La storia dell'antico Porto Volpariolo. Oggi via Vulpariolo, ieri centro di commercio dell'epoca dell'imperatore Teodorico e dei primi Vescovi di Cremona
Tra le storiche ma sfortunate vie che negli ultimi periodi hanno visto un costante aumento di abbandono di rifiuti, c'è anche via Vulpariolo. Un nome decisamento curioso, ma da dove deriva?
C’è una via, a Cremona, dal nome singolare; un nome che, a differenza di quanto accade per i vari Matteotti, Garibaldi, Mazzini, Cavour, non porta nessuna altra strada al mondo. Un nome che, ai più non dice nulla (e c’è da scommettere che i più nemmeno si sono mai fatti nemmeno una domanda purtroppo) e che invece apre e tiene viva una pagina di storia. Quella via si chiama “Vulpariolo”, si trova nel Parco del Po, e negli ultimi anni è finita purtroppo al centro delle cronache locali soprattutto per gli scarichi di rifiuti, ad ennesima dimostrazione dell’inciviltà di tanti soggetti. Si trova nel parco del Po, appunto, ed è giusto così perché il Volpariolo era, in passato, uno storico ed importante porto sul Grande fiume. Che non era situato a Cremona ma più a valle e qui bisogna spostarci nei pressi di Isola Pescaroli, oggi sede di un moderno porto turistico fluviale che, specie in questi ultimi anni, grazie all’iniziativa dell’Amministrazione comunale, dell’associazionismo locale e grazie anche al progetto di navigazione turistica “Living The River” ha trovato e sta trovando un importante vigore andando, di fatto, a tener viva una storia millenaria. Quella che affonda le proprie radici al Volpariolo. Dove si trovava, dunque, questo porto, il cui possesso insieme con i diritti di macina, di transito e con i dazi di approdo da questo stesso porto fino alla foce dell’Adda fu confermato molte volte da sovrani e pontefici ai vescovi di Cremona? A riguardo le opinioni degli storici sono diverse, talvolta contrastanti. Innanzitutto è doverosa una considerazione sulla denominazione. “Volpariolo” è infatti il diminutivo di “volpata”, termine con il quale genericamente si indicano opere in terra impiegate per sistemare le rotture degli argini fluviali. Per individuare la posizione del Volpariolo e ripercorrerne la storia basta attingere, a piene mani, dal primo volume (datato 1989) di quella straordinaria collana storica dal titolo “Nelle terre dei Pallavicino”, curata dagli indimenticati e compianti professor Carlo Soliani e Gianandrea Allegri di Zibello (insigni storici parmensi) con la collaborazione di Umberto Primo Censi e Paolo Capelli, tutti di Zibello.
È noto, come si legge nei preziosi scritti del professor Soliani, che tra il 1740 ed il 1741 si svolse una causa tra il marchese Alessandro Pallavicino e Andrea Sommi riguardante i diritti di caccia e pesca nel tratto di Po compreso tra Roccabianca e Polesine e quando era sorta la necessità di precisare in quale punto del fiume si trovasse il Volpariolo erano state avanzate tesi contrastanti tra loro. L’avvocato del marchese Pallavicino aveva sostenuto che “il Volpariolo…fu sempre la situazione del porto sopra il fiume Po, il quale né remotissimi tempi era denominato il porto del Volpariolo e né successivi più moderni è stato chiamato il porto di Soarza”. L’avvocato invece del Sommi, dopo aver ammesso che non si conosceva “il sito detto il Volpariolo, uno dè confini enunziato nelle imperiali concessioni fatte a’ vescovi du Cremona” aveva però ritenuto del tutto indubitabile “che detto Volpariolo non fosse tra confini di Solarolo e la Motta e così dirimpetto a Roccabianca”. Nessuno dei due legali, in ogni caso, aveva pensato ad identificare, come hanno fatto diversi autori, il porto del Volpariolo col porto stesso di Cremona. L’inesattezza di quest’ultima opinione può probabilmente essere dimostrata sulla base del confronto tra il diploma di Lotario I dell’8 settembre 851 e il placito tenuto dal messo regio Cessone a Cremona nell’ottobre 998. Il primo, che si richiama al patto del re Liutprando con i Comacchiesi, confermato l’anno 781 da Carlo Magno, parla di un “portum in ipsa civitate consistentem”, vale a dire del vero e proprio porto di Cremona. L’altro si riferisce invece al “Vulpariolo, seu ripa iuxta ipsum fluvium non longe a suprascripta civitate Cremona, ubi in ipsa ripa antiquo mercato esse videtur”. Il “non longe” va interpretato facilmente con una certa larghezza, un po’ come nel vaso del Violante quando dice che la Pieve di Cogullo era “non…lontana da Cremona”. Quindi in modo diverso va letto il passo del diploma di Lodovico II sul quale il Violante si fonda per sostenere che porto di Crempna e Volpariolo erano la stessa cosa.
L’indagine condotta tra il 5 ottobre 851 e il 29 gennaio 852 da Teodorico, messo dallo stesso imperatore, aveva appurato che, a giusto tiolo, il vescovo di Cremona, Benedetto, esigeva che i cittadini cremonesi pagassero dazio come i comacchiesi quando, con le loro navi, giungevano, portando merci, al porto della città. Lodovico aveva perciò provveduto a confermare a Benedetto diritti e beni concessi ai vescovi di Cremona dai suoi predecessori e, in particolare, il “portum Cremonensem et Vulpariolus”, espressione che secondo il Violante, va intesa come riferita ad un unico patto, perché il testo del diploma poco dopo lo cita come “eundem portum” e si può notare, in contrario, che a “portum Cremonensem et Vulpariolus” segue immediatamente il termone “de quibus” che, trattandosi di plurale, lascia intendere che si parla di due entità ben distinte. Inoltre se di seguito, con la poca chiarezza che molte volte caratterizza i documenti alto medievali, si fa solo riferimento all’ “elude portum” e quindi al porto di Cremona, al centro dell’inquisizione di Teodorico, vuol dire facilmente che in quel particolare momento, a Lodovico interessava soprattutto mettere in risalto l’appartenenza di tale porto alla chiesa di Cremona. Ad avvalorare la tesi del Violante, secondo il professor Soliani, non basta nemmeno il passo di un altro diploma di Lodovico nel quale pure vengono confermati i diritti che spettavano al vescovo di Cremona “in portu Volpariolo vel Cremona”, dal momento che “vel”, nel latino medioevale viene spesso utilizzato come congiunzione con valore copulativo.
Ma è anche un altro aspetto, importante, che induce a ubicare il Volpariolo almeno una decina di chilometri più a valle rispetto a Cremona. Le svariate conferme della donazione di Carlo Magno ai successori del vescovo Stefano fanno sempre riferimento al tratto di fiume compreso tra il Volpariolo e foce Adda. Se sul serio il Volpariolo si fosse trovato a ridosso della città, sostiene il Soliani, non si spiegherebbe facilmente come il potere di controllo dei vescovi potesse estendersi sulle due sponde del fiume solo da Cremona a foce Adda e non anche, pressappoco, da Isola Pescaroli a Cremona quando, in effetti, i diritti fiscali ceduti da Carlo Magno e confermati dai suoi successori alla chiesa cremonese si estendevano a tutta la “regona” o terreno sommergibile del Po su entrambe le rive del fiume. E, in specie, alla zona zona in cui si trovava la Pieve di Cucullo, infeudata dal vescovi ai da Bariano verso la fine del secolo X e, più tardi, col nome di Pieve Altavilla (la odierna Pieveottoville), ai Sommi. Alla giurisdizione di questa antica pieve erano sottoposte, oltre alle chiese delle località rivierasche tra Roccabianca e Polesine (sulla sponda destra del Po), anche quelle cremonesi di Sommo, Porto (in passato l’odierna Sommo Con Porto era distinta in due località) e Isola Pescaroli e, nella investitura che i Sommi avevano ottenuto dal vescovo Sicardo nel 1202, era stato loro concesso, tra l’altro, il controllo dell’intero tratto di fiume compreso tra il Pozzolo e il Mulinello, e cioè tra Isola Pescaroli e Polesine. Mulinello, va detto, era una località posta nei pressi di foce Arda mentre il Pozzolo (o Pozzuolo) è ancora oggi un canale che attraversa il Comune di San Daniele Po e si getta nel Grande fiume proprio a Isola Pescaroli, nel tratto compreso tra il ponte “Verdi” e l’area di piarda (dedicata al giornalista e scrittore Giuseppe Ghisani).
Proprio questa era dunque l’ubicazione dell’antico porto del Volpariolo, volendo prestare fede anche a ciò che è scritto in un atto d’affitto delle pesche di Zibello da parte del marchese Alessandro Pallavicino ai signori Giulio e Francesco Morandi datato 11 novembre 1698 in cui è indicato come limite a valle, per ciò che riguarda i diritti di pesca concessi dal marchese, un luogo definito “La Volpadiola” situato alla foce del Pozzuolo. Da evidenziare che non deve sorprendere il termine “La Volpadiola” visto che in alcuni documenti antichi il toponimo vien declinato al femminile. Invece in merito alla “d” al posto della “r”, questo è quasi certamente dovuto ad una evoluzione fonetica nella pronuncia del nome stesso avvenuta nel tempo. Non si esclude nemmeno un errore di scrittura o di traduzione del documento.
Giusto anche chiedersi come mai al Volpariolo fosse attribuita una così grande importanza, dimostrata dai numerosi documenti in cui viene citato. Le spiegazioni sono diverse. Innanzitutto si trattava di un centro di raccordo tra vie di comunicazione di particolare importanza nei pressi del quale si teneva un mercato definito “antico” intorno alla fine del X secolo. Di nuovo nell’alto medioevo dovevano convergervi due strade d’epoca romana, una proveniente da Parma e l’altra da Fidenza ed era distante appena 6 miglia da Sospiro, luogo in cui, in età longobarda (durante la quale, a causa della decadenza della rete stradale, i trasporti, specie quelli pesanti, avvenivano via acqua, soprattutto lungo il Po) aveva la sua residenza un gastaldo, vale a dire la più alta autorità politico-amministrativa della parte Est del territorio cremonese. In particolare l’importanza della strada che arrivava da Parma è dimostrata dal’esistenza ad Arzenoldo (o Rezinoldo), nei pressi della attuale Roccabianca, di una chiesa era dipendente dall’antico monastero benedettino di San Bartolomeo dei Linari che sorgeva, a sua volta, nella diocesi di Luni, una delle più antiche e importanti diocesi italiche, presa ad esempio da molti studiosi per delimitare i confini della Lunigiana storica. In origine appartenente alla Tuscia Annonaria, comprendeva un vastissimo territorio che andava dall’Alta Versilla e Garfagnana alla Lunigiana toscana; dalla Riviera Apuana a tutto il Golfo dei Poeti; dall’Appennino Ligure-Emiliano alle Cinque Terre e alla Riviera di Levante passando dalla Val di Vara. Confinava con le diocesi di Genova e Lucca che durante i secoli tentarono di incunearsi nei suoi territori. Deve il suo nome alla città di Luni, fiorente centro e porto romano che si sviluppò dopo la sconfitta dei Liguri Apuani grazie al traffico dei marmi delle Alpi Apuane. Inoltre uno dei primi papi fu Eutichiano, ricordato nel Liber Pontificalis come “natione Tuscus ex patre Marino de civitate Lunae”.
Tornando in terra fluviale, ecco che nel luogo, inoltre, non solo non dovevano essere riscossi i diritti di transito delle imbarcazioni che salivano o scendevano dal Po, ma doveva esistere anche un traghetto (va detto che spesso è questo il significato di “porto”) per il passaggio di persone e merci dall’una all’altra sponda. Ci sono tra l’altro studiosi, tra cui il Gualazzini, che ritengono che il Volpariolo non avesse soltanto una funzione commerciale ma anche e soprattutto militare. A questo riguardo val la pena citare il passo di una investitura del vescovo Ugolino al marchese Uberto Pallavicino al quale, nel 1355, venivano concessi in feudo dal vescovo di Cremona i porti e i guadi sul Po dalla foce dell’Adda a quella dell’Arda; inoltre tutto il porto e il guardo di Soarza attraverso il fossato Scavezzato e il Navareza, dal Ponte del Podestà fino al po, dove esisteva da tempo un ponte, e dal ponte di Soarza fino al Po. Entro quei confini c’erano ponti e imbarcazioni che servivano al trasporto dei militi e dei fanti della città e dell’episcopato di Cremona, trasporto cui erano tenuti a provvedere i rustici e i non cittadini, con eccezione del ponte di Soarza la cui manutenzione era esclusivo compito dei rustici di Soarza. Il porto di Soarza nel XIV secolo era quindi dotato di infrastrutture idonee al trasferimento di truppe dall’una all’altra riva in ogni momento.
Per questa importante posizione e funzione, i gastaldi di Sospiro, dai quali il Volpariolo, come anche la corte di Cucullo e le località di Caprariola, Tecledo e Brivisula (tutte scomparse) in epoca longobarda dovevano dipendere, ancora per parecchio tempo, dopo la fine della dominazione carolingia, ne avevano conteso (inutilmente) il possesso ai vescovi di Cremona. Ridotti a funzionari di secondo rango, a nulla poterono contro l’ormai consolidata presenza di questi ultimi, i quali, in una città come Cremona, dove non compare mai un conte, ebbero modo, più che altrove, di far valere il loro peso economico e politico.
La decadenza del Volpariolo fu, con ogni probabilità, dovuta a cause naturali. La distruzione della parte terminale delle due strade romane provenienti da Fidenza e da Parma causata, molto probabilmente, da qualche disastrosa inondazione del Po, e le conseguenti modifiche subite dal letto del fiume dovettero, ad un certo punto, consigliare di scegliere un altro punto della riva dove, più agevolmente, si potevano effettuare i trasporti tra le due rive.
Come già avvenuto nella prima metà dell’XI secolo: nelle due investiture di Alberto di Cremona da parte del vescovo Ubaldo, che gli concesse tutto ciò che apparteneva alla chiesa cremonese nella “regona”, e cioè nella zona golenale, non vi è alcun cenno al Volpariolo; è ricordato invece, in entrambe, la località di Porto (oggi Cà del Porto a sud di Sommo), spostato più a monte rispetto a Isola Pescaroli di circa 2,5 km, ma sempre sulla sponda sinistra del fiume. Da quel momento in avanti fu sempre Porto il più importante punto di riferimento per il passaggio di merci e persone nel tratto compreso tra Zibello e Stagno. E’ altrettanto vero che in alcuni documenti ufficiali, riguardanti il rinnovo degli antichi privilegi da parte di imperatori e pontefici ai vescovi, si trova ancora nominato il Volpariolo fino all’anno 1187, ma questo è dovuto al fatto che tali documenti riprendono pari pari quanto scritto nelle concessioni più antiche ed inoltre il Volpariolo rappresentava il limite dal quale aveva inizio il controllo vescovile su entrambe le rive del fiume.
Una pagina di storia preziosa, quella lasciata dal professor Soliani con il primo volume de “Nelle Terre dei Pallavicino” che ci manda indietro di un migliaio di anni e che, se mai ce ne fosse bisogno, dimostra il legame e l’importanza strategica che Isola Pescaroli e Sommo Con Porto hanno sempre avuto, nei secoli, in questo tratto del medio Po. E chissà che il Volpariolo, rimasto vivo nelle pagine lasciate dagli storici, non possa trovare una nuova, pubblica citazione, magari anche con un semplice cartello, all’altezza della piarda di Isola Pescaroli, o lungo la ciclovia VenTo. Una memoria, quella di questo “angolo” di fiume che, nonostante lo scorrere inesorabile del tempo, della storia e delle vicende umane, continua a restare singolarmente viva al punto che gli è stata anche dedicata una canzone, intitolata “Il Porto Volpariolo”, rigorosamente in dialetto (scritta da Federico Romano e Sandro Pezzarossa, fondatori del gruppo), inserita nell’album “Al Mond Picèn” dei “Mé, Pék e Barba”, mitico gruppo folk di musica popolare di Roccabianca con oltre vent’anni di storia alle spalle di cui si propone il testo (in dialetto con traduzione).
IL PORTO VOLPARIOLO
Nn vad ad bianc / Nin vad ad gris/ nin vad ad giald/ nin vad ad scur
Ma ien quasi tot smort e an pù patì,
Ne vedo di bianchi, ne vedo di grigi, ne vedo di gialli e ne vedo di scuri
Ma sono tutti smorti, brutti e un po’ patiti
Com ad li faam chi fan stravadar, i s’intacan quand’ i parlan
di stras ados, chi ien pusè nud che malvistì.
Con una fame che fa stravedere, balbettano quando parlano
stracci addosso che sono più nudi che malvestiti
I rivan dai canton dal mond, dal mar, dala muntagna, i rigulan tot quant sò vers a Po
Chi dal paes ad la Cucagna com an grifon cal l’acumpagna, ed atri besti a seconda ad la
stagion
Arrivano dagli angoli del mondo, dal mare, dalla montagna e rotolano tutti quanti giù verso Po
Chi dal paese della Cuccagna con un grifone che lo accompagna e altre bestie a seconda della stagione
Rit
E me ia purti/ inans e indrè…….. con an barcon cal par an batulen
Sa ciap in pien an mulinel………. a gira al mond, la mi’imbariaga c’l’acqua che
E io li porto avanti e indietro, con un barcone che sembra un giocattolo
Se centro un mulinello, gira il mondo e mi ubriaca quest’acqua
I van a Roma al giubileo, i van a vadar al colosseo e da Cramona i van so vers a Milan
Al sarà anca al medioevo, i saran secoli bui ma a ghe an “via vai” che mica mi credevo
Vanno a Roma al giubileo, vanno a vedere il colosseo e da Cremona vanno su verso Milano
Sarà anche il Medioevo, saranno secoli bui, ma c’è un via vai che mica mi credevo
E io del Porto Volpariolo sono Caronte, il barcarolo, traghettatore verso modi sconosciuti
E ad ascoltare le loro storie, Terre Sante o maledette, le crociate forse le ho combattute
E me ia purti/ inans e indrè…….. con an barcon cal par an batulen
Sa ciap in pien an mulinel………. a gira al mond, la mi’imbariaga c’l’acqua che
Da Pescaroli a la Sansara, to at travers le la me inviada e la curent la porta vers’al mar
Ma quand a ghe da turnà indre as tribula es fa fadiga e na butiglia a le propria meritada
Da Pescaroli alla Zanzara, tutta di traverso è la mia partenza e la corrente mi porta verso il mare
Ma quando c’è da tornare indietro, si tribola e si fa fatica e una bottiglia è proprio meritata
E me ia purti, inans e indrè con an barcon cal par an batulen
Sa ciap in pien an mulinel a gira al mond ma m’imbariag anca col vèn
E io li porto avanti e indietro, con un barcone che sembra un giocattolo
Se centro un mulinello, gira il mondo, ma mi ubriaco anche con il vino
Lunga vita, quindi, alla memoria del Volpariolo che, a modo suo, anche se non ne resta traccia materiale, riesce a vivere nelle memorie del fiume e delle sue genti.
Eremita del Po
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