14 luglio 2025

Santuario di Madonna Prati, a Roncole Verdi, scrigno di opere d'arte cremonesi, presto riaprirà. Verdi fu uno dei suoi più devoti fedeli; la vicenda del fulmine che uccise 6 persone durante la messa

Dopo sette anni di “buio” e di silenzio sono pronte a tornare alla pubblica visione alcune opere d’arte cremonesi. Sono quelle custodite nel santuario mariano di Madonna Prati, dedicato al Santo Nome di Maria, immerso nella campagna emiliana e molto caro anche a tanti cremonesi che, vista la vicinanza, in tante occasioni in passato lo hanno frequentato. Una “bomboniera” di pace, di silenzio e di preghiera che, alla fine del 2018 è stata chiusa, per cause di forza maggiore (nel vero senso del termine) dovute al crollo di una parte delle coperture. Una situazione che ne ha reso necessaria la chiusura immediata, fino a data da destinarsi, e non poteva essere altrimenti.

Ora la data si sta “manifestando” ed è quella del 2025, anno del Giubileo ordinario della Speranza. Qui di speranza ne è stata messa, fin da subito. Ci sono volute anche tanta pazienza e, ancora di più, molta operosità, da parte di tanti. L’unione delle forze ha permesso di salvare il santuario, rimetterlo in sicurezza e, prossimamente, di riaprirlo ai fedeli.  La chiesa, doveroso ricordarlo, fu eretta nel 1697, e faceva parte della parrocchia di Roncole Verdi, pur fruendo di una certa autonomia quale centro attivo di devozione mariana. Già nel 1400 esisteva in luogo una cappellina nella quale era custodita un’immagine della Madonna col Bambino, di scuola mantegnanesca, dipinta ad olio su tela. Occultata per molti anni in un’intercapedine del muro, fu riportata occasionalmente alla luce nel 1689 ed il ritrovamento della venerata effigie fu contrassegnato da una successione di grazie che il popolo, ed in seguito anche l’autorità ecclesiastica dopo minuziose indagini, non esitò attribuire all’intercessione della Madre di Dio. Da questi episodi prodigiosi trae origine la costruzione dell’odierno santuario mariano, chiuso appunto dal 2018, ma al centro negli ultimi anni di importanti lavori.

In questi ultimi mesi gli interventi hanno avuto una forte accelerazione: all’interno è stato tolto il ponteggio e si possono già ammirare la volta aggiustata e dipinta, come pure il baldacchino restaurato nel presbiterio, le cornici ripulite dei grandi dipinti e dell’icona centrale dedicata a Maria. Restano ormai poche rifiniture prima di fare la pulizia generale e poi riportare i banchi, ripristinare l’impianto audio, allestire l’altare e quanto serve per le celebrazioni. Le campane a battacchio sono già state sistemate per annunciare gli eventi della comunità cristiana locale. All’esterno, dopo il rafforzamento dell’abside e il rifacimento del tetto, si sta provvedendo ora nella facciata del Santuario all’impianto antipiccioni e, sui fianchi, ai pozzetti per lo scolo dell’acqua piovana. Sarà rinnovato anche l’impianto di videosorveglianza. Restano ancora tante opere da compiere: la demolizione di una parte aggiuntiva sul lato sinistro del santuario, il consolidamento di una sala adibita a sagrestia (con una spesa di circa cinquantamila euro), la sistemazione del sagrato con i marciapiedi, il ripristino della “Casa del pellegrino”. Si procede naturalmente con le risorse economiche a disposizione.

Continuano anche i lavori alla casa parrocchiale: dopo la ristrutturazione del tetto, il consolidamento del soffitto del piano terra e l’intonaco esterno, si è allestito un bagno e si stanno montando gli infissi e le finestre. Un impegno notevole, con la direzione dei tecnici della parrocchia (architetto Riccarda Cantarelli e ingegner Andrea Brianti) e la consulenza dell’Architetto Cristian Prati, funzionario della Soprintendenza di Parma e Piacenza. Un impegno notevole, reso possibile dal contributo dello Stato, della Conferenza Episcopale Italiana con l’8XMille,  della Fondazione Cariparma, di privati. Il vescovo di Fidenza monsignor Ovidio Vezzoli con sensibilità si è inoltre reso disponibile a pagare la spesa dei pluviali. Molto si deve alla determinazione del parroco don Luigi Guglielmoni, che è riuscito a stimolare, a coinvolgere e a coordinare il tutto.  “Si spera – dice il parroco - che, riprendendo le attività parrocchiali e la visita dei turisti, altri benefattori si aggiungano a quanti già hanno donato offerte con la possibilità di detrazione fiscale. Al termine dei lavori, saranno comunicate le iniziative pastorali per la riapertura al culto di questo Santuario, cui un tempo i vicariati della diocesi venivano in pellegrinaggio insieme al Vescovo”. Oltre alla primaria venerazione a Maria, il santuario ha avuto tra i suoi pellegrini più insigni Giuseppe Verdi e Giovannino Guareschi.  Era inoltre particolarmente caro anche all’indimenticato monsignor Maurizio Galli che in tante occasioni, durante il suo episcopato a Fidenza, ha celebrato tra le mura di questo luogo mariano.

Il ritorno alla funzionalità del santuario è una lieta notizia anche per i cremonesi. Infatti il luogo è custode e “scrigno” di opere d’arte cremonesi. Tra queste un olio su tela di Giuseppe Moroni raffigurante la “Madonna col Bambino”, datato 1950,  realizzato in coerenza stilistica ai canoni pittorici del Quattrocento. Per molti anni questo quadro è stato al centro dell’altare maggiore. Poi, dopo il recupero dell’originario e venerato affresco della Madonna col Bambino, è stato tolto e sarà posizionato in un’altra collocazione, sempre in santuario. Nella cappella di sinistra spicca invece un grande olio su tela che raffigura la Sacra Famiglia, attribuito a Bernardino Campi e realizzato probabilmente nel 1575 . Il dipinto, adornato da una monumentale cornice barocca in legno scolpito, è al centro di un altare contenente pregiati marmi policromi riconosciuti come "radica del Belgio" ed ha un bel tabernacolo di legno dorato, scolpito e intarsiato, acquistato a Cremona nel 1910, di epoca valutabile attorno alla metà dell'800. Come anticipato il luogo ha avuto tra i suoi più illustri pellegrini il maestro Giuseppe Verdi e lo scrittore Giovannino Guareschi.

Qui Verdi, quando ancora era fanciullo, serviva regolarmente le funzioni e qui si avvicinò, fin dalla più tenera età, alla musica. Ma il santuario è stato anche teatro di un fatto tanto incredibile, quanto tragico, paragonabile ad una profezia che ha avuto proprio per protagonista il sommo musicista e compositore italiano. Mentre, fanciullo, serviva messa inveì contro il sacerdote celebrante, don Giacomo Masini, che lo aveva strapazzato durante la funzione perché, anziché assolvere alle sue mansioni di chierichetto, stava assorto ad ascoltare un altro sacerdote, don Pietro Baistrocchi (col quale studiava) che suonava l’organo. Il celebrante per ben due volte chiese di avere le ampolline, senza avere nemmeno la risposta. Si spazientì e decise di passare dalle parole ai fatti colpendo il giovanissimo Verdi con una pedata. Il ragazzo cadde dai gradini dell’altare, battè il capo e svenne. Dovettero soccorrerlo e applicargli una benda sulla fronte. Nonostante fosse ancora un bambino, Giuseppe Verdi non piagnucolò e, una volta ripresi i sensi, non riuscì a trattenersi e lanciò l’anatema, in dialetto parmense, contro il sacerdote: “Dio t’manda na saiètta” che, tradotto, significa: “Dio ti mandi una saetta!”. Il funesto augurio, incredibilmente, si materializzò dopo poco tempo.

Era il 14 settembre 1828 e si celebrava, quel giorno, la festività patronale del Santo Nome di Maria. Nel pomeriggio si pregavano i Vespri solenni alla presenza di don Giacomo Masini (il sacerdote a cui Verdi aveva augurato il fulmine), curato di Roncole; don Pietro Orzi, arciprete di Frescarolo; don Luigi Menegalli, arciprete di Semoriva; don Bartolomeo Orioli, arciprete di Spigarolo e don Pietro Montanari, prevosto di Roncole. Inoltre, in coro, erano presenti due giovani cantori: Francesco Alussi di Santa Croce di Polesine e Gaetano Bianchi di Roncole Verdi. Il sacro edificio era colmo di fedeli quando, improvvisamente, dal catino dell’abside, giunse fragoroso un fulmine che, facendo il giro dell’interno, spogliò della doratura la grande cornice della Beata Vergine, bruciò tutti gli ex voto appesi alle pareti lasciando incolumi i fedeli, ma uccidendo i sei del coro, vale a dire quattro sacerdoti e i due cantori. Si salvò soltanto il celebrante, don Pietro Montanari, vestito dei sacri paramenti di seta. Come certificato anche dallo stesso Pretore di Busseto, morirono anche due cani (che si trovavano in santuario) e una puledra (che era invece al pascolo a circa cinquecento passi dalla chiesa, forse uccisa però da un altro fulmine).

Alla funzione doveva essere presente anche il giovane Verdi che, da Roncole, dove viveva, arrivava a Madonna Prati a piedi. Ma durante il tragitto, scorgendo il temporale, a metà circa del suo cammino chiese ed ottenne ospitalità ad una famiglia di amici, i signori Michiara, che conducevano il podere “La Cascina” (col beneplacito della Duchessa Maria Luigia). Passato il maltempo, il futuro musicista proseguì il cammino e, una volta giunto sul posto, si trovò di fronte l’amara sorpresa. Una confusione di gente attorno al santuario; chi frettolosamente usciva, chi invocava aiuto e chi raccontava agli altri le proprie impressioni. Verdi si precipitò all’interno dell’edificio e si trovò così di fronte i sei morti. Fra questi anche un suo parente: Gaetano Bianchi di Roncole, uno dei due cantori. Il tremendo spettacolo rimase fortemente impresso nella mente del giovane Verdi che sempre, durante la sua esistenza, rifuggì con orrore di parlare di quell’evento. Da sempre, in tanti, si chiedono se quella sia stata una pura coincidenza o, se in qualche modo, Verdi avesse profetizzato il triste evento.

Se è vero che non è chiaramente possibile dare una risposta, è altrettanto vero che il fatto, da sempre, continua a sollevare una forte curiosità tra la gente. Restando sul fatto della casualità, o meno, di quanto accaduto a Madonna Prati, se da una parte verrebbe da affermare che i fatti fanno pensare ad una nefasta coincidenza, dall’altra è anche vero che molteplici sono gli aspetti misteriosi legati alla figura di Giuseppe Verdi. Non da ultimo il fatto che l’enorme giardino, da lui voluto e realizzato nella monumentale dimora di Sant’Agata, ha una significativa valenza esoterica. Va anche detto che, in ogni caso, anche da adulto, il Cigno di Busseto fu sempre molto legato a questo luogo di cui è e resta uno dei pellegrini più illustri. Basti pensare che, quando costruì la famosa villa di Sant’Agata, da uomo di fede qual’era, pensò alla costruzione anche di una piccola cappella di famiglia e pensò, in particolare, al famoso quadro della Sacra Famiglia di Madonna Prati.

Madonna Prati che, ancora oggi, gravita attorno a questo santuario sorto laddove in passato vi erano state grandi opere di disboscamento e bonifica da parte dei Benedettini di Castione Marchesi e dei Cistercensi di Chiaravalle della Colomba e Fontevivo. Nei prati di Roncole, intorno al 1600, fiorì uno dei tanti episodi di pietà cristiana che stanno incrollabili nei secoli a misurare e testimoniare la continuità e la profondità della fede della gente. Fra i contadini che, per lavoro, frequentavano quei luoghi solitari, la suggestione della Natura e del Creato e la solennità dei vasti silenzi facevano da sfondo a interiori angosce ed ansie che sfociavano nella ricerca del distensivo e riposante mondo dell’amore. Grazie a qualche sacerdote che percorreva quelle lande a piedi, il nome della Madonna iniziò a farsi largo e ad essere ripetuto sempre più insistentemente. Qualche mano pia appese ad un pioppo una immagine sacra, altri vi deposero mazzi di fiori di campo ed iniziarono anche a circolare le voci di grazie ottenute, infittendosi così le visite ed i pellegrinaggi dei devoti. Nel 1632 fu eretta una cappellina con l’immagine della Vergine e aumentò sempre di più il numero di fedeli e pellegrini che vi si recavano in visita. Anche la Chiesa iniziò a interessarsi di quanto accadeva e, dopo accurate e caute indagini, gli inquirenti stabilirono l’esistenza di numerosi casi di guarigione e di scampati pericoli di fronte ai quali non poteva essere messo in dubbio l’intervento soprannaturale della Grazia Divina. Così, col tempo, andando incontro anche alle insistenti richieste dei fedeli, il vescovo autorizzò la costruzione del santuario, che ebbe inizio nel 1690. 

Eremita del Po

Per le foto degli interni si ringraziano il parroco don Luigi Guglielmoni e l’oste Stefano Campanini, per la sensibilità dimostrata e per lo straordinario impegno col quale hanno ridonato ai posteri, e alla storia, questo luogo di grazia e di fede 

Paolo Panni


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