60 anni fa moriva il pittore Mario Biazzi. Uno dei più grandi pittori cremonesi. Qualche anno fa un suo ritratto venne confuso da una famosa storica dell'arte come un'opera inedita di Klimt
L'11 febbraio di sessant'anni fa moriva Mario Biazzi, uno dei più grandi pittori cremonesi. Qualcuno lo ha definito il più grande ritrattista cremonese ma è stato anche grafico eccezionale e disegnatore infaticabile. Poteva essere celebrato tra i più grandi artisti del Novecento italiano se non avesse scelto di rimanere un isolato, un anarchico. Ma era talmente grande che qualche anno fa su una rivista d'arte venne dato grande spazio al ritrovamento di un Gustave Klimt da una famosa storica dell'arte e critica che nel titolo annunciava: "INEDITO KLIMT, un misterioso ritratto femminile, fino ad oggi sconosciuto, eseguito dal grande pittore austriaco nei suoi ultimi anni". A smentire il mostro sacro della cultura italiana ci pensò Giovanni Valagussa, indimenticato direttore del nostro Museo Civico e all'epoca Conservatore della Pinacoteca dell'Accademia Carrara di Bergamo. Con una lettera inviata al Vascello di Antonio Leoni dimostrò che quel presunto Klimt, altri non era che un ritratto eseguito da Mario Biazzi. "Il ritratto di dama è veramente di bellissima qualità, con gli occhi cerchiati dalle occhiaie livide, la bocca tesa in una smorfia amara,una posa di sofferente disagio. Tutti tratti riconoscibilissimi della pittura di questo straordinario artista di Cremona. Persino il non-finito dell'abito, steso con lunghe pennellate liquide e velocissime, è ben riconoscibile in altre sue opere. Dunque non Klimt certamente, ma un Biazzi che arriva ad un livello di qualità tale da poter essere confuso col celeberrimo maestro austriaco".
Mario Biazzi (Natale era il suo primo nome anagrafico) nacque a Castelverde il 17 dicembre 1880 e morì a Cremona l'11 febbraio 1965. Uscito dall'Ala-Ponzone e portato all'arte figurativa, frequentò l'Accademia di Brera a Milano; poi passò alla "Carrara" di Bergamo. A Milano studiò sotto la guida di Mentessi, Bignami e Tallone; a Bergamo ebbe per maestro Ponziano Loverini. Il primo successo internazionale lo ottenne a Monaco di Baviera nel 1909, con un suo autoritratto giovanile; opera che venne subito acquistata. Dopo questa affermazione venne invitato dall'"Union Internationale des Beaux Arts e des Lettres" ma, di carattere scontroso, non si presentò. Dopo aver lasciato la sua casa di Viale Po 1, si stabilì a Milano dove lavorò con Boccioni, Sant'Elia, Carrà, Wildt, Carpi, Romani e Casorati. Espose a tutte le biennali di Brera, alla "Permanente" e a tutte le mostre indette dalla famiglia Artistica Milanese. Per amore di studio e per cementare la sua preparazione si recò a Londra, dove studiò le opere dei grandi maestri. Come scrive il dizionario biografico dell'Adafa "durante la sua permanenza in Inghilterra stese note autobiografiche che rimasero inedite e che probabilmente ora sono andate perdute. Scritte con uno stile strano, con largo e voluto disprezzo della sintassi, della grammatica, e in genere di ogni regola filologica, esse costituivano una rara testimonianza del carattere estroso e incoerente, se pur ricco di spunti umani, del loro autore. Accostamenti arditi di immagini e di concetti, situazioni scabrose esposte con crudezza, rapide annotazioni di costume denunciavano la sregolata genialità che caratterizzò la sua esistenza. Artista di forte tempra eseguì parecchi ritratti di noti personaggi imponendosi per la sua forte incisività. Altri moltissimi ritratti figurano in case private in Italia ed all'estero".
Tornò a Cremona il 9 gennaio 1917 per non muoversi quasi più dalla città. Gli anni Trenta sono dedicati alla ritrattistica della Cremona bene. Anarchico, insofferente a qualsiasi ordine, scelse questa strada per poter vivere anche se lo intrigavano di più le scene di miseria e dei derelitti. La sua geniale creatività non si estinse nella pittura e quasi si accentuò nel disegno, dove appare intensamente incisivo e molto sicuro nel segno fortemente descrittivo. Sulla rivista "Cremona" nel 1933 Ugo Gualazzini così si espresse su Biazzi disegnatore:"Egli ama le scene di miseria come il Callot o come Lissandrino; e soltanto perchè, nella sostanza, è possibile ritrovare quei tragici motivi antichi e nuovi, vorrei dire eterni, ch'escon dai cenci e dalla fame, come le faville di sotto il maglio". Ricoverato in ospedale nel 1959, si ritirò poi all'Ospizio Soldi dove realizzò migliaia di disegni su taccuini, fogli volanti e cartoncini.
Gianfranco Taglietti così descrive fisicamente Mario Biazzi: "Statura modesta, una gamba cionca, un po' satiro, un po' gnomo di corte, un po' tarato con esperienze di droghe pesanti (il famoso ritratto di Sant'Elia lo dicono esegruito sotto l'effetto della cocaina) visse una vita sventurata, disperata, col solo sfogo della pittura, del disegno. Una sua relazione epistolare con Rosa Luxemburg, la spartachista tedesca uccisa a tradimento da elementi di destra, può servire ad illuminare la sua formazione spirituale: da una parte gli emarginati, dall'altra parte i grassi borghesi". Un aspetto poco conosciuto di Biazzi fu la collaborazione giornalistica con il Padus il periodico umorista indipendente su cui scrisse articoli illustrandoli con disegni e caricature.
Nelle foto l'autoritratto di Mario Biazzi, il ritratto attribuito erroneamente a Klimt, il ritratto di Antonio Sant'Elia (1912), un ritratto virile, l'ascoltazione di un discorso del Duce alla Radio che partecipò al Premio Cremona del 1939 e lo straordinario ritratto di famiglia apparso nel 2014 nella mostra dedicata a Biazzi dall'Antichità Mascarini e curata da Marco Tanzi
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