4 aprile 2021

Quel filo rosso tra Dante e Castelnuovo Gherardi

Castel Nuovo Gherardi e Dante. A prima vista abbinamento impossibile. Invece le tracce della storia di questo territorio stendono innumerevoli fili rossi tra la vita del sommo Poeta e gli uomini di queste terre. Basta solo rintracciarle nello scorrere dei fiumi di inchiostro che hanno disegnato la parabola artistica e storica del grande intellettuale fiorentino. Lo si è visto nella Commedia, nelle Lettere, nel De Vulgari Eloquentia e ora tocca alla mirabile opera politica: il De Monarchia. A far uscire dal terreno carsico della storia questo legame e’ Alberto Casadei, professore di Lettura italiane all’Università di Pisa e coordinatore del Gruppo Dante dell’Associazione degli Italianisti. Nel suo volume  ‘Dante – Altri accertamenti e punti critici’ (p.104). A proposito proprio del La Monarchia scrive “ Da riconsiderare con attenzione i rapporti fra Monarchia e De Potestate papae di Enrico da Cremona, ascritto al 1301 ca. riaggiornato all’epoca della discesa di Enrico VII”. Duque Dante si sarebbe confrontato con questo testo filo papale per affermare , invece le sue tesi filo imperiali. Dunque dalle ombre del Medioevo si fa avanti la figura di questo Enrico, all’epoca famoso giureconsulto e collaboratore strettissimo di Bonifacio VIII: pontefice nemico acerrimo di Dante. Henricus de Cremona, de Casalorciis,  fu il 56 esimo vescovo di Reggio Emilia dal 1302 al 1312. L’enciclopedia dantesca spiega che nacque da Cremona “nella seconda metà del XIII secolo da una famiglia di antica nobiltà locale, la cui esistenza è già documentata nel secolo XI ed il cui nome corrispondeva a quello di un villaggio distante poche miglia da Cremona, Casalorci identificato modernamente in Castel Nuovo Gherardi”. Nel Duecento la famiglia acquistò un più chiaro prestigio a Cremona attraverso Pietro padre di Enrico. Enrico dalla sua comparsa venne sempre definito "canonicus Cremonensis" e "decretorum doctor": dunque faceva parte del clero della città lombarda, e si era addottorato in diritto canonico. L’anno precedente alla sua nomina scrisse proprio quel De Potestate papae in cui sosteneva che i ‘ghibellini’ fautori dell’impero fossero ‘perfidi’ e per questo proprio Bonifacio VIII, per premiarlo, lo nominò vescovo. Operetta che fu, per Casadei, una lettura sviscerata da Dante per capire il pensiero dei suoi nemici e in seguito utile per costruire la sua teoria a favore dell’impero e dei ghibellini. Molti i temi portati dal giureconsulto cremonese per sostenere la supremazia del romano pontefice sull’imperatore. Nella Bibbia – per il cremonese -  si sosteneva che il potere era dei sacerdoti e dei re eletti da sacerdoti; Cristo stesso era re e sacerdote, e a Pietro trasmise quindi integralmente il suo potere; perciò il papa è signore di tutte le cose. Elementi che, quello spirituale e quello temporale che non potevano essere disgiunti perché appunto derivanti entrambi da Dio. Vere e proprie bestemmie per il povero Alighieri. Ma Enrico fu un fine politico. Appena sentì che cambiò l’aria si presentò nel 1311 a Milano a accogliere il nuovo imperatore Arrigo VII . Bonifacio era già nella tomba. Primum vivere, deinde philosophari, pensò l’accorto cremonese. 

 

Luca Poli


© RIPRODUZIONE RISERVATA




commenti