Quando Cremona e Crema erano terre anche di...vino. E oggi c'è un'enologia locale che punta all'Igt tra storia e novità
Allora in principio fu Torazzi a "produrre", ehm... imbottigliare (dalle "colline" di Trescore) e vendere vini in quel di Trescore Cremasco, Borgo del Granducato del Tortello. Ed erano quelli i tempi dello slogan: "Torazzi che vino ragazzi". Poi fu la volta della Folonari, con tanto di raccomandazione: "Bere due volte al giorno, durante i pasti", a commercializzare bottiglie per così dire trescoresi. Il tutto, o meglio, questi e altri cimeli ad hoc, una volta si trovavano al ristorante Bistek di Trescore, laddove l'appassionato cuoco ricercatore, nonché custode attento della memoria enogastronomica autoctona Antonio Bonetti, mostrava e raccontava ricordi, (meriterebbero di avere uno spazio tutto loro per continuare a parlare di un passato, altrimenti dimenticato) aneddoti e storie, enogastronomiche, cremasche. Nei giorni scorsi, via social, il "Centro Ricerca Galmozzi" (organizzazione di volontariato culturale, nata in memoria di Alfredo Galmozzi, con lo scopo di tutelare e promuovere la memoria storica del territorio cremasco nel XX e XXI secolo) di Crema, via social ha postato quanto segue: "Intorno al 1970, il marchio Folonari per i vini economici e di larga diffusione fu acquistato dal gruppo Internazionale Winefood S.p.A. che trasferì il centro d'imbottigliamento in un nuovo e moderno stabilimento impiantato a Trescore Cremasco".
Ovviamente senza dimenticare i Vini Ferrari di Dosimo ("Dalle colline del Dosimo" era lo slogan di Carosello) la cui storia Cremonasera ha già raccontato (leggi qui)
Ma a Crema e dintorni, si produceva vino, fermo restando che la Fillossera prima,alcune scelte squarcianti personali e le produzioni di mais intensive poi, inevitabilmente hanno creato svolte epocali nell'agricoltura, una volta? Il ricercatore e storico Luigi Dossena, in merito, tempo fa scriveva (scritto ospitato tra le altre cose sul sito Crema On Line) quanto segue..."Ecce Pisarèlo... Il vino dei poveri! Un ricordo personale: il mio primo Pisarèlo. a.D. 1958, me lo ricordo bene quel fatto! Nel campo di mio nonno Rosolo, appena fuori Sergnano, si era vendemmiata l'uva americana (l'öa melűna). Dopo averla messa nella naàsa,entrai a piedi nudi coi miei fratelli e i miei cugini, ridendo a crepapelle schiacciavamo l'uva: era la prima pigiatura. Ma partiamo dal principio. Fino all'XI – XII secolo, il cremasco era una gemmazione di boschi intervallata da acque e un susseguirsi di vallis marza o marzide, insula lacus mosum dossum. Nel XIII secolo avvenne un massiccio disboscamento e così sulle pergamene appaiono i primi vigneti cremaschi documentati. Già nel 1097 la chiesa di San Benedetto di Crema aveva una proprietà presso Ricengo Ecingus. Passiamo al 1350, nelle corti di Ombriano, Offanengo Minore e Pianengo si sviluppa la coltura della vite in forma ridotta: solamente due appezzamenti di terra erano coltivate totalmente a vite, uno di quindici pertiche cum vitibus in filis spisis al Dosso Morone, l'altro a Offanengo Maggiore di ben cinque pertiche. Molto diffusa era la pratica di sposare l'arativo con la vite in filis raris. Le viti erano appoggiate ad aceri campestri (opia), l'uso dei sostegni e l'unione arativo-vite venivano indicati col termine piantata, esempi ve ne erano a Santa Maria della Croce, Sergnano, Palazzo Pignano, Scannabue e Casale Cremasco. I vitigni erano ad uso familiare in quasi tutto il cremasco, tale sistema mutò partire dall'età comunale sino a sostituirsi al così chiamato palo secco o alberello che era però limitato a piccoli appezzamenti di terra recintati in città e nel suburbio. La coltura intensiva a campi chiusi della vite era una necessità per difendere una coltivazione così preziosa dagli animali e dalle scorrerie degli eserciti. Nel 1890 a macchia di leopardo le ultime vigne oramai boccheggiavano sotto i colpi della filossera, come la splendida splendente vigna di Romanengo: era la più bella del reame e svettava sulle bassure circostanti della Melotta. Ebbene, i vitigni quali la Balsamina, il Quarciano, le Rossere, la Settembrina, il Moscato e il Pignolo stavano esalando l'ultimo respiro. La Balsamina e il Moscato erano anche uve da tavola, il Quarciano dava vino piuttosto scadente, avendo acino grosso e acquoso. La produzione migliore era data dal Pignolo, che fondamentalmente era un Pinot. In verità i nostri mastri vignaioli si accontentavano di ciò che Madre Natura e il buon Bacco ci donava, anche perché il vino e i vigneti facevano da cornice ai campi coltivati con altre produzioni.
Il cavalier (in passato interagì con la Cantina Castello di Pandino) Mario Barbieri: enologo, commerciante, oste, cuoco e ristoratore, a proposito del vino cremonese (e cremasco), così ha detto tempo fa: "Fino diciamo al 1925 il vino si è sempre fatto dalle nostre parti: ogni cascina aveva le sue viti e i suoi gelsi. A Levata, nel nostro locale, una vigna c'è tuttora. E Cremona, con parecchie varietà di viti coltivate, beh era la capitale del vino frizzante. Poi il mercato ha creato nuove strade e nuovi bisogni e l'agricoltura si è riconvertita verso le colture oggi diffuse per la maggiore, col mai protagonista assoluto. La vite comunque va coltivata con le giuste e dovute conoscenze tecniche: non ci si improvvisa viticoltori". Che uve si coltivavano ai tempi? Don Pier Luigi Ferrari, nel suo interessantissimo fascicolo "Le ìde, lebòte, i ustèr" ha fatto un suo particolarissimo censimento. Eccone un incisivo e minimal sunto:
Il Grappello Ruperti, vale a dire il ' padre' di tutti gli altri Lambruschi (attuali protagonisti della Cantina Caleffi insieme alla Malvasia, all'Ancellotta e al Cabernet), coltivati a destra ed a sinistra del Po. Tanto per citarne alcuni: L. di Sorbara, L. Maestri, L. Marani, L. Grasparossa, L. Salamino, L. Mazzone e L. Viadanese. Le uve coltivate nel Cremasco? Mah... Querciàt, Berghemina, Pignòl, Rusèra, Lambrosca, Urmedèl, la Balsemìna, la Nigrùna, la Nigrisóla, la Furtana. Poi la Fillossera, nell'Ottocento distrusse e cambiò tutto, per riscrivere altre storie col Clinto e o l'Uva Fragola.
Più volte via Facebook, l'appassionato animatore della Pro Loco di Crema Franco Bianchessi e il già citato Antonio Bonetti, cenni alla viticoltura cremasca che fu, compresa a Crema (al Pergoletto?), li hanno piazzati, postando, tra le altre cose, una pagina delle "Memorie del Conte Annibale Vimercati Sanseverino".
Attualmente, l'Istituto Agrario di Cremona e Crema, tra Madignano e Castelleone, in zona Gallotta, produce vino da vitigni Merlot, Cabernet, Sauvignon.
Intanto, lontano dalle luci della ribalta, da Spineda, enclave cremonese in provincia di Mantova, Davide Caleffi, addetto alle pubbliche relazioni e Ministro del Commercio della premiata (per Forbes Italia è una delle migliori Eccellenze Italiche) e premiante, Cantina Caleffi, sta lavorando al seguente progetto interessante: un'Igt tutta cremonese è una concreta opportunità da cogliere e potrebbe aiutare quanti vorranno provare a seguire il nostro esempio dedicandosi alla produzione di vino... Noi ai giovani volenterosi saremmo disposti a fornire tutte le nostre conoscenze per approcciarsi al meglio: dalle fondamenta al tetto, burocrazia compresa, a tale meravigliosa attività. E potremmo inoltre dialogare proficuamente con l'Istituto Tecnico Agrario per studiare un corso ad hoc consacrato all'enologia".
Parlava così, tempo fa, il buon Davide, agricoltore che con la sua famiglia e i loro vini sta conquistando il mondo. Altre cantine cremonesi protagoniste nel mercato enologico sono la vinicola Decordi e l'Azienda Giordano Torchio. Dulcis in fundo, dal sito internet www.vinigalbignani.it, si apprende che: "Marco Galbignani e la sua famiglia producono vino a San Martino in Beliseto (Castelverde) da quasi un secolo con due linee: 'SecondoME' e 'I vini di Bortolo'.
A livello didattico, il poc'anzi citato complesso Agrario di Cremona fa vini bianchi e rossi coltivano i vigneti tra Madignano e Castelleone.
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commenti
Michele de Crecchio
24 agosto 2024 00:14
Il mio compianto amico Carlo Bertolini, dopo essere stato per decenni impiegato nella produzione del Fernet, ormai pensionato, aveva dedicato i suoi interessi allo studio sistematico dei vitigni di tradizione cremonese. Ricordo un servizio televisivo nel quale illustrava lo stato di avanzamento dei suoi studi. Una grave malattia gli impedì purtroppo di completare il suo originale lavoro. Spero che i familiari riescano a trovare qualche esperto che sia in grado di completare il suo lavoro che, per quanto mi sembrava di avere capito dalla intervista televisiva, era ormai giunto ad un buon livello di elaborazione.