Amleto alla seconda, Timi mattatore dell'arte del contrasto. Successo per il secondo spettacolo della Stagione di Prosa
Amleto alla seconda (produzione Teatro Franco Parenti e Fondazione Teatro della Toscana) non è solo uno spettacolo in cui si sorride. O a volte si ride, spesso, a scena aperta. È un lavoro complesso, nonostante la semplicità della facciata. E’ a strati e vi regna sovrana l’arte del contrasto assoluto. Del paradosso. Dell’esagerazione. Dove i contorni profondi del dramma shakespeariano si mescolano, in una centrifuga senza fine, con i lazzi e gli scherni di guitti che pure non erano del tutto esenti da quei monumenti drammaturgici.
E di questo va dato il merito, e così non può essere, che a Filippo Timi che non solo lo ha pensato in questa forma, ma che ha soprattutto avuto il coraggio di proporlo sul palcoscenico. E’ un guanto di sfida lanciato al pubblico perché sappia cogliere in quei contrasti e in quelle divergenze, così abissali. l’antica tensione e la moderna dissacrazione. Proprio la decostruzione del testo e di una vicenda che vive, da secoli, nel Parnaso del teatro mondiale che fa vivere questo spettacolo.
Da una parte risulterebbe troppo semplice definirlo come spettacolo di mera avanguardia teatrale. Dall’altra sarebbe altrettanto, troppo elementare, etichettarlo come semplice rivisitazione, a favore di un pubblico contemporaneo, di un lavoro epico come l’originario lavoro del letterato Bardo.
Da secoli, la critica si affanna a cercare una vera interpretazione di chi fosse Amleto, signore di Danimarca. Un folle. Un pazzo. Un mistificatore sottile. Un calcolatore cinico, immerso però in una palude Stigia di dubbi esistenziali. E Timi, al di fuori dei pesanti tomi libreschi, ha voluto dare la sua di interpretazione; sul duro legno del palcoscenico.
Certo la follia non è manca, al suo Amleto che però riempie di noia esistenziale. Non manca neppure la profondità originaria di quando recita le parole del drammaturgo antico. Infarcisce sempre anche di quella durezza verbale e lessicale che certo Shakespeare non si faceva mancare. Però poi aggiunge, Carica di contemporaneità il tutto. Da un gigante Puffo in scena. A siparietti : tanto vicini agli show di Marilyn Monroe che però recita con stile da youtuber di media fascia. I quadri si alternano dipanando in questo mare magnum di alterazioni la vicenda originale.
Lui certo è bravo. Tiene la scena, con forza. Un vero e proprio mago della recitazione. Dialoga con il pubblico anche a distanza. Non spreca neppure il minimo riferimento per stabilire una connessione con chi siede in platea e nei palchi. Mille invenzioni sonore, di luci e sceniche fluttuano nella sua fabulazione. Ci si trova a correre su perigliose ‘montagne russe’. Laddove ci si aspetta una citazione antica, ecco che appare una canzonetta moderna. Modello ‘Bandiera gialla’ anni Ottanta. Quando invece si attende qualche gag da cinepanettone si diffonde per il teatro un’imponente arcaica e gotica polifonia.
Lo seguono alla perfezione su questo difficile sentiero: Marina Rocco, Elena Lietti, Gabriele Brunelli e Mattia Chiarelli che vestono, di volta in volta, i panni dei personaggi del dramma.
Tutto ciò al pubblico; piace. Applaude. Si diverte. Gusta questo infinito carosello di stili che si accavallano senza fine.
Si replica mercoledì 10 sempre alle 20.30
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