Marta Cartabia e Adolfo Ceretti in Cattolica: la giustizia riparativa come nuovo paradigma del diritto
Il tema della giustizia riparativa è stato al centro dell’incontro che si è tenuto mercoledì 22 ottobre a Cremona, nell’aula magna del Campus Santa Monica dell’Università Cattolica del Sacro Cuore. Moderati da Francesco Centonze, ordinario di Diritto penale presso la Facoltà di Economia e Giurisprudenza dell’Università Cattolica, si sono alternati sul palco Marta Cartabia, ordinaria di Diritto costituzionale italiano ed europeo presso l’Università Bocconi, presidente emerito della Corte costituzionale ed ex ministro della Giustizia, e Adolfo Ceretti, ordinario di Criminologia e docente di Mediazione reo-vittima presso l’Università degli Studi di Milano-Bicocca, oltre che segretario generale del Centro nazionale di prevenzione e difesa sociale.
L’incontro si è svolto nell’ambito del percorso “Disarmare il dolore, attraversare i conflitti nell’orizzonte della giustizia riparativa”, promosso da Comune di Cremona, CSV Lombardia Sud ETS, Pastorale sociale e lavoro della Diocesi di Cremona, Caritas Cremonese e Consorzio Solco Cremona, ultimo di cinque tappe che tra il 2024 e il 2025 hanno toccato i temi della giustizia riparativa, del conflitto e della mediazione.
Dopo l’introduzione di Francesco Monterosso del CSV, il prof. Centonze ha condiviso con la platea una riflessione sulla funzione della pena, evidenziando come da un lato la funzione deterrente non è supportata da prove empiriche solide, mentre dall’altro la sua funzione rieducativa è altrettanto problematica, in quanto le condizioni delle carceri italiane rendono quasi impossibile una reale rieducazione delle persone detenute. Non si tratta però – ha precisato – soltanto di un problema di sovraffollamento, ma della stessa logica del carcere come allontanamento ed esclusione.
In un simile contesto è naturale rivolgere lo sguardo verso forme di giustizia diverse da quelle previste dal Diritto penale tradizionale, tra le quali la “giustizia riparativa” rappresenta un’alternativa possibile per rispondere ai conflitti e ai reati in modo più umano ed efficace. Un nuovo paradigma culturale e un approccio che mira a risolvere i conflitti generati dal reato.
Il prof. Adolfo Ceretti ha affrontato il tema della giustizia riparativa concentrandosi sulla trasformazione del sé e del linguaggio. In partivolare si è rifatto a Simon Weil per descrivere la condizione atroce, quasi infernale, dei carcerati, vengono trattati come “cose” anziché come esseri umani. Concentrandosi sul linguaggio, il professore ha sottolineato che «il tempo diventa umano nella misura in cui è articolato in modo narrativo» e che, pertanto, il compito fondamentale della giustizia riparativa è facilitare la possibilità di «mettere in parola l’indicibile» e costruire “parole ponte” tra il tempo interiore del reo e quello della vittima, nonostante le loro memorie siano incommensurabili.
Lo strumento della giustizia riparativa si concentra, dunque, sulla responsabilità del reo nel suo significato etimologico primigenio: “rispondere”, a sé stessi e agli altri, uscendo dalla passività e costruendo una narrazione per comprendere la “genealogia del gesto” che ha commesso, evidenziando l’illusione di poter risolvere una situazione attraverso l’uso della violenza.
Importante è anche la dimensione collettiva della giustizia riparativa, che esce dal focus bilaterale vittima-reo, attraverso il coinvolgimento della comunità nel processo di riparazione del danno e di ricomposizione delle fratture. Una dimensione che favorisce la promozione del dialogo, della responsabilità sociale e della solidarietà, nel tentativo concreto di riparare il danno non solo tra le persone direttamente coinvolte, ma anche a livello comunitario, poiché nessun crimine è un fatto meramente privato tra vittima e reo, ma in molti modi riguarda l’intera comunità.
La professoressa Cartabia ha poi sottolineato come ci sia uno scarto tra i bisogni di giustizia degli operatori di giustizia e gli strumenti che essi hanno a disposizione. «Non è colpa delle leggi, – ha detto – non è colpa delle strutture, non è colpa di nessuno se non dello sterminato bisogno di giustizia che abita nel cuore umano e che gli strumenti che abbiamo a disposizione possono soltanto provare a colmare».
Marta Cartabia ha poi citato “Il libro dell’incontro” di padre Guido Bertagna, Adolfo Ceretti e Claudia Mazzucato come testo che «ha segnato un prima e un dopo del mio modo di guardare alla giustizia, al diritto, agli strumenti legislativi». È questa esperienza, in cui un gruppo di vittime, familiari di vittime e responsabili della lotta armata degli Anni di Piombo si sono incontrati a più riprese, con l’aiuto di mediatori, per tentare di ricucire le loro ferite, che ha avvicinato la Cartabia al paradigma della giustizia riparativa. Un’opportunità che nella legge che porta il suo nome ha voluto fosse a disposizione di tutti, in particolar modo dei ragazzi più giovani, spesso del tutto inconsapevoli rispetto ai crimini che commettono.
Citando il cardinale Carlo Maria Martini, che riteneva che non può esserci inizio di un processo di pace e pacificazione finché non si riesce a vedere il dolore dell’altro, la professoressa Cartabia ha sottolineato come questo ammorbidisca sia le vittime che i responsabili, che spesso sono prigionieri prima di tutto del proprio dolore. Un dolore che non deve più essere un fattore disgregante, ma un’occasione di dialogo e riflessione.
Ha poi precisato che la giustizia riparativa non è una “scorciatoia” per sfuggire alla giustizia: al contrario, la responsabilità più esigente che una comunità può chiedere a un responsabile è che questa sia assunta davanti alla vittima.
I percorsi di giustizia riparativa si concretizzano spesso in dialoghi riparativi; incontri tra i protagonisti, vittima e responsabile, alla presenza di un mediatore preparato che li aiuta a confrontarsi con i “pensieri difficili”, usando l’ascolto attivo ed empatico. Percorsi che sono generalmente regolati dalla confidenzialità, con il contenuto degli incontri che rimane riservato, a meno che i partecipanti non diano il consenso alla sua rivelazione. La legge stabilisce che la giustizia riparativa è applicabile a qualunque tipo di reato, senza barriere di età, generazione o fase del processo (iniziale, penitenziaria, post-sentenza). Una riforma che è soltanto all’inizio e che deve concretizzarsi in un percorso culturale, prima ancora che operativo. I primi Centri di giustizia riparativa, infatti, sono nati spesso riconoscendo realtà preesistenti, poiché l’esigenza è sorta prima della legge, e la loro implementazione è ancora a livelli essenziali.
È necessario completare il percorso di attuazione, in particolare con la creazione di un percorso di formazione iniziale e permanente per i mediatori, poiché si tratta di professioni delicate ed esigenti. La sfida più importante è il lavoro culturale necessario per superare la diffidenza e il sospetto nei confronti di questo nuovo paradigma e per far dialogare efficacemente il mondo riparativo con quello della giustizia tradizionale.
All’incontro erano presenti le massime autorità cittadine e alcuni dei protagonisti del ciclo di incontri, tra i quali Grazia Grena, ex terrorista di Prima Linea coinvolta negli incontri di padre Bertagna tra vittime e responsabili della lotta armata.
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commenti
Il Pontormo
23 ottobre 2025 11:09
Evidentemente questa signora non ha il senso del pudore presentandosi ancora in pubblico dopo le nefandezze emanate da ministro della giustizia a favore di chi delinque. Altrettanta mancanza di pudore per chi l'ha invitata.