Un murales ad Acquappesa ricorda Lucio Ferrami, imprenditore di Casalbuttano ucciso dalla 'Ndrangheta per essersi rifiutato di pagare il pizzo al clan Muto
Un murales ad Acquappesa, in provincia di Cosenza, in contrada Zaccani, ritrae l’imprenditore cremonese vittima della ‘Ndrangheta Lucio Ferrami. Il mosaico realizzato dagli studenti e da alcuni docenti del liceo artistico di Cetraro, inaugurato nei giorni scorsi, è stato realizzato in ricordo di un uomo coraggioso e testimone del valore del gesto di ribellione alla criminalità organizzata pagato a caro prezzo, nel luogo dove avvenne l’agguato e nel quale la deposizione di una corona di fiori ne omaggia ogni anno il ricordo. Lucio Ferrami, era nato a Casalbuttano nel 1949, ma il suo destino si lega alla Calabria. Aveva iniziato a lavorare fin da giovane nel campo dell’edilizia stradale come dipendente di una ditta lombarda. Aveva circa ventun'anni quando gli impegni lavorativi lo portarono in Calabria, a Guardia Piemontese, dove conobbe Maria Avolio, sua futura moglie. Dopo essersi sposato, Lucio con l’aiuto della famiglia decise di mettersi in proprio: avviò la Ferrami ceramiche per la vendita al dettaglio di materiali da costruzione che da subito diede grandi soddisfazioni al giovane imprenditore. Nel territorio dove la mala allunga i tentacoli è impossibile svolgere il proprio lavoro senza ricevere visite sgradite di picciotti assetati di denaro, portatori di ‘mbasciate per conto del boss di turno, che pretendono il pagamento di una quota degli incassi per evitare spiacevoli conseguenze. Ed infatti dopo qualche tempo la Ferrami ceramiche ricevette la prima richiesta di estorsione da parte delle ‘ndrine locali della costa tirrenica legate a Franco Muto, conosciuto come il "re del pesce" di Cetraro, boss indiscusso dell’alto tirreno cosentino. Alla richiesta del pizzo l’imprenditore cremonese decise di non cedere e denunciò i suoi estorsori alla giustizia facendo mettere per iscritto nomi e cognomi dei criminali. E’ un atto di straordinaria potenza in una terra spesso segnata dall’omertà, dai rumorosi silenzi e dalla rassegnazione di chi cede alla paura di possibili e crudeli ritorsioni. Ferrami racconta tutto ai carabinieri, denuncia. Il 27 ottobre del 1981, l’imprenditore mentre è alla guida della sua auto in Contrada Zaccani, ad Acquappesa, viene raggiunto da una raffica di colpi proveniente dal ciglio della strada dove i killer erano nascosti. E’ un’esecuzione in pieno stile ‘ndranghetista. Il 32enne muore sul colpo, ma riesce a compiere un ultimo gesto d’amore: facendo da scudo a sua moglie e salvandole la vita. La mala strappa via la vita ad un giovane ed onesto imprenditore, lascia vedova Maria Avolio e orfani di padre i suoi due figli: Pierluigi e Paolo, all’epoca dei fatti di 9 e 3 anni. L’omicidio di Lucio Ferrami coincise con quello di altre due vittime innocenti, per questo motivo venne istruito un unico processo per il suo omicidio, quello di Giovanni Losardo e di Catello de Iudicibus presso il Tribunale di Cosenza (trasferito successivamente a Bari per motivi di ordine pubblico). Nel corso del processo, in Corte di Assise, per l’omicidio Ferrami sia Franco Muto che suo figlio Luigi insieme a quattro uomini a loro vicini furono condannati all'ergastolo. In secondo grado furono però tutti assolti con formula dubitativa. Nel 1988 gli avvocati di parte civile avanzarono la richiesta di riapertura del caso: con un gesto clamoroso e senza precedenti, Maria Avolio ricostruì l’intera vicenda fino a denunciare la Procura della Repubblica di Paola, competente sull'indagine per l'uccisione del marito, per omissione di atti d’ufficio; accusò i magistrati di non aver fatto tutto il possibile per impedire l'omicidio, di aver trascurato precise denunce della polizia che segnalavano l'escalation mafiosa a Cetraro, a Paola, a Guardia Piemontese e negli altri paesi limitrofi della costa tirrenica. Sotto accusa sono furono messi i silenzi delle istituzioni, della magistratura e delle forze dell’ordine.
foto da Corrieredellacalabria.it
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