografia. La presenza in sala di Luciano Nazzari, il famoso accordatore di pianoforti invitato dallo stesso Capossela, e l'aver scritto io un articolo quando il cantante venne a Cremona per acquistare quello strumento, ha fatto scoccare una scintilla che da quel momento ci ha messo in assonanza. Capossela è certamente fuori dagli schemi, ma trovare persone immerse in un mondo che è poesia, beh, tutto ciò è interessante, originale. Questi personaggi cercano di proteggersi creando un mondo che serve loro per alimentare la propria arte”.
E così siamo arrivati all'Orchestra femminile del Mediterraneo.
"Il direttore, Antonella De Angelis, è un persona speciale, perbene e molto educata. Possiamo definirla una grande donna perché il suo progetto, che una volta avremmo chiamato femminista, a favore delle donne dovrebbe essere guardato con ammirazione anche dagli uomini perché è un progetto di crescita della civiltà”.
E la solista, Laura Marzadori?
“E' un giovane talento rivelatosi per quello che è: una violinista di una bravura spaziale che ha dato tutta se stessa durante il concerto. Un concerto che ha espresso la bellezza delle donne in tutti i sensi”.
Sabato scorso è stata la volta del pianista Andrés Gabetta e del fisarmonicista Mario Stefano Pietrodarchi,
“Vale a dire, quando la musica è divertimento. Pietrodarchi, un vero istrione giramondo, è abruzzese ma vive a Salò, un crocevia dove ogni tanto ci incrociamo. E' uno dei suonatori più bravi di bandoneon. E lo si è visto, come si sono visti il suo carisma e la sua espressività fuori dagli schemi. Se vogliamo, anche la sua teatralità. Gabetta, che durante quella serata è stato non solo solista ma anche direttore, ha una preparazione fantastica”.
Finale con i fuochi d'artificio grazie al violinista statunitense Joshua Bell.
"Una star internazionale ma anche, per quanto possibile, semplice e, noi diremmo, alla mano. Ha impiegato tutto il tempo prima delle prove per studiare e controllare le luci. Il sabato lo abbiamo mandato al Monteverdi per esercitarsi. E il risultato lo si è ammirato perché tutti hanno riconosciuto che si è trattato di un concerto sbalorditivo. Bell è stato una delle star ascoltate negli ultimi anni che ha mantenuto fede alle aspettative, persino al di sopra di esse. A volte le star vivono di rendita. Ha proposto un programma classico che io non amo particolarmente, ma lo ha eseguito in un modo che ha messo d'accordo tutti. I due bis, impegnativi e bellissimi, hanno fatto capire che è andato al di là del suo compito”.
Il suo bilancio della decima edizione dello Stradivarifestival?
“Quest'anno ho percepito che da parte dei musicisti coinvolti c'è stata la presa di coscienza artistica d'aver suonato in una sala speciale, l'Auditorium Giovanni Arvedi del Museo del Violino, diversa e migliore di tutte le altre. Non solo dal punto di vista acustico, ma anche per l'empatia che nasce con il pubblico. I tanti messaggi che ho ricevuto dagli artisti sono la prova della loro nostalgia per l'Auditorium. Messaggi arrivati dagli stessi Quarta e da Alessandro, che ha detto di voler tornare una volta al mese a Cremona. Pietrodarchi, che il giorno dopo l'esibizione al Museo del Violino, era a Bologna con Gabetta, mi ha mandato un vocale in cui parla di trovarsi in una sala di cemento e del fatto che, invece, l'Auditorium ha 'un suono di una bellezza che ti migliora. In 24 ore la bellezza di quel suono è crollata'”.
Il suo bilancio, infine, di questi dieci anni del Festival?
“Si sta davvero creando, grazie alla vicinanza con gli spettatori e all'acustica della sala, un clima molto bello e, ripeto, di empatia con il pubblico, che comincia a diventare un pubblico, il nostro pubblico. Una magia che non si ripete negli altri teatri”.
La foto è di Danilo Codazzi
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