Se n'è andato Angelo Bertolini, artista dell'anima e della natura. Aveva 83 anni. Le straordinarie opere dedicate alla madre
Angelo Bertolini, Angelo per gli amici, se ne è andato in silenzio lasciando la sua Torre attonita. Consegno a questo scritto il ricordo di un uomo, un amico, un grande artista che, per tutti noi “ragazzi” torrigiani, era una sorta di zio di cui essere orgogliosi. La sua arte raccontava della sua terra, della sua amata campagna, delle sue origini. In ogni lavoro è racchiuso parte del suo cuore, nulla era lasciato al caso. La sua profondità era senza confini e mai banale. Quanto male fa al cuore parlare di Angelo al passato. Forse è sbagliato. La sua essenza vive in ogni sua opera.
È mancato all’età di 83 anni e per tutta la sua vita, fino all’ultimo giorno, ha vissuto nella sua amata Pozzo Baronzio, frazione di Torre de’ Picenardi, in provincia di Cremona. Nella sua Pozzo trovava quella quiete intrisa di consapevolezza dove dava vita alla sua sensibilità.
Nel piccolo borgo resteranno fissate nel tempo e nello spazio, a disposizione dello sguardo di tutti, le tavole che raffigurano il ciclo via Crucis nella Chiesa di San Pietro in Mendicate e nella chiesetta di San Lorenzo Picenardi. Per tutta la vita ha scavato nell’animo umano e ha saputo cogliere attimi di luce in ogni paesaggio.
È nato il 26 ottobre 1940 a Pozzo Baronzio. Fin da giovanissimo dimostra di essere dotato di una naturale capacità nel disegno e da subito si appassiona alla pittura a cui dedica studio e grande energia. Inizialmente autodidatta, poi frequenta lo studio dello scultore piadenese Giuseppe Mastrocchio. Qui perfeziona il suo bagaglio tecnico, soprattutto nello studio della figura e nel disegno accademico.
La sua prima mostra personale risale al 1973, in seguito con tenacia e coraggio si immerge nell’attività espositiva e riuscirà ad ottenere numerosi riconoscimenti e premi a carattere regionale e nazionale. Tra le mostre più importanti del suo percorso artistico si ricordano le esposizioni nel 1977 a Verona e Varese, nel 1978 a Milano e Cremona nella sede ADAFA. Il 1981 lo vede esporre a Brescia, Modena, Como, Firenze; il 1984 a Forlì, a Bergamo nel 1986. La fama di Angelo negli anni si diffonde. Nel 1987 espone a Bruxelles, nel 1989 a Napoli. Quasi ogni anno, però, va in mostra a Cremona dove non manca di mettere in risalto opere pregevolissime per delicatezza cromatica, per finezza disegnativa e sensibilità interiore nell’approccio rivolto verso la soffusa verità che ci consegna la natura. Impossibile non ricordare la sua partecipazione nel 1992 alla Biennale di arte sacra cui fa seguito nel 1998 la mostra nazionale “Omaggio a Sant’Omobono”, in cui Angelo da prova nella sua profonda spiritualità, che in modo pacato e riservato ha sempre condiviso e vissuto con la sua compagna di vita Laura.
Nel 2004 si dedica con intensità nella realizzazione di un’importante mostra antologica dedicatagli dal Centro Culturale “Il Triangolo” di Cremona. Nella sua carriera ha esposto presso centri, gallerie, nei luoghi in cui poteva dare voce al suo linguaggio intriso di un fine tessuto simbolista e di affascinante armonia.
Impresse nella memoria di molti sono le opere del ciclo dedicato alla madre e al tema della perdita, di quell’inevitabile passaggio tra la vita e la morte.
L’arte di Angelo ha, per tutta la vita, posto l’accento sul tema dell’indagine, la ricerca introspettiva dell’essere. La sua ricerca, il suo indagare si ritrova ad ogni passo con l’evoluzione formale dell’artista che, nel tempo, si affina sempre di più. Lui era e rimarrà per sempre un artista capace di raggiungere la perfezione espressiva dell’anima, la sua sensibilità nell’andare oltre il semplice apparire delle cose. Spesso mi è capitato di commuovermi davanti ad un’opera di Angelo. Nel suo percorso artistico ha affrontato tematiche forti che, per chi lo conosceva bene, corrispondevano anche a fasi di vita personali, dalla memoria, al tempo che passa inesorabilmente e segna i volti, la natura tanto meravigliosa quanto ingannevole che consegna l’essere umano ad un inesorabile destino, i piccoli gesti quotidiani che racchiudono il valore della semplicità delle piccole cose, il piacere di assaporare la vita in ogni istante perché vada come vada la vita merita di essere vissuta. Ed Angelo amava la vita. Lui era cresciuto nell’osteria dei genitori, quell’osteria che oggi è diventata il suo studio, ha rappresentato l’inesauribile fonte d’ispirazione di una vita intera. Lui è sempre stato un grande osservatore. Ha imparato ad apprezzare i canti popolari. Amava scrutare, amava imparare. Si potrebbe affermare che per destino naturale, Angelo ha appreso l’arte dalla vita stessa. Era un artista a tutto tondo. Amava anche la musica e con grande passione suonava, non appena l’occasione si presentava, la sua armonica a bocca (in dialetto la sunéera). Tanto da sottolineare spesso che, se non avesse avuto successo come pittore, avrebbe voluto fare l’artista di strada accompagnato dal suo storico amico pappagallo Loreto. Con gli amici di sempre, fino a che ha avuto la possibilità, non mancava mai all’appuntamento per l’aperitivo in piazza per una sessione speciale di ricordi o di attualità.
Impossibile non citare la grande amicizia con lo straordinario fotografo cremonese Ezio Quiresi, amicizia che ho avuto modo di osservare da vicino con vivo interesse e meraviglioso scambio di sapere.
Affido alla memoria di questo mio scritto anche un mio personale ricordo. Da bambina, avrò avuto all’incirca 8 anni, mia zia decise di regalarmi un ritratto realizzato da Angelo; così, un pomeriggio di maggio, mi accompagnò allo studio di Pozzo. Io ero infinitamente affascinata dall’esperienza che stavo per fare, ero incuriosita per un mondo che non conoscevo. Ricordo Angelo con la sua voce profonda e la sua dolcezza, mi fece sedere nel roseto in giardino. Mi colpì subito la sua figura alta, lo sguardo penetrante di chi desidera conoscerti veramente e capì immediatamente che ero un terremoto e che non ci sarebbe stato modo di farmi stare ferma. Così decise di fotografarmi. Non realizzò un ritratto scontato, mi rappresentò con il broncio, con la faccia da arrabbiata e non mentì su come andò quel giorno. Angelo era così, un artista dell’anima. Da quel giorno nacque anche la nostra amicizia e ad ogni traguardo della mia vita mi ha sempre detto: “Me e te se capisùm!” In quell’espressione, tipica del nostro dialetto, c’era tutto.
Oggi non possiamo che ringraziare Angelo per il grande e pregevole contributo che ha donato alla cultura nel lasciare traccia indelebile del patrimonio vivo e prezioso di tutta la comunità locale. Grazie a lui abbiamo imparato che la vita non può essere separata dall’arte ma è l’espressione più grande di cui la vita stessa è capace.
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