12 dicembre 2024

E' più un Pierrot lunare che un Rigoletto padano, ma poi tutti i salmi finiscono in gloria. Applausi al Ponchielli per l'opera di Verdi

‘Coraggioso’: è aggettivo che calza, con garbo, a questo Rigoletto cremonese andato in scena al Teatro Ponchielli come nuovo allestimento in coproduzione con Teatri di OperaLombardia. ‘Coraggioso’ per due motivi: il primo è quello di aver riproposto l’opera di Giuseppe Verdi con un taglio ‘sociale’ e non ‘politico’. Il secondo per averlo proposto a una platea che è legata, per non dire legatissima, alla tradizione con cui viene rappresentata l’opera in tre atti su libretto di Francesco Maria Piave tratta dal dramma di Victor Hugo Le roi s’amuse. (Prima rappresentazione Teatro La Fenice, Venezia, 11 marzo 1851, prima rappresentazione cremonese 1854).   

La  responsabilità se l’è presa tutta Matteo Marziano Graziano  che ha curato la regia e il disegno di luci. E a fianco a lui Francesca Sgariboldi creatrice delle scene e Laurent Pellissiera cui è andato il compito di proporre i costumi. Graziano non esita a portare tutta la vicenda mantovana in un ’non luogo’. In un ‘non tempo’ dove si mescolano suggestioni felliniane come quelle de "La Strada" o di "Ottoemezzo" (leggasi il piccoletto in bianco che dirige la fanfara di fiati) a quadri totalmente astratti. Copiati da una qualsiasi immagine di un moderno store cinese. Un’operazione che se da una parte rende l’opera "eterna": senza riferimenti oggettivi, dall’altra la svuota da tutta la carica verdiana che il maestro di Roncole ha scolpito in questa vicenda. Non è un caso che il passionale buffone padano si trasformi, per lo meno nei primi due atti, in un etereo e triste Pierrot lunare. Solo nel III atto il recupero verdiano sembra quasi concretizzarsi sulla scena riprendendo il lessico forte e sanguigno del musicista delle Roncole.

Una lettura che ha condizionato soprattutto Giuseppe Altomare: Rigoletto. Si trova quasi spento nelle prime battute. La voce è buona e intonata e in certi momenti anche con il giusto piglio espressivo di rabbia e d’orgoglio dello sfortunato buffone di corte. Ma l’abito bianco. La mancanza  dei segni distintivi del giullare gobbo di corte lo confonde con il resto della scena. Si riscatta negli ultimi passaggi, quelli più drammatici della vicenda. Paride Cataldo, il Duca di Mantova, parte anche lui piano. Voce fredda per tutto il primo atto, poi si riprende lentamente e riesce a trascinare un applauso che era mancato nei primi due quadri.  Bianca Tognocchi, Gilda è quella che dà un primo scossone e rianima, con il suo ‘Caro nome’, la messa in scena. Voce cristallina che fai i conti con una partitura dalle mille difficoltà. Ne esce vincente e applaudita 

Prestazioni positive per tutti gli altri ruoli Sparafucile, Mattia Denti; Maddalena, Victória Pitts; Giovanna / La Contessa di Ceprano, Lara Rotili; il Conte di Monterone, Baopeng Wang grande basso; Marullo, Lorenzo Liberali; Matteo Borsa, Raffaele Feo; il Conte di Ceprano, Graziano Dallavalle; Paggio della Duchessa, Federica Cassetti; Usciere di Corte, Marco Tomasoni.

L’orchestra ‘I Pomeriggi Musicali di Milano’ diretta dalla bacchetta di Alessandro D’Agostini, suona con ordine. Ma a tratti per la lettura del direttore sembra non voler incarnare il vigore e la rabbia verdiana del testo. Compito pulito ma senza voli pindarici in un’opera che è , invece, tutta rabbia, vendetta e amore. 

Il Coro OperaLombardia, affidato alle cure di Diego Maccagnola, fa trasparire tutta la capacità di Verdi di ‘orchestrare’ a perfezione anche solo voci maschili. Grande cura nei particolari.

Alla fine il Ponchielli applaude e intona, insieme agli artisti sul palco, la canzone di auguri per Bianca Tognocchi che ha festeggiato in scena il compleanno. Così, come vuole la tradizione, ‘tutti i salmi finiscono in gloria’.

Si replica, sabato 14 dicembre allore 15.30 

Fotoservizio Gianpaolo Guarneri (FotoStudio B12)

Musicologo

 

Roberto Fiorentini


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commenti


Tullia

13 dicembre 2024 08:41

Un'opera così bella trasformata in un carnevale.