18 febbraio 2024

Ricordo dell’artista Carlo Fayer (1924-2012) nel centenario della nascita

Chi si avvicina all’opera di Carlo Fayer ha la sensazione d’accostarsi ad un pozzo senza fondo, ad un mare in cui, per quanto l’acqua profonda appaia limpida, non si riescono mai ad intravederne i fondali. Tali e tante sono le iniziative affrontate, gli interventi intrapresi, le opere e i lavori eseguiti che l’hanno coinvolto. Da straordinario sperimentatore qual era è riuscito sorprendentemente nell’intento di realizzare concretamente e con successo una gamma innumerevole di progetti formativi rivolti a tre precise direzioni: professionale, antropologica, privata

La dimensione professionale

- L’ Artista poliedrico. La produzione artistica protrattasi per oltre un cinquantennio è stata indubbiamente quella più indagata e di essa sono rimaste testimonianze ben visibili, segni di una versatilità e di una particolare attitudine ad affrontare ogni approccio innovativo. Infatti, nel corso della lunga carriera ha con entusiasmo saputo seguire sempre nuovi percorsi stilistici: 

- il Chiarismo, ereditato ancora adolescente dal suo amico e maestro Carlo Martini, - i retaggi degli anni ’40, rivolti al Romanticismo inglese di William Turner e Johon Constable, -le influenze dell’Impressionismo e del Postimpressionismo, ricevute attraverso gli insegnamenti appresi all’Accademia Carrara di Bergamo, frequentata sotto la guida di Contardo Barbieri, - l’adesione al Nuovo Naturalismo dove compaiono le rappresentazioni di pescatori , arenili, paesaggi e spiagge prossimi al Po e le ricche tonalità perlacee si alternano alle scenografie terragne. -Dagli accostamenti alla Scuola di Burano, alle opere del Movimento Concettuale, alla Transavanguardia verso la fine anni ’70, con le tele dove compare la costante presenza del muro e il “Ciclo filatelico” . Emblematica la rappresentazione della parete divisoria, solitamente vista come indice della solitudine esistenziale che attanaglia l’uomo moderno. Ma in Fayer anche un “Muro” può diventare soggetto, simbolo di significativo e possibile incontro. Nelle composizioni materiche lo dicono i mattoni. Il laterizio è alla base dell’edilizia monumentale locale, cellula privilegiata a cui si richiama tutta l’antica arte decorativa e monumentale cremasco-cremonese. Nelle opere “murarie” dell’artista compaiono ripetuti inserimenti, campeggiano piccole aperture o finestrelle, che sembrano aprire spiragli di vita. Le silhouette umane sbucano improvvisamente ed escono dai manufatti cementizi evocando la possibilità di insperati incontri. Sono segni che preludono a nuove possibilità di contatto, offrono una idea anticipatrice, quasi una premonizione all’imminente crollo del divisorio berlinese. Passato e avanguardia formano binomi di speranza e coesistono nello sforzo di giungere al superamento di ogni visione pessimistica. L’ impegno del Maestro si è profuso nell’aver affrontato con successo tante disparate tecniche: olio, acquarello, vetrate, affresco, decorazione, scultura, ceramica, terracotta, incisione, grafica, restauro. Tutte costituiscono i raggi di percorsi rigenerativi, destinati a raggiungere il centro. Così la realizzazione spirituale diventa sinonimo di un vissuto antiborghese, un jungeriano ritorno alla libertà del bosco. 

- Uomo di penna: giornalista, narratore, storico dell’arte 

Se Fayer fu soprattutto un artista, non dobbiamo dimenticare che nella sua dimensione professionale ci fu anche quella del valente uomo di penna. Questa considerazione investe la produzione letteraria, ancor oggi poco conosciuta, che lo ha visto protagonista in svariati settori culturali: giornalistico, didattica, narrativa, fotografia, attivo nei settori realizzativi del designer e dell’allestimento, curatore di mostre e di scenografie teatrali. Questi percorsi compaiono intrecciati, alcuni interessi si sono sviluppati parallelamente nel corso della vita, sovrapponendosi a tal punto da incantare e disorientare l’approccio metodico a chiunque cerchi di ricomporre la stesura cercando un minimo razionale profilo cronologico. Se, come dice il poeta “naufragar m’è dolce in questo mare”, il rischio di perdersi nella sterminata produzione è reale e può intimorire anche il più smaliziato e volonteroso tra i commentatori. Tuttavia la scoperta di tanti tesori vale bene un tentativo. 

Di primo acchito, in mezzo al magma creativo, spuntano quelli che potrebbero apparentemente sembrare dei paradossi ma che fanno parte della naturale, intima anima di un artista complesso e in un certo senso anarchico. Nel caso del ripaltese sarebbe semplicistico parlare di indeterminatezza o peggio di conformismo modaiolo. La continua ricerca, quasi estenuante, per la complementarità è dovuta alla grande capacità nel saper assorbire esperienze, all’innata curiosità ne che fanno un valente artefice operativo, con attitudine alla concretezza, un uomo pratico dalle grandi capacità manuali ma anche un esperto nel teorizzare sistematicamente tutti i processi della vasta produzione, di provare eguale ammirazione per l’ingegnosità tecnologica rinascimentale e per il meccanicismo di Lèger. Merita ancora un cenno l’attività svolta in veste di docente, impegnato nell’insegnamento della storia dell’arte e dedicata allo studio delle arti applicate. Dalla critica quasi ignorato o al più certificato con note d’appendice resta il ruolo giornalistico che Fayer infatti ha dedicato, in maniera consecutiva e professionale, alla cronaca e alla novellistica. Risulta regolarmente iscritto all’albo di giornalista pubblicista e opera instancabilmente nel volontariato culturale presso il Museo Civico di Crema. La sua professione di articolista da origine ad un corpus consistente e continuativo di contributi. Nel corso di vent’anni riserva alla stampa molte energie. Questo legame è iniziato negli anni ’80 con la collaborazione al settimanale Mondo Padano e a Crema Produce. Sono particolarmente significativi gli interventi apparsi sul vivace trimestrale cremonese che usciva diretto da Sandro Uggeri e raccoglieva intorno a sé le firme dei più noti autori locali. 

Dal suo corrispondente cremasco la direzione redazionale riceveva puntualmente scritti che spaziavano su svariati argomenti. Non sfugge nulla all’attenzione dell’acuto osservatore, disponibile alle problematiche del momento, esperto della memoria storica di uomini e fatti, attento alla conservazione e valorizzazione del patrimonio artistico, da sempre appassionato conoscitore, custode delle tradizioni storiche e popolari, religiose e profane della terra d’origine. Molti saggi compaiono dedicati all’arte pittorica e riguardano alcuni capolavori nascosti in provincia “Gli affreschi tardogotici di Dovera” ( Crema Produce 4/88). Risulta altresì impegnato nel riportare lo svolgimento di prestigiose manifestazioni nazionali come la “XLII Biennale di Venezia” (3/86), disserta intorno al cantiere aperto in occasione del “Grande restauro” (1/87) avviato alla basilica di S. Maria della Croce, invita i lettori all’importante mostra in onore del pittore bresciano “Alessandro Bonvicino detto il Moretto” (3/88). L’aspetto più propriamente antropologico domina in altri articoli. Si sofferma accuratamente nell’analizzare le biografie riservate a personaggi di vario genere, attivi in passato oppure contemporanei: “Gersom Soncino stampatori. Da Soncino a Fano” (2/84) , “Un cremonese in Spagna alla corte di Carlo V” (1/85), “Luigi Manini architetto e scenografo”(2/85), “Carlo Martini: l’aristocratica individualità” (4/84), “Amos Edallo, appunti per una biografia” (1/86), “Le improbabili certezze di Biondini” (3/85), “Vi ricordo amici pittori” (4/86), “Un Cremasco alla Scala: Gregorio Sangiovanni”(2/87), “Alla scoperta del padre: colloquio con Pietro Martini” (4/88). 

Un ulteriore gruppo di lavori giornalistici è costituito dalle analisi alle novità librarie. In diverse occasioni ha esercitato l’attività di critico letterario recensendo parecchi volumi per la sezione “Libreria Cremasca” (1/84-2/84-3/85-4/86 -1/88). La scelta mirata degli scritti denota l’affetto che riserva all’antropologia locale, concretizzato attraverso la partecipazione fattiva ai lavori editoriali del Gruppo Antropologico Cremasco e all’allestimento delle mostre fotografiche ( Ex voto 1986, Osterie 1992). Ma lo spirito artistico-poetico non si esaurisce nella produzione di opere scultoree o su tela, dimostra di saper guardare lontano. Se nell’approccio alle tecnicherelative alla terracotta segue la lezione dei grandi decoratori del passato, questo non gli impedisce un avvicinamento e l’approfondimento alla tecnica giapponese di cottura Raku. Il prorompente attivismo si riversa e sconfina sovente anche sulla carta. Rimangono testimonianze anche di tale propensione letteraria. Quando richiesto non disdegna cimentarsi nella poesia. Delicati versi dedicati all’acqua accompagnano la sua opera “Catini d’argilla con acqua”, presentata alla mostra OroBlu (2003). Gli incontri con il poeta ungherese Gyorgy Somlyò e la scrittrice Anna Szeleny (3/85) confermano gli stretti legami che sa intessere tra pittura-poesia, pittura-natura e la disponibilità alla conoscenza delle culture altre. Alla letteratura storico-romanzesca dedica la novella “Un viaggio a Bergamo, fantasia per la nascita di un capolavoro” che vede il pittore Giorgione prendere spunto per il suo capolavoro la “La tempesta” dal un viaggio compiuto nella città di Bergamo. L’ispirazione arriva osservando la Cappella Colleoni, dall’opera di Giovanni Antonio Amadeo. Anche in questo settore ha modo di emergere e ottenere riconoscimenti. “Non capita spesso che chi è artista del pennello lo sia anche della pagina. Ma è il caso di Fayer, strenuo pittore cremasco dagli operosi richiami in tutta Europa”, così il critico letterario Claudio Toscani commenta l’uscita del libro “Racconti del Gerundo, aspetti di un territorio” romanzo storico naturalistico ambientato agli albori della civiltà cremasca . Nel testo l’autore-artista, con una scrittura limpida e coinvolgente meglio di uno storico e di un naturalista, traccia un excursus e presenta una serie di scenografie che partendo dal mesolitico giungono fino al medioevo. Riesce a delineare un avvoncente quadro geologico e leggendario del territorio. Le saghe, tramandate oralmente attraverso i secoli, hanno per protagonisti draghi, serpenti, eroi del passato che interagiscono con i nostri antenati: monaci, cavalieri pescatori e coloni. Vengono descritte le quotidiane imprese, compiute presso rive e paludi del lago Gerundo, icche di una fauna feroce e di una flora selvaggia. Di questo ambiente non ancora antropizzato e inquinato Fayer sa comporre sorprendenti quadri storico narrativi. Il periodo mesolitico, neolitico, romano e altomedioevale sono oggetto di accurate descrizioni dove i primi abitanti del Cremasco timorosi e incantati si muovono tra le meraviglie di una natura madre e matrigna.

La dimensione antropologica 

-Tra sacro e profano 

La predilezione nei confronti della tradizione popolare lo spinge a spaziare dal sacro al profano. Questa ambivalenza si era già espressa anche in altre sedi. La sua adesione a tutte quelle associazioni e comitati che a Madignano, Ripalta Vecchia, Crema a partire dagli anni settanta si vanno formando. Il Gruppo Antropologico Cremasco lo vede partecipe alla stesura dei volumi collettanei che trattano temi apparentemente contrastanti: “Ex voto a Crema” (1986) e “Il Mondo dell’osteria” (1992).

In particolare la sua sensibilità si rivolge alla problematica dei i furti e alla conservazione dei quadretti votivi. A questi già in precedenza aveva riservato attenzione e da antesignano, in collaborazione con la rivista Insula Fulcheria, annuale del Museo Civico di Crema, fin dal 1968 e successivamente nel libretto edito dal Comitato Comunale Pro Marzale e nei Quaderni Cremaschi “Paìs e paişa” aveva ampiamente dissertato. 

L’attenzione nei confronti di un’arte popolare (santelle, ex voto) che a quel tempo era ancora considerata “minore” e scarsamente tutelata. Ancora nei fascicoli di Crema Produce prende in considerazione gli opposti aspetti antitetici che caratterizzano costantemente i comportamenti comunitari: la vita santa e castigata, la condotta laica e godereccia. Ricordo di aver spesso diviso con lui gli spazi riservati alla sezione della rivista dedicati all’etnologia del territorio. Nell’articolo “La raccolta Ermentini alla Trivulziana” (4/87) i signarới (acquasantiere) acquistano riconoscimento di veri gioielli dell’artigianato nostrano in quanto documenti essenziali per capire a fondo i comportamenti affettivo-devozionali.

Accanto agli studi dedicati alla religiosità popolare compaiono quelli riservati alla culinaria. Per l’occasione sembra infrangersi lo stereotipo del pittore emaciato e inappetente, insensibile ai richiami della gola. Ė stato ricordato come fosse un eccellente buongustaio “..un gourmet di levatura internazionale, tanto da essere invitato a far parte dell’ Accademia Italiana della Cucina”. Gli articoli : “Cucina tra passato e presente” (1/89), “Divagazioni sulla cucina cremasca”(2/89), “La civiltà dell’oca” (3/89), “Fine anno a tavola con la tradizione” (4/89) sono sintesi convincenti, pareri di un fine esperto gourmet che apprezza e sa far apprezzare i piatti più prelibati della gastronomia casalinga. 

La dimensione privata

-Lo spirito apolide e l’anima identitaria 

Brevi ma efficaci diari flash vengono affidati al lettore dei “Taccuini di viaggio” (2/86 – 3/87). Rappresentano intuitivi reportage e sintetizzano le innumerevoli esperienze mobili. In questi diari stringati, scritti di getto e dipinti con la freschezza degli acquarelli, sa cogliere l’opportunità per commentare avvenimenti, sensazioni, incontri capitati nel corso degli interminabili viaggi, maturati durante gli innumerevoli soggiorni a Milano, Crema, Venezia, Madrid, Parigi, Provenza, Mendrisio. Dietro la dolce mitezza e la spontanea cordialità del carattere si cela sempre l’ irrequietezza del viaggiatore apolide, arso da un nomadismo spirituale che lo porta per sete di apprendimento e d’avventura ad essere perpetuamente in cammino, a trovarsi sempre a suo agio in residenze temporanee, in dimore tanto diverse e lontane. Finale Ligure, Venezia, Milano, Palermo, Zurigo, Parigi, la Provenza, Zurigo, Santander,

Salamanca, Barcellona, Dusseldorf sono le mete preferite dei suoi itinerari, sede di mostre e delle momentanee o prolungate permanenze. Una mobilità promossa per inseguire e dare spazio a nuovi stimoli, nuove sensazioni, nuovi colori che delineano e prendono forma nei disegni, sulle tele, nell’amalgama della terracotta. Tali emozioni traspaiono anche dai racconti di novelle, nelle relazioni brevi, nelle cronache giornaliere riportate sui taccuini da viaggio, in gran parte ancora inediti. Sono documenti che vanno ad arricchire l’operosità dell’incessante insegnamento artistico. Le contraddizioni della sperimentazione innovativa e l’ancoraggio alla tradizione convivono. A pieno titolo cittadino del mondo, artista conosciuto e apprezzato a livello europeo, spirito libero senza frontiere e ribelle tenacemente insofferente, alieno da ogni ipocrisia nell’Italia perbenista in voga degli anni ‘60-70, eppure sempre saldamente ancorato alle radici identitarie della terra natale, alle memorie della sua gente, alla cultura religiosa e alla tradizione popolare ricevuta dai padri. Queste radici, inconsciamente affiorano nel linguaggio parlato, in cui sovente alterna le frasi colte alle battute in vernacolo che, meglio dell’italiano, sono in grado d’esprimere gli stati d’animo e le potenzialità dell’indole sincera. Nell’ambito artistico, nonostante i prestigiosi riconoscimenti internazionali e le importanti committenze eseguite per conventi e cattedrali, non disdegna di rivestire i panni del madonnaro medioevale per affrescare stupende madonne sui muri, agli angoli delle strade cittadine o in sperdute cappelle dell’amata campagna.

-Volontario della cultura 

Non è mai cessata la militanza di Fayer nelle file del volontariato culturale, incarico che ha costantemente svolto presso il Museo Civico di Crema sempre in stretta collaborazione con i quattro presidenti Amos Edallo, Beppe Ermentini, Gianfranco Belluti e infine con chi scrive. Risulta quindi naturale l’attenzione che riserva puntualmente alla recensione della rivista Insula Fulcheria. Queste ultime considerazioni permettono di ricordare l’operato svolto presso il Museo cittadino che si è esercitato in diverse modalità:

▪ nel ruolo di maestro terracottaio. Insieme a Giannetto Biondini insegna negli anni ‘70 l’antica arte dei figuli nella saletta Agostino da Crema (già sala della ceramica) che allora disponeva di attrezzati forni per la cottura.

▪ Il secondo impegno è riservato alla didattica. A metà anni ’80 a Crema iniziano una serie di frequentati corsi dedicati all’arte moderna. Tiene lezioni che si tradurranno successivamente nella pubblicazione dei quaderni “Episodi di Arte Contemporanea”, preziose dispense, excursus esplicativi dei maggiori movimenti artistici, dagli impressionisti al postmoderno, da Picasso alla pittura murale. Successivamente continuerà questa attività di docente negli incontri organizzati nel’97 presso lo studio del “Nodo dei desideri” diretto da Marilisa Leone, dove disserterà sull’arte del Caravaggio e svilupperà il tema della luce nei fiamminghi, nei maestri veneti e negli impressionisti. In collaborazione con la Civica Biblioteca d’arte al Castello Sforzesco di Milano tratterà il tema delle vetrate istoriate.

▪ Spesso la direzione del Museo ricorre a lui come designer, in occasione dell’allestimento di grandi e piccole mostre, per la sistemazione espositiva ragionata di uno dei tanti settori museali, in occasione di quei piccoli restauri alle opere d’arte e dell’artigianato che richiedono oltre all’abilità manuale anche la sensibilità artistica. 

Nell’arco di una vita tanto operosa, spesa all’insegna della ricerca, della formazione e sperimentazione Carlo Fayer ha fornito l’esempio di un artista ricettivo e generoso. Il suo lascito è una testimonianza inconfutabile, ma il tesoro ancora più prezioso che ha lasciato, non meno tangibile, resta il patrimonio di affetti, di stima e simpatia rimasto in eredità a famigliari, a conoscenti e amici che hanno avuto la fortuna di averlo incontrato durante il suo lungo cammino. Sono trascorsi ormai dodici anni dalla morte dell’artista. Chi gli è stato amico e ha saputo apprezzare la sua grandezza di uomo, al pari di quella di pittore e scultore, lo ricorda sempre con affetto e nostalgia. 

Walter Venchiarutti


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