Apre a Milano il nuovo Museo del Design ADI/Compasso d’Oro: gioiello espositivo nato anche grazie all’impegno del cremasco Cabini
Il quartiere è Sarpi, la Chinatown milanese. Per chi ci passava col tram, quella centrale elettrica dei primi ‘900 abbandonata e inquietante sembrava il set ideale per il rifugio del Joker in un film su Batman. Oggi grazie ad un importante investimento di Comune di Milano, ADI (Associazione per il Disegno Industriale) e Fondazione Compasso d’Oro si è trasformato in un gioiello espositivo degno del miglior Made in Italy. Chi scrive ha avuto il privilegio di visitare la struttura che apre oggi 25 maggio alla presenza del Ministro Franceschini, grazie ad una accoppiata eccellente: il milanese Luciano Galimberti, Presidente di ADI, ed il cremasco Umberto Cabini, Presidente della Fondazione Compasso d’Oro, il più prestigioso premio di design italiano. Una ristrutturazione moderna ed elegantissima, uno staff giovanissimo e pieno di energia, banconi e librerie in splendido rame immerse nel bianco candido degli altissimi ambienti inondati dalla luce di mille finestre. Basterebbe questo per passarci una giornata tra il bar e la libreria. Un’area urbana abbandonata ridonata alla città e trasformata in un vero museo modello, interattivo e filologico. Un punto di arrivo che riempie di orgoglio, soprattutto per l’enorme lavoro fatto da ADI e da Cabini in questi anni, e per l’ingente investimento del Comune.
Prima notazione: finalmente un museo didattico e interattivo, e non meramente conservativo ed espositivo. Una vera e propria time-line del design italiano nei decenni, fatta non solo della mera esposizione degli oggetti ma della narrazione della loro creazione: bozzetti, schizzi, prototipi, progetti definitivi, materiali utilizzati e accostamenti temporali che mostrano come ogni innovazione sia al contempo durissimo lavoro, sperimentazione e una re-invenzione del passato, adattata ai tempi.
Poltrone, lampade, caffettiere, automobili e perfino un catamarano campeggiano ordinati con sapienza ed ineccepibile estetica negli spazi del museo dalla terra al cielo, che sembra più un gigantesco studio di architettura in piena attività che un luogo di storia. Chi accede entra subito in rapporto con gli oggetti di uso comune che hanno segnato epoche intere e con creazioni milionarie uniche al mondo: ci sono perfino il primo modello assoluto della Fiat 500 e l’ultima galattica Ferrari Monza SP2.
Al piano interrato, una operazione di recupero incredibile: i vecchi enormi generatori di corrente della centrale, degni della Metropolis di Fritz Lang, sono stati circondati da pareti di ferro brunito e pavimenti e soffitti di lucente ottone dorato. Una location degna del più raffinato e avveniristico Bruce Wayne, per tornare alla bonifica del rifugio del Joker che fu.
E ora, tessute le lodi del museo, veniamo al Design. Quanto è importante oggi dedicare un museo al Design?
Disegnare in inglese si scrive “to draw”, mentre “to design” significa ideare: per una volta, la lingua inglese sfuma più e meglio dell’italiano. Il papà del design italiano è senza dubbi un gigante dell’architettura: Giò Ponti, l’uomo del Pirellone, che quasi da architetto rinascimentale, disegnava tutto dei suoi edifici: lampade, tavoli, poltrone, maniglie delle porte e perfino i bicchieri e le suppellettili che vi si usavano. Fu lui a fondare la prima rivista di arredamento e design “Domus”, ormai divenuta mitologica, nel 1928. E proprio in questi giorni esce con Taschen una monumentale biografia illustrata su Ponti del mio amico berlinese Karl Kolbitz.
Potremmo dire che il design è l’architettura applicata agli oggetti, ma solo quando l’architettura è creazione di bellezza con al centro l’uomo, la sua comodità e l’uso che deve farne. Non come molta architettura contemporanea che ha al centro l’architetto e gli affari ma che dell’uomo si è dimenticata completamente.
Il design non solo ha inventato di sana pianta molti degli oggetti che oggi ci sono indispensabili nella vita quotidiana, ma ha anche in qualche modo rivitalizzato il concetto di “classico”: oggi possiamo dire senza dubbi che la poltrona Bercelona di Van der Rohe , quintessenza della Germania di Weimar all’Expo di Barcellona del 1929, sia nonostante i suoi 100 anni una canone classico quanto un capitello dorico, e al contempo inseribile senza problemi in ogni arredamento ultra moderno degli anni 2020.
Nel Design industriale noi italiani siamo oggi i numeri uno al mondo: un primato che è fatto da oltre 100.000 imprese, con ricadute incredibili perfino sul turismo, e che vale miliardi di euro e centinaia di migliaia di posti di lavoro. Solo il Salone del mobile, che tornerà finalmente a settembre a Milano, genera oltre 200 milioni di indotto nella sola settimana milanese.
Un altro esempio lampante di come la via che deve seguire l’Italia per sopravvivere nel nuovo durissimo mondo post-covid è quella della bellezza.
Visitate il Museo Compasso d’Oro, farà bene a voi e all’Italia.
Sovrintendente agli Archivi del Comune di Milano
Docente di archivistica all'Università degli studi di Milano
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