11 febbraio 2024

Piervincenzo Rinaldi tra arte e vita

Si è inaugurata sabato 10 febbraio, presso la Galleria d'Arte Contemporanea Mangano di Cremona, la mostra dal titolo "Il peso del vuoto", curata da Guglielmo Aschieri Emilio, Francesca Cattoi, Aurelijus Marca, Pierpaolo Mangano e grazie soprattutto alla indispensabile partecipazione della sorella di Piervincenzo, Maria Rita. L’esposizione dedicata a Piervincenzo Rinaldi, nel suggestivo allestimento di Mangano, ha come scopo quello di indagare l’esperienza particolare dell'artista in una fase cruciale della sua vita, mediante lo studio delle opere che ha prodotto nel corso di quel breve periodo. É stata per Rinaldi un'esperienza di identità personale. Viviamo tutti in un mondo di apparenze e ci presentiamo agli altri con atteggiamenti e parole che indicano il criterio nel quale vogliamo mostrarci, e spesso il modo di farci conoscere cambia nei vari momenti della nostra esistenza. Il presupposto di preferire cosa far conoscere di noi attraverso una decisione intenzionale ci appartiene; è un’espressione esterna che avviene attraverso gli strumenti che riusciamo a padro- neggiare, nella particolare vicissitudine di Rinaldi il dispositivo è stato il disegno. Attraverso il medium espressivo del disegno Rinaldi ha voluto indagare l'organo corporeo interno da cui è scaturita la sua malattia, potremmo qui parlare di "estetica della carne”. L'artista ha probabilmente avuto, in quegli stessi momenti, un ripensamento ai suoi studi giovanili svolti presso l'Accademia di Belle Arti di Brera, alle applicazioni di anatomia umana ma all’epoca della sua formazione la pratica del- l'osservazione degli organi, l'accezione, era solo artistica.

L'empatia, come si sa, è una dote essenziale per gli artisti, in quanto sono in grado di percepire la sofferenza dell'altro senza pertanto perdersi in quella afflizione, sono in grado di tornare se stessi in un atteggiamento imparziale al di fuori di chi soffre, affinché la loro creazione artistica possa rivelarsi. Rinaldi ha dovuto procedere secondo questo stesso intendimento, ma la differenza è che la persona in sofferenza era lui. Gli organi del nostro corpo, come si sa, sono elementi essenziali della nostra animazione, sono vulnerabili alle intrusioni, ma difficilmente li identifichiamo con precisione attraverso la nostra mente, se non quando li percepiamo per un'emozione, oppure abbiamo un'esperienza somatica. Una percezione fisica legata ad una consapevolezza emotiva o sensitiva, trasferisce una dinamica o una affettività dall'esterno verso l'interno del corpo. In questo chiasmo tra organicità e mente dobbiamo indagare l'immaginario di Rinaldi; il suo intelletto riflette sul proprio corpo, questa volta con un processo inverso, dall'interno immaginato all’esterno disegnato, in pratica dalla mente alla mano.

Rievocare le circostanze di quando Vince (per gli amici) mi rivelò quei disegni e rivivere di cosa discutemmo, mi permette ora di capire che la carne è una figura profondamente radicata nell'immaginario collettivo.Trasmette sensorialità tattile e motoria, di paura o di desiderio, ogni organo contiene una vascolarizzazione vitale, la carne è un elemento mediatore essenziale del nostro essere vivi. Per questo motivo ancora oggi di nuovo evocare quel momento, durante il quale ho osservato quei disegni, mi obbliga come allora ad esplorare quella sensazione nell'aver visto quel gesto "drammatico” di Vince. Non è bastato comprendere che egli soffriva, ho provato ad immaginare la materialità del suo stato, sopportare questa sua sofferenza dopo averla capita. Rinaldi con questi disegni inaugura, rispetto al passato quando ha avuto occasione di riflettere sul proprio corpo in occasione del progetto per una libreria antropomorfa riproducente il profilo del suo viso, una metaforicità complessa del suo corpo mediante l’analisi anatomica degli organi. Ne è scaturito uno stu- dio quasi medico-scientifico rivolto all'intendimento del meccanismo vitale, coscienza del proprio corpo che scaturisce dalla consapevolezza della sua affezione. Osservazione dell'organicità per rappresentarsi cosa succede al di là della pelle, per presentare la profondità delle viscere e il processo di funzionamento di una macchina complessa come il corpo. I suoi disegni non intendono riflette la realtà bensì reagiscono alla realtà, l'artista non ha un ruolo di esecutore passivo ma di interprete; mette in luce la singolarità del presupposto di ogni condizione umana. L’essere animato da desideri autonomi ma legato e dipendente dai voleri degli organi, un essere disabile e forte allo stesso tempo, sottomesso altresì a contingenze storiche e sociali. Infatti l'antropologia biblica, laddove indaga la natura dell'essere umano, ci ricorda che "l'uomo è carne” e che non è “fatto di carne”, il che sottintende una duplicità indivisibile e invisibile, tra il corpo e l'essere. I disegni e le sculture presentate in mostra funzionano attraverso un procedimento di frammentazione anatomi- ca, danno rilievo alla materia rappresentata, l'azione dell’artista è quella di isolare l’elemento vitale, per strapparlo via dal suo destino per poterlo meglio analizzare, controllare. Il disegno è servito a Rinaldi per affermare, tramite la sua impronta d’artista, che l' immagine disegnata del suo organo è umana in quanto prodotta da un'umano, che lui è lì, ed è vivo; il non voler consegnare di se stesso solo il ritratto analogico prodotto dai medici, la necessità di avvalersi di un'altro fattore di mediazione e questa probabilmente è la sua testimonianza più emozionante e sconcertante.

Oggi rivedendo quei disegni e quelle sculture mi sembra riprender forma l’immagine di quella tragedia, avvenimento che giunge da molto lontano ma che mi è ancora estremamente vicino. Non sono stato in grado di chiarire come Vince abbia potuto distinguere le "due persone”, quella che soffriva e quella che cominciava a configurare materialmente le sensazioni raccolte, a esibirle attraverso una propria rappresentazione. In quale modo raccontare la sua esperienza duplice di sofferente e di artista, come spiegare il coraggio dimostrato se non attraverso la sua immane sensibilità e il suo genio artistico? Mi viene in conforto un passo del racconto Une Mort héroïque di Charles Baudelaire, nell’istante in cui il poeta descrive la sorte tra-gica del suo personaggio: "Fancioulle me prouvait, d!une manière péremptoire, irréfutable, que l!ivresse de l!Art est plus apte que toute autre à voiler les terreurs du gouffre ; que le génie peut jouer la comédie au bord de la tombe avec une joie qui l!empêche de voir la tombe, perdu, comme il est, dans un paradis excluant toute idée de tombe et de destruction”. (Fancioulle mi ha dimostrato, in maniera perentoria, inconfutabile, che l'ebbrezza dell'Arte è capace più di ogni altra di velare i terrori dell'abisso; che il genio sa recitare la commedia sull'orlo della tomba con una gioia che gli impedisce di vedere la tomba, perso com'è in un paradiso che esclude ogni idea di tomba e di distruzione).

Enrico Maria Ferrari


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