Ha suscitato tanta commozione e ricordi la scomparsa di Fausto Coelli, musicista, commerciante (suo il negozio Coelli Sport in Galleria) e sportivo. Fu lui a fondare con Mina il complesso de "I Solitari" (leggi qui). Il papà di Fausto fu un eccellente sarto. Ecco, nell'articolo del nostro Fabrizio Loffi, la storia di quando Nino Coelli creò le divise di Farinacci e Mussolini.
Era una mattina d'estate del 1938 quando Roberto Farinacci entrò nel laboratorio di sartoria di Nino Coelli in via Torriani. Erano amici da tempo e Nino aveva già dato prova del suo amor patrio in qualità di presidente della sezione cremonese dell'Associazione nazionale dei volontari di guerra. Ma soprattutto Nino era un abile sarto come il padre Ernesto, da cui aveva ereditato il negozio in corso Mazzini, specializzato nella confezione di divise militari. «Mi serve una divisa estiva per andare in Africa». Qualche tempo prima, il 12 giugno, Farinacci era stato nominato Ministro di Stato, chiudendo definitivamente il lungo periodo della guerra fredda che lo aveva visto per tanti anni, una decina, anteposto al capo del Governo Benito Mussolini, che ora lo aveva voluto addirittura al suo fianco. Non era stato facile, per uno come lui, vedersi confinato a Cremona, lontano dai palazzi della politica nazionale ma ora, dopo aver partecipato alla guerra d'Etiopia guadagnandosi una medaglia d'argento, ed aver effettuato una missione riservata presso il generalissimo Franco nella guerra civile di Spagna con una lettera di presentazione che lo definiva “combattente di razza”, il suo momento era finalmente giunto. Ai primi di gennaio del 1935 era stato riammesso nel Gran Consiglio del Fascismo e pienamente reintegrato il 10 giugno 1936, dopo essere stato decorato da Mussolini in persona il 31 maggio. Nel suo nuovo ruolo di Ministro di Stato, una carica che sarebbe stata soppressa solo con la Repubblica Sociale, lo attendevano missioni importanti. La prima, già nell'autunno del 1938 nei nuovi territori dell'Africa Orientale Italiana come ispettore della Milizia Volontaria per la Sicurezza Nazionale. La seconda l'anno dopo per verificare le condizioni dell'amministrazione coloniale, al termine della quale, il 21 dicembre 1939, invierà a Mussolini una relazione molto critica. «Una divisa estiva per andare in Africa non può essere la solita con giacca nera e pantaloni bianchi – gli suggerì Nino Coelli – sarebbe meglio, visto il clima, realizzarla interamente bianca». Va bene, rispose Farinacci, che bianca sia. E Nino si mise al lavoro. Quando a Roma si riunì nuovamente il Consiglio dei Ministri il neo ministro di Stato si presentò davanti a tutti vestito completamente di bianco destando lo stupore dei presenti ma, soprattutto, dello stesso Capo del Governo che chiese spiegazioni sul nuovo look, così poco austero rispetto al tradizionale nero dei palazzi romani. Farinacci spiegò che la divisa era stata confezionata su suggerimento del suo amico sarto cremonese che gli aveva indicato il bianco come colore migliore per la missione che lo attendeva. Il duce non seppe resistere alla tentazione. «Ne voglio anch'io una così, dì al tuo sarto di farmela». E Farinacci telefonò a Nino presentandogli la strana richiesta: una divisa bianca per il capo del fascismo. Ma Nino non poteva assentarsi per molto tempo dalla sua bottega di Cremona e si convenne che Mussolini avrebbe spedito come modello per Coelli il suo abito migliore. L'austera auto governativa arrivò a Cremona ed il suo prezioso carico fu trasportato nell'atelier, dove Nino e le sue lavoratrici si misero immediatamente al lavoro. Una volta terminata, la divisa venne spedita a Roma. Mussolini la provò e ne rimase entusiasta. Chiese a Farinacci quale fosse il compenso per il suo amico cremonese, ma il ministro, che già aveva interpellato Nino Coelli, rispose che il sarto non voleva nulla. Tuttavia Mussolini volle fare di testa sua e, per ricompensare il lavoro, inviò a Cremona due grandi arazzi confezionati a mano dalle suore di un convento romano.
Gli arazzi vennero esposti nel negozio di corso Mazzini poi, una volta terminata la guerra, al momento di trasferire l'attività nella galleria XXV Aprile, il figlio Fausto decise di rimuoverli ed avvolgerli in grandi fogli di carta perchè non prendessero la polvere. Infine li cedette ad una famiglia di propria conoscenza che ancora oggi li conserva nella propria dimora. Uno di questi raffigura lo stesso Mussolini: è un drappo in velluto di color rosso amaranto, con l'immagine del duce, raffigurato in modo scultoreo come fosse un imperatore romano. Drappi di questo tipo erano prodotti in numero limitato di esemplari, e venivano utilizzati per diverse circostanze, in particolare durante comizi pubblici ed inaugurazioni. Il drappo è in ottime condizioni, con la passamaneria originale d'epoca e le frange inferiori integre. Romano Mussolini, nella biografia del padre (Il duce mio padre, Rcs-Bur, 2004), ricorda che un arazzo simile veniva appeso al balcone di palazzo Venezia in occasione dei discorsi del duce.
Roberto Farinacci si fece immortalare nelle vesti di Ministro di Stato indossando la nuova divisa bianca immacolata in due foto di Ernesto Fazioli, attribuite nel catalogo delle fotografie conservato in Regione Lombardia al 1934, ma sicuramente risalente ad un periodo successivo appunto al 12 giugno 1938. Mussolini compare con la divisa confezionata su misura da Nino Coelli in una foto che lo ritrae insieme a Farinacci alla prima edizione del Premio Cremona del 1939. Lo stesso Farinacci la indossa accogliendo il re Vittorio Emanuele III sotto i portici del palazzo comunale nella medesima occasione ed in un fotomontaggio di propaganda realizzato nel 1940 dallo studio Fazioli, e, sempre nel 1940, in auto in compagnia del gerarca tedesco Esser.
I rapporti tra Roberto Farinacci e Benito Mussolini erano entrati in crisi fin dall'autunno del 1925, in seguito alla strage di antifascisti avvenuta in Toscana fra il 3 ed il 5 ottobre. Preoccupato per l'eco negativa che questi tragici fatti stavano suscitando nell'opinione pubblica italiana e internazionale, Mussolini, nella riunione del Gran Consiglio del fascismo del 5 ottobre 1925, aveva fatto approvare un ordine del giorno riservato, che disponeva fra l'altro "lo scioglimento immediato di qualsiasi formazione squadristica" e l'espulsione dal partito di chiunque non ottemperasse a tale ordine”. Di fronte alla riluttanza di Farinacci nell'applicare le disposizioni che avrebbero significato per lui una sconfitta politica, Mussolini il 13 ottobre 1925 gli aveva inviato un durissimo telegramma in cui lo accusava velatamente di proteggere dei criminali in seno al partito e ribadiva il proprio potere assoluto. D'altronde, fin da quando era stato nominato segretario generale del Partito Fascista il 12 febbraio 1925 Farinacci aveva voluto rimarcare la propria differenza da Mussolini, fino al punto di apparire l'antiduce. Durante i tredici mesi del suo segretariato aveva preso sempre più corpo quella dicotomia ai vertici del fascismo, cui corrispondevano diversi settori sociali. Nella politica di Mussolini si ritrovavano la monarchia, le forze armate, il mondo industriale e finanziario, la media ed alta borghesia. All'intransigentismo di Farinacci guardavano con simpatia strati di piccola borghesia oltre alle frange minoritarie ma estremamente attive di squadristi, cui venne dato nuovamente spazio. La politica normalizzatrice di Mussolini mal si conciliava con la ripresa dello squadrismo e, come osserva De Felice, con "alcune prese di posizione più violente e intransigenti di Farinacci che rischiavano di compromettere gli sforzi di Mussolini per legare a sé i fiancheggiatori e ricucire nell'opinione pubblica e nella classe politica le lacerazioni dei mesi precedenti" (De Felice, Mussolini il fascista, Einaudi, Torino 1968).
La crisi era poi divenuta irrecuperabile dal 30 marzo 1926, quando il ras cremonese era stato costretto a dimettersi dal Gran Consiglio dopo aver difeso strenuamente l'imputato principale del delitto Matteotti, Amerigo Dumini, con argomentazioni talmente demagogiche da irritare qui rappresentanti del fascismo moderato di cui il Duce temeva di alienarsi le simpatie. Tuttavia Farinacci, seppur costretto a Cremona da cui lanciava i suoi strali dalle colonne del “Regime Fascista” non era scomparse dalla scena: in agosto del '29 è di nuovo insieme al Duce, con Balbo e Grandi, a passare in rassegna i balilla in visita a Villa Torlonia. Ed ancora, il 23 marzo 1930 è a Verona per la commemorazione dei Fasci di Combattimento. In maggio segue il Re a Catania. Qualche volta è lo stesso Mussolini a prendere, però, le sue difese, come quando dopo l'attentato di Anteo Zamboni a Mussolini, a Bologna il 31 ottobre del 1926, la polizia nel tentativo di risolvere aspetti oscuri della vicenda, ritiene vi siano implicati componenti del fascismo estremista ed il Duce lo scagiona completamente. Nel 1928 Farinacci è ancora al centro di una tumultuosa vicenda giudiziaria, denunciando, tramite l’ex Federale di Milano Carlo Maria Maggi, poi espulso dal partito, un presunto intrigo politico, con risvolti economici, perpetrato nel milanese dal Podestà Ernesto Belloni, dimessosi nello stesso anno, e dal Federale Mario Giampaoli, implicato nel gioco d’azzardo. Farinacci arriva ad accusare Giampaoli di tentato omicidio nei suoi confronti: il Giampaoli viene espulso dal partito nonché citato in giudizio e condannato in base a prove schiaccianti nel 1930, grazie all'intervento di Achille Staracer, inviato dallo steso Mussolini a svolgere le indagini.
Dopo la nomina di Starace a segretario nazionale del PNF, Farinacci si isola per qualche anno dalla vita politica, dedicandosi alla professione forense e giornalistica raggiungendo grandi risultati con il suo giornale “Il Regime Fascista”, a diffusione limitata all'Italia settentrionale, che arriva a vendere più copie del stesso “Popolo d'Italia”. Dalle colonne del suo quotidiano non lesinò attacchi ad alcuno; memorabile resta il suo violento attacco ad Arnaldo Mussolini, fratello del Duce e organizzatore delle Battaglie del Grano e del Rimboschimento, accusato, in modo dimostratosi poi del tutto infondato, di aver ricevuto finanziamenti occulti. Ma ormai è giunto il momento delal riappacificazione, preceduta ancora da una prova di forza: l'8 ottobre 1933 Farinacci porta a Roma con quindici treni speciali sedicimila fascisti cremonesi che portano in dono al duce un toro, due mucche e sei violini. Musolini non può far altro che capitolare ed il 21 novembre convoca Farinacci per un colloquio chiarificatore che prelude alla pace, sancita definitivamente dalla visita effettuata a Cremona dal Duce il 7 ottobre 1934.
L'occasione per il rilancio definito arriva con la guerra d'Etiopia. Alle prime avvisaglie della Guerra d'Africa Farinacci partecipa ad un corso per Sottotenente di Complemento dell'Aeronautica e come tale prende parte alle operazioni per la conquista dell'Impero. Con lo scoppio della guerra il 3 ottobre 1935, Mussolini decide che tutti i gerarchi fascisti appartenenti alle classi di leva chiamate alle armi o che rivestivano ruoli di un certo rilievo negli apparati militari e paramilitari debbano partecipare al conflitto. Alcuni di loro si arruoleranno nella Regia Aeronautica ed i più noti finirono alla 14a Squadriglia B.T. “Testa di leone” (Bruno e Vittorio Mussolini) o alla 15a Squadriglia B.T. “La Disperata” (Galeazzo Ciano, Roberto Farinacci, Ettore Muti ed Alessandro Pavolini), entrambe con base ad Asmara ed un distaccamento ad Assab. Il 7lfebbraio del 1936 si arruola nello squadrone dei bombardieri al comando di Galeazzo Ciano. Un documentario dell'Istituto Luce lo mostra il 12 febbraio a Napoli, insieme a Starace e Ciano in partenza per l'Africa. Il 4 marzo sbarca all'Asmara. Durante un volo aereo perde la rotta e deve atterrare in territorio nemico restandovi finché non viene recuperato da Bruno Mussolini. Come aviatore viene decorato con la medaglia d'argento al valor militare citando le “32 missioni di guerra e le 112 ore di volo”. Ma è anche nel corso della Guerra d'Etiopia che acaade quell'episodio che lo segnerà per sempre. Il 4 maggio, un giorno prima della fine della guerra, durante il lancio di una bomba a mano che esplode in anticipo, perde la mano destra: si pensa inizialmente durante una esercitazione bellica ma poi si viene a sapere che in realtà è per un incidente occorsogli mentre pescava con le bombe a mano in un laghetto presso Dessiè . Un intero fascicolo del dossier relativo al medagliere (Arrigo Petacco, L'archivio segreto di Mussolini, Mondadori, Milano, 1996) è dedicato a questa mutilazione: la motivazione ufficiale spiega che il gerarca è rimasto ferito nel corso di un'esercitazione nell'uso delle bombe a mano e vi è anche una lettera di Farinacci in cui chiede a Mussolini di essere risarcito con l'Ordine militare di Savoia per il suo gesto d'eroismo con una decina di telegrammi in cui si esaltano l'arditismo del soldato ed il suo sprezzo del pericolo, tra cui uno del fratello Ettore che recita: “Duce! Mio fratello ha perduto il braccio destro nel compimento del proprio dovere, E' nello stile fascista: quando un braccio viene meno nella lotta, un altro lo sostituisca. Eccolo, Duce. Metto a vostra disposizione il mio braccio destro”. Ma d'altronde un rapporto riservato di un maresciallo dei carabinieri racconta un'altra verità: “S.E. Farinacci non si è sfracellato la mano durante un'esercitazione volontaria, ma si è ferito mentre si dilettava a pescare di frodo con delle bombe a mano in un laghetto presso Dessiè. Per questa ragione Ettore Muti ha soprannominato S.E. Farinacci il 'Martin Pescatore'”. La mutilazione viene comunque considerata come ferita bellica e ne ottiene un vitalizio: quando però Mussolini viene a sapereì come erano andate le cose, lo costringe a devolvere tale pensione d'invalidità in beneficenza. Questo non impedì a Farinacci di guadagnarsi anche una medaglia d'argento, consegnatagli dallo stesso Maresciallo Badoglio il 31 maggio 1936.
Nel 1937 viene inviato presso Francisco Franco direttamente dal Capo del Governo come osservatore militare in Spagna durante la guerra civile: è iì proprio nei terribili giorni della sconfitta italiana a Guadalajara. Di ritorno fa una relazione del tutto realistica, mettendo in luce come l'azione di Franco possa divenire a breve immediatamente critica e fallire senza una nuova e più concreta partecipazione italiana e tedesca a quel conflitto. E' lì in Spagna che ha un confronto diretto con i tedeschi e l'ideologianazionalsocialista, e aderisce in parte alle teorie razziste tanto che rientrato in Italia entra in contatto con Giovanni Preziosi, che dopo quattro anni farà nominare Ministro di Stato. L'adesione alle teorie razziali tedesche da parte di Farinacci non è totale, infatti nei tedeschi lui vede principalmente gli apportatori di una nuova ideologia più pura da contrapporre al fascismo italiano ormai imborghesito e il razzismo diventa il pegno da pagare. Ciononostante continuerà a tenere al proprio fianco la sua segretaria Jole Foà che era ebrea. E nel 1939, a suggello della ritrovata vicinanza con Mussolini , con tutti i distinguo del caso, viene nominato Dignitario della Corona.
Nelle foto di Fazioli Mussolini e Farinacci con la stessa divisa, il ras di Cremona con la nuova divisa realizzata da Coelli e Mussolini a Cremona
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