22 marzo 2023

Una serata emozionante al Filo con Flaco Biondini e il suo gruppo nel ricordo di Enzo Frassi, sulle onde di un intramontabile Guccini

Una serata emozionante in un teatro gremito, pronto all’applauso, attento a quelle canzoni che inevitabilmente riportano alla generazione dell’eskimo, cantate con lo stesso trasporto, lo stesso coinvolgimento, la stessa passione che hanno fatto di Guccini un mito generazionale. Flaco Biondini ed il suo straordinario gruppo non si sono di certo risparmiati ieri sera al teatro Filo nel riproporre con nostalgia ed entusiasmo, velato da una sottile malinconia, le canzoni più emozionanti del “maestrone” in un concerto organizzato da “Ensemble Alma Libera”, dove l’amico e musicista Enzo Frassi, prematuramente scomparso nel luglio 2021, a cui la performance era dedicata, era sempre presente, fin dalle emozionanti parole di Pamela Fappanni e di Gianni Azzali con Piacenza Jazz Fest. Il lungo sodalizio con Guccini, fin dalla metà degli anni settanta, ne fa fatto il suo alter ego ideale, l’amico discreto di tanti anni di palcoscenico che, quando ne interpreta le canzoni, lo fa con la stessa partecipazione e con il dovuto rispetto. Flaco di suo ci mette arrangiamenti inusitati avvalendosi di una band dove, su tutti, spicca la batteria di Roberto Pellati, sempre preciso negli inserimenti, cuore pulsante del gruppo, che si avvale anche del giovane bassista Giacomo Marzi, particolarmente in evidenza nell’introduzione ad una suggestiva e trascinante versione di “Asia”, le tastiere del cremonese Giovanni Guerretti. La chitarra di Flaco la conosciamo, chiunque, come il sottoscritto, ha vissuto gli anni della giovinezza accompagnato dalle canzoni di Guccini, ne riconosce lo stile. Flaco dell’amico ne ha assunto l’accento modenese, l’ironia sottile, la battuta ad effetto, i tempi. Basta una nota, un accordo e si rinnova la stessa emozione di quegli anni. A partire dalla struggente “Incontro” dai toni quasi gozzaniani di quelle “stoviglie color nostalgia”. Una versione inizialmente arpeggiata che poi esplode in un crescendo incalzante de “La locomotiva”, la canzone “epica” simbolo di una generazione, le suggestive atmosfere de “La bambina portoghese” che conducono a quell’urlo finale, disperato sul male di vivere nella consapevolezza che non esiste la verità assoluta e “che quel vizio che ci ucciderà non sarà fumare o bere, ma il qualcosa che ti porti dentro, Cioè vivere”. Canzoni eterne, senza tempo, nonostante abbiano cinquant’anni, cantate con la stessa emozione lo stesso trasporto. Scorrono, una dopo l’altra “Le osterie di fuori Porta”, “il vecchio e il bambino”, l’invettiva di “Cirano”. Il pubblico applaude, canta, ricorda, versa qualche nascosta lacrima. E poi quell’unico, atteso bis, l’immancabile “Dio è morto”, manifesto di un’intera generazione. Ed il teatro esplode. Grazie Flaco per averci fatto rivivere le stesse emozioni dei migliori nostri anni. E per questa serata malinconica, nostalgica, ma tanto viva.

Fabrizio Loffi


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