22 ottobre 2025

S. Maria del Campo, dentro la maestosa chiesa ristrutturata di recente. Fu edificata nel 1583 da Nicolò Sfondrati su un antico luogo di culto. La cascina ospitò fino a mille persone

Da secoli presidia la campagna cremonese alle porte della città, al lato della via Giuseppina, che oggi in quel tratto fa una leggera curva prima di salire sul cavalcavia dell’autostrada, ma che fino al 1970 era una linea retta in mezzo alla campagna, quando nemmeno l’Ospedale Maggiore esisteva ancora. Stiamo parlando della maestosa ed elegante cascina di Santa Maria del Campo, preannunciata già a distanza dalla suggestiva architettura della chiesa che campeggia all’interno della struttura, mentre mano a mano che ci si avvicina è il giardino esterno con i suoi imponenti alberi a descrivere la nobiltà del complesso architettonico. 

Una chiesa che, chi scrive, ha sempre guardato con grande curiosità, desiderando fin da bambina di poterla vedere dal vivo: sogno che, grazie alla disponibilità dei proprietari, è diventato realtà proprio nei giorni scorsi, permettendomi di entrare in quella cascina, che solitamente non è visitabile, ammirarne le architetture e -finalmente- entrare in quella chiesa e scoprirne la sua ricca e nobile storia ed i suoi 'segreti'.

Un’opera d’arte 

Splendida, imponente, nobile nella sua presenza, anche nei tempi di minore splendore: una chiesa diversa dagli oratori campestri a cui siamo abituati nelle nostre terre, dalla forma singolare e dalle dimensioni maestose. Così la fece realizzare Niccolò Sfondarti, esattamente 438 anni fa, quando quel 21 ottobre del 1583 venne posizionata nelle sue fondamenta la prima pietra della nuova chiesa

“N. SFON. EP. CREMON. H. ECCL. | <IM>P. LAPIDEM P. AN. SAL. HVM. | .M.DLXXXIII”,

che tradotta spiegherebbe “Niccolò Sfondrati vescovo di Cremona pose la prima pietra di questa chiesa nell'anno 1583 per la salvezza/benessere dei deboli/poveri”.

Al suo interno la maestosità esplode nei volumi imponenti, nell’altezza vertiginosa della cupola centrale, nelle statue e nei bassorilievi marmorei che oggi presidiano il suo interno, dove un tempo erano presenti le tele con i bellissimi dipinti di Ermenegildo Lodi, di Gervasio Gatti e di Antonio Mainardi soprannominato il Chiaveghino, oggi custodite in altre sedi. Entrando dunque si ha l’impressione di essere in una basilica piuttosto che in una chiesa che sorgeva proprio in piena campagna, lontana dalla città.

Oggi, dopo un'importante opera di ristrutturazione da parte della proprietà, questa meravigliosa chiesa si presenta ancora più maestosa ed elegante, come una nobildonna che non perde mai la propria signorilità anche col passare del tempo. Al suo interno è ancora conservato ciò che rimane dell'antico organo "Antegnati" risalente a prima del 1599, con la sua bellissima cantoria e le cassa lignee, che però venne pesantemente danneggiato dai militari tedeschi che dal settembre del 1943 all’aprile del 1945 occuparono il palazzo e la cascina e che si diedero al saccheggio dei materiali più preziosi, portati via da 19 camionette. 

Un luogo dalle origini antichissime

Poco sopra abbiamo parlato della “nuova chiesa” voluta da Sfondrati: qui infatti esisteva un oratorio già da molto prima del XVI secolo; secondo le indicazioni dell’immancabile Angelo Grandi, sempre prezioso nel dettagliare le informazioni sul territorio cremonese, troviamo notizia di quella che sarebbe una “importantissima pergamena del 686 conservata in copia, da Ubaldino Portinaro, cancelliere capitolare nell' anno 1162, trovata dal più volte ricordato chiarissimo canonico A. Dragoni, nella quale risulterebbe che addirittura già nel 616 esisteva una chiesa di S. Maria del Campo, all’epoca indicata col titolo di Oratorio o Cappella”. In realtà però non ci sarebbero effettive prove documentarie, oltre queste indicazioni.

Se prendiamo per valide le testimonianze di Grandi, un luogo legato al culto mariano risalirebbe dunque agli anni immediatamente successivi alla distruzione di Cremona da parte del re longobardo Agilulfo. Lì, nella campagna, si sarebbe già trovata una Cappella di S. Maria de campo Grandi, e come cita ancora lo storico “il qual Campo grande pare fosse la campagna in cui stette l'antica Cremona, volgarmente poi detta S. Maria del Campo, che apparteneva al capitolo della cattedrale, che la fece ricostrurre nel 1583, e nel 1798 passò in proprietà del signor Gaetano Bolzesi”.

Ci sono poi diverse interpretazioni in merito all’origine del toponimo riferito al Campo Grande: sempre secondo lo storico cremonese, ripreso poi da altri testi, tale nome potrebbe derivare o dall'accampamento di Lucio Furio Purpurione a difesa di Cremona nel 552 assediata da Boi, Cenomani, Insubri ed altri barbari, oppure il ‘campo’ sarebbe “l'attendamento dell'armata di Enrico IV nel 1082 contro Cremona, liberata dal prode Giovanni Baldesio”. Anche in questo caso però, non ci sarebbero documenti scritti provanti la veridicità di queste informazioni.

La storia più antica e la leggenda dei tunnel

Sempre cercando informazioni sulla storia più antica, non possiamo non notare dunque che in questo caso la chiesa non nacque al servizio della cascina, ma fu la cascina ad essere costruita in seguito sul fondo di S.Maria del Campo una volta diventato di proprietà Bolzesi. Ma se le informazioni sulla storia recente non difettano, sulla storia più antica leggenda e verità spesso di fondono e si confondono. Si narra ad esempio che dalla chiesa di Santa Maria vi fossero due tunnel sotterranei.

Il primo sarebbe stato un collegamento con l’antica chiesa di S. Sigismondo: fu lo stesso marchese Michelangelo Martucci poche decine di anni fa a scoprire ed esplorare il primo tratto di un cunicolo che dalla cripta andava proprio in quella direzione, finché trovò parte della struttura crollata e quindi non gli fu possibile proseguire nella verifica. Il secondo cunicolo invece si ricollega alla presenza in Santa Maria di un cenobio di frati, mentre alla vicina località Maffezzola ci sarebbe stato un convento di suore e che quindi vi fosse un tunnel segreto pure tra i due monasteri. Ad avvalorare tale tesi, alcuni anni addietro venne ritrovata una porta murata sul fondo di un vecchio pozzo, che potrebbe dunque essere l’accesso a questo collegamento sotterraneo, anche se in realtà non venne mai esplorato.

S. Maria del Campo, un vero e proprio borgo dove vissero fino a mille persone

L’intero complesso architettonico della cascina lascia senza fiato per le dimensioni importanti delle tre aie che la caratterizzano, con le case coloniche e le lunghe file di colonne dei porticati, le stalle, i barchessali e le sue tre porte monumentali. Qui vissero fino a mille anime, rendendo di fatto il nucleo un vero e proprio paese, fuori dalle mura della città, in quella campagna di cui porta ancora nel nome il riferimento. 

I lavori di costruzione della cascina iniziarono a fine '700 per terminare nel 1829; si concentrarono in particolare sulla villa in stile neoclassico con il suo splendido giardino, caratterizzato da un suggestivo laghetto, frutto di un’importante opera di ingegneria idraulica, alimentato direttamente dalle acque provenienti dal Lago d’Iseo, per le quali venne emesso un permesso permanente di utilizzo.

A volere la costruzione di questo complesso fu il nobile Gaetano Bolzesi, già proprietario del fondo di San Giacomo Lovara (o S. Giacomo al Campo), che la acquistò nel 1797 dai monaci di San Lorenzo di Cremona quando l’ordine venne soppresso. Bolzesi fece abbattere il cascinale presente nel fondo di San Giacomo e da qui recuperò buona parte del materiale necessario alla costruzione di Santa Maria del Campo (che, oltre ad avere in comune le pietre, porta nel toponimo lo stesso riferimento della vicina località di San Giacomo al Campo).

In questa corte, nel 1849 nacque don Gioachino Bonvicini, prete semplice di campagna a cui dobbiamo importanti lavori di registrazione e catalogazione di reperti archeologici delle Terramare di Ognissanti, oltre che al “Diario di un prete di campagna” in cui è minuziosamente raccontata la vita a cavallo tra il XIX e il XX secolo nei nostri paesini. E chissà che proprio in questa chiesa, don Bonvicini non abbia iniziato a coltivare la sua vocazione.

La cascina poi, tramite linea femminile, divenne di proprietà Mina-Bolzesi e successivamente, mancando di nuovo un erede maschio, passò al marchese Michelangelo Martucci della Scala e quindi alla figlia. 

Oggi la cascina è spopolata ma nonostante ciò la proprietà sta portando avanti un'importante opera di ristrutturazione e di sistemazione degli stabili, oltre che della chiesa; l'affezione di chi ci visse è rimasta immutata, tanto che poche settimane fa è stata celebrata una messa proprio nella chiesa, a cui sono stati invitati gli ex abitanti di Santa Maria. L'inziativa ha raccolto un grande successo e per i numerosi presenti è stato un momento per rivedere la cascina e rivivere aneddoti e storie del passato più recente, quando la corte era ancora viva e piena di gente e le storie di vita si intrecciavano tra quelle antiche e prestigiose mura.

Michela Garatti


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