24 febbraio 2021

Un mese fa se ne andava Alberto Naponi "Ciao, mè adés vòo de là a mòorer"

Un inatteso momento di celebrità ha reso famoso in tutta Italia Alberto Naponi alla soglia dei settant’anni. Le telecamere di MasterChef non hanno creato il personaggio, come spesso capita. L’hanno solo fatto conoscere a una platea molto più ampia di quella che ha sempre avuto in tutti i luoghi che ha frequentato, a cominciare da Cremona, la città dove nacque nel 1946 e dove è morto un mese fa. Pittore, cuoco, sedicente geometra, imprenditore, playboy, giocatore d’azzardo, barzellettiere impareggiabile, Naponi ha cambiato veste con la massima disinvoltura nel corso della sua esistenza, senza rimpianti e recriminazioni. Le sue non erano maschere che ne nascondevano la natura, ma diversi aspetti di una personalità poliedrica.

E’ nato ricco, ha dissipato al gioco una fortuna ed è diventato povero. Ma è rimasto sempre se stesso. E lungo la via ha sempre incontrato qualcuno pronto ad aiutarlo, le sue ‘paperine’ quand’era già anziano. Un romantico, generoso e fuori dagli schemi. Era un seduttore nel senso più ampio del termine. Con la sua simpatia conquistava donne e uomini. Ogni occasione era buona per inscenare una recita perché il suo palcoscenico è stata la vita, affrontata sempre con gioia e con grande dignità quando la malattia l’ha aggredito e ha iniziato a consumarlo.

Ognuno di quelli che l’hanno conosciuto può farne un ritratto inedito perché il pirandelliano Napo era uno, nessuno, centomila. Raccontava senza reticenze, anzi visibilmente compiaciuto dell’attività di falsario esercitata quand’era studente a Brera. Aveva ereditato la passione per la pittura dal padre Egisto, valente artista. ‘I miei Bruegel erano identici agli originali – diceva compiaciuto – e ancora adesso li trovi appesi in alcuni salotti milanesi, scambiati per originali. Ne ho disegnati diversi, finché la questura non mi ha invitato bonariamente a smettere’. Aveva coltivato sin da ragazzo la passione per la cucina. Il biscottificio Baresi, fondato dal nonno, era il suo regno e il luogo di iniziazione ai piaceri. Negli anni cinquanta e sessanta lavoravano da Baresi centinaia di persone, in prevalenza donne. Con una di loro si sposò. Lo fece per prendere un lavoro per il quale era necessaria una moglie, dopo un fidanzamento durato un giorno. Di ritorno dal viaggio di nozze il matrimonio era già finito.

Naponi ha sperperato una fortuna al tavolo verde, senza pentimenti. Ha amato la vita e tutto ciò che di bello e di buono essa offre. Ma ha affrontato con fermezza anche le numerose sconfitte subite. Uomo di vasta cultura, amava stupire citando a memoria Omero e Virgilio. Mai banale, dava il meglio di sé nei momenti di convivialità. Era un incostante, questo sì. Ma come può essere tenace e risoluto un uomo con mille interessi, pronto a entusiasmarsi davanti a ogni novità? Da giovane squattrinato si adatta a svolgere lavori temporanei, tra i quali il facchino. Confeziona un diploma fasullo, si improvvisa geometra e viene assunto da un’impresa di costruzioni che lo manda nel deserto libico a dirigere un cantiere. Una volta smascherato. non si perde d’animo e si reinventa cuoco. Al ristorante ‘L’oro dei farlocchi’, aperto nei primi anni duemila a Bosco ex Parmigiano in società con Aldo Grasselli, ha resistito pochi mesi per poi lasciare tutto e trasferirsi in Brasile. Era un incostante, dicevamo, dotato di mille risorse.

 Scampoli della sua vita straordinaria sono riportati nell’autobiografia ‘La poesia è un risotto all’acciuga’ edito da Rizzoli nel 2014 sulla scia della popolarità conquistata in televisione. Ho avuto il privilegio di intervistarlo alla presentazione del volume al teatro comunale di Crema. Uno strepitoso Napo trasformò quella vernice in uno spettacolo d’alto cabaret dove realtà e fantasia si confondevano tra le risate del pubblico.

 ‘Dopo la cena del mio compleanno dove è apparso in grande forma, grazie anche alla sua abilità nel dissimulare il dolore - ricorda l’amico di una vita Giacomo Bertocchi - ci siamo visti quasi tutti i giorni, compatibilmente col suo stato di salute che andava peggiorando come si poteva dedurre dai documenti clinici che mi mostrava. In autunno ha deciso di farsi ricoverare all'Hospice, consapevole di come gli sarebbe cambiata la vita, probabilmente fino alla morte. Mi ha colpito la lucidità e la serenità con cui ha affrontato questa e altre decisioni molto difficili, non smettendo mai di giocare, a modo suo ma con regole diverse. Solo Paola, sua sorella, poteva andare a trovarlo. Io gli parlavo al telefono, nel pomeriggio, e lo sentivo perlopiù sereno anche se perfettamente consapevole del suo stato’.

‘Due giorni prima di lasciarci – racconta ancora Bertocchi - l'ho sentito molto provato. Parlava a fatica, ma non voleva chiudere la telefonata; Mi stava descrivendo la sua stanza quando s’è interrotto per dirmi,,, ‘mè adès vòo de là ..... vori mia dite in 'ndua vòo ,,, né cusa vòo a fàa.....Vòo a morer’.

 Vittoriano Zanolli

vittoriano.zanolli.it

Vittoriano Zanolli


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