Enzo, l'ultimo degli Hohenstaufen, il figlio bello e sfortunato di Federico II nato a Cremona, la città che non dimenticò mai fino alla morte ma che di lui non si è ricordata
“E' uomo di singolare valore e coraggio, e guerriero prode, e sollazzevole quando gli piace, compositore di canzoni, e che in guerra sa andare audacemente incontro ai pericoli, è bel uomo di statura mezzana”. Così descrive Salimbene de Adam nella sua “Cronica” re Enzo, il figlio bello e sfortunato di Federico II, non senza aggiungere che, a suo avviso, di tutti figli dell'imperatore svevo era “il più valente”. Enzo è noto soprattutto per avere dato il suo nome al palazzo bolognese in cui fu richiuso per ventitrè anni e per la fama che lo circonda di romantico eroe nordico, che, dalle finestre del suo carcere dorato, assiste impotente alla tragedia degli Hohenstaufen dopo la morte del padre, alla misteriosa morte di Corrado IV ed a quelle tragiche di Manfredi e Corradino. Poco conosciuto, invece, è il rapporto particolare che per tutta la vita lo legò alla sua città natale, Cremona, al punto da commissionare ad un letterato cremonese, Daniele Deloc, quando oramai era già da anni prigioniero a Bologna dopo la cattura a Fossalta, la traduzione dall'arabo di un trattato di falconeria, la passione che aveva ereditato dal padre. Eppure, mentre il cortiletto di palazzo comunale è stato intitolato alla memoria del padre, nessun ricordo esiste nella sua città natale dell'unico re che vi abbia risieduto stabilmente e ne abbia fatto la sua corte ed il suo rifugio. Di Enzo non si sa nulla di preciso, prima della sua investitura a cavaliere nel 1238 a Cremona. E la cosa è abbastanza verosimile, vista la sua origine, forse neppure imperiale.
Stando a quanto riferiscono due storici medievali a lui contemporanei, Riccobaldo da Ferrara e Francesco Pipino, sua madre sarebbe stata infatti una fanciulla cremonese. Ad onore del vero fino a qualche anno fa non erano mancate neppure altre ipotesi. Ad esempio il cronista di origine francese Giovanni di Viktring sostiene che Enzo fosse figlio di Bianca Lanza, nipote del marchese di Monferrato e madre di un altro figlio illegittimo di Federico II, Manfredi. Altri sulla scorta di Tommaso Tosco hanno ritenuto che fosse figlio di una tedesca, per il nome stesso di Enzo e perchè conosceva il tedesco.
Ma per l'origine cremonese depongono altri elementi: ad esempio il fatto che Enzo nel suo testamento ricorda come sorella carissima una certa Caterina da Marano, di cui ci restano pochissime notizie, tra le quali, però, è di grande importanza il fatto che essa si sposò a Cremona nel 1247 con Giacomo Del Carretto. Enzo, inoltre, fu riconosciuto e creato cavaliere dal padre proprio a Cremona e fece poi di questa città un punto di riferimento costante in tutti i suoi spostamenti. Ci sono dunque molti elementi per poter ipotizzare che egli sia nato proprio a Cremona e qui abbia trascorso la sua fanciullezza. E' incerta anche la data della nascita, che ora viene posta verso il 1220. Infatti secondo alcuni storici, Enzo non avrebbe avuto ancora venticinque anni quando fu fatto prigioniero nel 1249 alla battaglia di Fossalta: il che presupporrebbe che egli fosse nato nel 1224. Contro questa convinzione si sono espressi altri storici più recenti i quali hanno ritenuto del tutto improbabile che Federico II nominasse suo figlio legato generale in Italia nel 1239 se questi avesse avuto a quell'epoca appena 15 anni, per cui si è dunque preferito spostarne la data di nascita verso il 1220. Per la verità, non ci sono ulteriori elementi per poter essere più precisi, se non forse il fatto che ben difficilmente Enzo, quando sposò nel 1238 Adelasia di Torres, già ultratrentenne, poteva avere meno di 16 anni. C'è da aggiungere che la precocità era d'altronde una caratteristica degli Hohenstaufen, se Federico, al momento di fare il suo ingresso trionfale a Cremona nel luglio 1212, dopo una rocambolesca attraversata del Lambro a cavallo per sfuggire ai milanesi, aveva appena 17 anni. Sta di fatto che ancora molto giovane Enzo seguì il padre nei suoi spostamenti nel Regno, in Puglia e Capitanata, di cui parla con nostalgia in una canzone composta nella lunga prigionia bolognese.
I contemporanei sono d'accordo nel descrivere di Enzo la bellezza del corpo e il valore e l'audacia nelle armi. Frà Salimbene da Parma lo descrive biondo, di media statura, di animo valente, di gran cuore e di umore gaio, di mente sveglia e fantasiosa, in guerra molto audace anche se forse troppo spericolato. Daniele da Cremona lo loda per "sa grande cortoisie, sa noble valor".
Nell'ottobre 1238 Enzo, dopo essere stato creato cavaliere, s'imbarcava per la Sardegna con una scorta di gentiluomini per sposare Adelasia, giudicessa di Torres o Logudoro, vedova di Ubaldo Visconti, giudice di Gallura. La scelta era stata suggerita a Federico II dalla famiglia ghibellina genovese dei Doria, suoi fedelissimi sostenitori, imparentati con Adelasia. Giunti a Cremona avevano caldeggiato il matrimonio tra Adelasia ed Enzo, che avrebbe di fatto portato buona parte della Sardegna sotto il controllo dell'Impero. Federico II, colta l'importanza politica dell'operazione, che apriva peraltro un nuovo fronte di contrasto nella sua lotta ormai più che decennale con la Chiesa, aveva mandato subito in Sardegna suoi ambasciatori presso Adelasia per proporle il figlio come marito e Adelasia, pur avendo quasi il doppio degli anni di Enzo, lusingata dall'offerta, accettò. Al papa Gregorio IX non restò che scomunicare i due sposi e lanciare, l'anno successivo, l'anatema contro Federico II per essersi attribuita la sovranità della Sardegna.
In realtà Enzo restò in Sardegna solo pochi mesi, chiuso nel suo palazzo di Sassari, perchè nel luglio 1239 fu richiamato dal padre a Cremona a reggere l'ufficio di legato generale in Italia. Adelasia frattanto, abbandonata dal marito, estromessa dal potere ed angustiata forse dalla scomunica, si piegò sino quasi a umiliarsi al pontefice Innocenzo IV, il quale diede incarico all'arcivescovo d'Arborea di toglierle nel 1243 la scomunica e poi di concederle nel 1245 anche l'annullamento del matrimonio sul pretesto di nullità, per essere lo sposo uno scomunicato. Adelasia visse i suoi ultimi anni di vita nel castello di Goceano, dove morì dopo il 1255, senza lasciare eredi: sembra infatti da escludere del tutto che l'Elena figlia di Enzo che andò sposa al conte di Donoratico Guelfo Della Gherardesca possa essere figlia di Adelasia.
Nel decennio che va dal luglio 1239 al maggio 1249 Enzo, vero braccio destro del padre, fu tra i principali protagonisti dello scontro che infuriava nell'Italia centrosettentrionale tra l'Impero, i Comuni e il Papato. Il 25 luglio 1239 venne nominato "Sacri Imperii totius Italiae legatus generalis" con ampi poteri politici e militari sui vari podestà e vicari (perlopiù pugliesi) a cui Federico II aveva affidato i nuovi distretti territoriali in cui aveva suddiviso il Regno d'Italia. Nel nuovo piano di organizzazione amministrativa che Federico II aveva predisposto in giugno, Cremona era destinata ad essere la capitale di un vicariato che si estendeva su quasi tutta l'Italia del Nord. Era frutto di un lungo lavoro che Federico aveva portato avanti in due anni di continue battaglie e trattative diplomatiche. Federico II, di ritorno dall'impresa in Germania contro il figlio Enrico, aveva dapprima incontrato le milizie cremonesi nell'agosto del 1236 sul fiume Mincio e con esse si era recato in città; da questo momento e sino al 1250, Cremona svolse il ruolo di capitale imperiale per l'Italia settentrionale e l'imperatore vi soggiornò non meno di diciotto volte.
La città era divenuta l'anno seguente il quartier generale dell'esercito imperiale prima della campagna contro i bresciani e i milanesi. All'indomani della vittoria di Cortenuova (27 novembre 1237) Federico II aveva fatto il suo ingresso trionfale in città, accompagnato dal suono delle trombe, scortato da una colonna infinita di prigionieri e seguito dal carroccio dei milanesi, la cui antenna era inclinata fino a terra e sopra il carro era legato con disonore il podestà di Milano, figlio del doge di Venezia Pietro Tiepolo. Il carroccio nemico era trainato dall'elefante di Federico, che portava sul dorso un castello di legno con armati e con le bandiere recanti l'aquila imperiale. Le prigioni della città si erano riempite di nemici in attesa di essere registrati e trasferiti nei castelli della Puglia e della Calabria. In seguito a Cremona si era celebrato il matrimonio di Ezzelino da Romano con la figlia dell'imperatore, Selvaggia, e nel 1238 il figlio Enzo aveva ricevuto, come abbiamo visto, l'investitura a cavaliere.
Dal momento del suo ritorno dalla Sardegna fino alla battaglia di Fossalta, Enzo fece di Cremona la sua base operativa e la sua reggia. Come il padre, d'altronde, anch'egli non era un sovrano residente, nella città si fermava per qualche settimana in un palazzo imperiale vicino al monastero di San Lorenzo, ormai inserito entro la cinta edificata nel 1169. In questa città vecchia abitavano i rappresentanti della Societas militum, i nobili, che si contrapponevano al popolo, che era sistemato oltre la Cremonella presso la chiesa di S. Agata, ove fu edificato il Palazzo del Popolo nel 1256. Enzo restò a Cremona fino a settembre, quando invase la Marca d'Ancona che l'Impero rivendicava di diritto e che era stata occupata da Innocenzo III durante la minorità di Federico II. Molte città della Marca gli si sottomisero senza opporre resistenza: così Iesi, Macerata ed Osimo, a cui Enzo aveva promesso alcuni privilegi economici. Il papa rispose all'invasione della Marca riscomunicando Enzo e togliendo ad Osimo il seggio vescovile. Furono dieci anni di frenetica attività militare. L'anno successivo Enzo fu a fianco del padre dapprima a Foligno e poi all'assedio di Ravenna. Nel maggio 1241 era a Pisa a comandare le operazioni navali contro i genovesi alleati del Papa, sconfitti tra l'isola del Giglio e Montecristo, catturando un ricchissimo bottino, oltre a cardinali e un centinaio di alti prelati che fece rinchiudere nel castello di San Miniato e poi trasferire in carcere nei castelli pugliesi. Si portò poi in Romagna poiché, ormai caduta Faenza, sembrava prossima l'occasione per un attacco decisivo alla strenua Bologna. A Ravenna cadde ammalato e venne curato dai monaci di S. Maria in Porto, che egli poi ricevette per gratitudine sotto la speciale protezione imperiale. Nel 1242, essendosi bloccata per la morte di Gregorio IX la marcia di Federico II su Roma, Enzo si impegnò prevalentemente in azioni di saccheggio e devastazione nei territori dei Comuni guelfi lombardi: fece scorrerie nel Milanese, assediò e prese il castello piacentino di Roncarello, distrusse Treviglio e altre località sulla sinistra dell'Adda sino a quando, ferito ad una coscia da un dardo nei pressi di Palazzolo, nel Bresciano, non fu costretto a ritirarsi a Cremona. Nel 1243 proseguì le sue campagne in Lombardia per poi ritirarsi infine di nuovo a Cremona. Nel 1244, unitosi di nuovo a Manfredi Lancia e a capo di una nutritissima cavalleria e delle milizie comunali cremonesi con il loro carroccio, Enzo puntò su Piacenza e bruciò alcune località prossime alla città, compreso l'ospedale di S. Spirito, ma essendoglisi fatto incontro un forte esercito della Lega lombarda preferì ripiegare prudentemente su Cremona.
Nel 1245 il nuovo papa Innocenzo IV, il genovese Sinibaldo Fieschi, riuscì a convocare a Lione un concilio che il 7 luglio dichiarò Federico II deposto, sciogliendo i suoi sudditi dal giuramento di fedeltà e bandendo contro di lui una crociata. Anche Enzo venne, in quell'occasione, per l'ennesima volta scomunicato. Ebbe poi dal padre il compito di muovere dall'Adda contro Milano con le truppe di Cremona, Parma, Reggio e Bergamo. Pur ostacolato da un canale artificiale fatto costruire dai Milanesi, riuscì infine ad attraversarlo e a venire a battaglia, l'8 novembre, coi Milanesi a Gorgonzola. L'esito fu felice per le sue truppe, ma Enzo, spintosi audacemente troppo avanti, fu catturato da un drappello di nemici capeggiati da Simone di Locarno e subito rinchiuso nel campanile di Gorgonzola. Il sopraggiungere delle truppe imperiali convinse pero i Milanesi a liberarlo, non prima però di avergli fatto giurare di ritirare il suo esercito e di abbandonare la campagna in atto, cosa che fece subito dopo anche Federico II.
Nel marzo 1247 rientrò a Cremona per assistere alle nozze della sorella Caterina e si diede poi a saccheggiare il Bresciano ponendo l'assedio al castello di Quinzano. Qui si trovava quando gli giunse nel giugno la notizia che Parma si era ribellata mettendo in crisi tutto lo scacchiere militare ghibellino ed in pericolo il transito verso il Sud attraverso il passo della Cisa, oltre alla sicurezza della stessa Cremona ormai completamente circondata da città tutte guelfe. Enzo corse subito ad assediare Parma, ma commise forse l'errore di non attaccare subito la città, ben presto sostenuta da armati inviati da tutte le città della Lega. Quando giunsero, nel luglio, anche le truppe imperiali di Federico II attaccare la città era ormai divenuta operazione impossibile e fu quindi deciso di prenderla per fame. Fu allora che Federico II decise che, una volta conquistata Parma, l'avrebbe distrutta dalle fondamenta costringendo gli abitanti ad andare ad abitare la nuova città che egli si mise a costruire in gran fretta tra Parma e Fidenza e a cui diede il nome augurale di Vittoria.
Ad Enzo frattanto fu affidato il compito di battere le strade che portavano a Parma per impedire rinforzi di armati o rifornimenti di vettovaglie agli assediati. Passò così tutto l'inverno, ma la mattina del 18 febbraio 1248, mentre Federico II si era recato a caccia col suo seguito, i Parmensi uscirono in massa dalla città e, sorprendendo gli assedianti, distrussero Vittoria, impadronendosi dello stesso tesoro imperiale. La clamorosa e inaspettata disfatta fu un colpo fatale e decisivo per i piani di Federico II e a nulla valse il fatto che egli si ripresentasse dopo appena quattro giorni con un esercito davanti alla città di Parma. Enzo frattanto si spostava a Cremona, dove veniva nominato podestà, col compito strategico di mantenere sotto controllo la forte posizione che occupava sul Po.
Nel 1249 sposava a Cremona una nipote di Ezzelino da Romano di cui non ci è stato tramandato il nome. Si trovava ancora a Cremona quando venne avvertito che i bolognesi avevano deciso di muovere contro Modena che si manteneva ostinatamente fedele all'Impero. Enzo raccolse la sua guardia tedesca con i cavalieri cremonesi e reggiani e si precipitò a Modena e da qui mosse subito, con le fanterie modenesi, verso il Panaro. Vi giunse alle 3 del pomeriggio del 26 maggio e cominciò ad attaccare i guastatori bolognesi intenti a far legna per la costruzione del ponte. Le grida di costoro spinsero i Bolognesi ad attraversare in massa e precipitosamente il fiume, mentre i loro squadroni di cavalleria, con ampio movimento avvolgente, sorprendevano ai fianchi l'esercito imperiale stanco e disorganizzato. E. ordinò la ritirata, ma rimase a proteggere la retroguardia con i suoi cavalieri tedeschi. Un rallentamento alla ritirata avvenne alla Fossalta a causa di un torrente ingrossato dalle acque: da qui verso Modena la ritirata si trasformò in rotta disastrosa. Lo stesso Enzo, giunto in località San Lazzaro, alle porte di Modena, fu rovesciato da cavallo e venne ben presto catturato. Alla fine della giornata i Bolognesi trionfanti si accorsero di aver fatti prigionieri, oltre al re, ben 1.200 fanti e 400 cavalieri, fra i quali Buoso da Dovara, condottiero dei Cremonesi, Marino da Eboli, podestà di Reggio, Corrado conte di Solimburgo, Antolino dell'Andito, Gerardo Pio, Tommaso da Gorzano e molti altri nobili ghibellini.
Enzo fu dai Bolognesi dapprima rinchiuso, sino al 17 agosto, nella rocca di Castelfranco e poi in quella di Anzola sino al 24 agosto, giorno in cui venne condotto trionfalmente a Bologna e rinchiuso in quel palazzo nuovo che il Comune aveva costruito nel 1245 e che da allora si cominciò a chiamare "palazzo di re Enzo”. Con lui furono imprigionati Marino da Eboli, Corrado di Solimburgo, Buoso da Dovara e Antolino dell'Andito, mentre tutti gli altri prigionieri vennero distribuiti in varie carceri private, poste nei quattro quartieri cittadini. Per costoro iniziò molto presto l'abituale operazione di riscatto, cosicché non era passato neppure un anno che nelle carceri bolognesi restavano poco più di 300 prigionieri, di cui diversi fuggirono nell'aprile 1253. Federico II scrisse diverse lettere ai Bolognesi perché suo figlio venisse liberato, alternando le lusinghe alle minacce, ma i Bolognesi, orgogliosissimi della loro preda, decisero di tenere Enzo prigioniero sino alla morte. E così il giorno seguente l'ingresso di Enzo a Bologna si radunò il Consiglio comunale per deliberare che il giovane re mai e a nessun patto potesse essere rilasciato, ma dovesse vivere prigioniero sino alla fine dei suoi giorni, provveduto a pubbliche spese e con servitù consona al suo rango. Ai primi del 1272 Enzo si ammalò e fu preso in cura da diversi medici, tra i quali uno di sua fiducia, Eliseo da Siena, che egli volle fosse ricompensato con la cospicua somma di 100 lire di bolognini. Ma ogni cura fu inutile: morì il 14 marzo di quell'anno. Il suo corpo fu imbalsamato e, rivestito di abiti regali, fu sepolto, con solenni onoranze a spese del Comune di Bologna, nella chiesa del convento di S. Domenico. Nel suo testamento del 6 marzo 1272 alla sorella Caterina da Marano che, rimasta vedova nel 1268, si era trasferita da Cremona a Bologna per essergli di conforto, lascia 2.000 lire e altre 500 al convento delle suore della Misericordia che l'avevano onorevolmente ospitata. Prima della morte, comunque, Enzo dalla prigionia ebbe ancora modo di ricordarsi della sua Cremona quando chiamò presso di sé un giovane traduttore cremonese, Daniele Deloc, al quale commissionò la traduzione in antico francese di due trattati di falconeria dell'arabo Moamin o Moamyn e del persiano Ghatrif o Tarif, che costituiscono il primo testo scritto in lingua d'oïl nella penisola italiana.
Nelle foto: Adelasia di Torres incontra Enzo di Svevia; La battaglia di Fossalta, miniatura del codice Chigi (sec. XIII); Re Enzo imprigionato a Bologna, miniatura medievale; Il palazzo di Re Enzo a Bologna
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commenti
Dimena
18 dicembre 2023 12:29
Perché Cremona operistica per ricordare gli Hohenstaufen non mette in scena la stupenda opera Agnes di Hohenstaufen del grande Gaspare Spontini? Una proposta per Cremona musicale e un dovere per quella grande dinastia. Accorrerebbero spettatori da tutta europa