23 gennaio 2023

Trent'anni fa moriva madre Agata Carelli, "Vagabonda della Carità" per il suo instancabile lavoro nell'assistenza e nel recupero dei più diseredati ed emarginati

Trent’anni fa, il 23 gennaio 1993, moriva a Cremona madre Agata Carelli, una figura carismatica e ricca di carica emotiva, ma anche una suora scomoda, a volte, imbarazzante e ostica in una società, come quella degli anni Settanta, impreparata ad affrontare il fenomeno delle tossicodipendenze (leggi qui).

Madre Agata Carelli nasce il 24 aprile 1915 in provincia di Milano. Precocemente rimane orfana di madre e successivamente perde una sorella. Decide prestissimo di farsi suora presso l’ordine delle Canossiane e a soli 16 anni entra in Noviziato nella Casa Primaria di Cremona. Si diploma nel 1937, si laurea in Filosofia e Pedagogia nel 1942 e dopo alcuni anni presso la Comunità di Colle Ameno, nel 1947 è trasferita a Cremona dove diventa preside dell’Istituto Magistrale Canossiano. Infaticabile è l’esercizio della sua funzione pedagogica, ma a partire dal 1986 decide di dedicarsi a tempo pieno alle opere di carità nei confronti dei più derelitti, come testimoniano i moltissimi documenti che permettono di ricostruirne le tappe fondamentali. Il suo impegno si rivolge sempre ai più bisognosi, di volta in volta innovando l’approccio e il tipo di aiuto, a seconda delle sempre nuove e crescenti necessità, e specializzando il suo intervento. Nel 1978 fonda, insieme ai volontari, la prima comunità per tossicodipendenti, l’associazione “Gruppo Incontro”, in seguito “Centro di Pronto Intervento” che continuerà la sua opera attraverso svariate esperienze, ultima l’“Ulisse” da moltissimi anni versato in progetti di reinserimento sociale e lavorativo di giovani svantaggiati. Percorrendo sempre la strada di un servizio attento all’attualità e funzionale ai suoi bisogni, nel 1987 dà vita, in collaborazione con il mondo del volontariato e con le istituzioni locali, al Centro Studi sul disagio e l’emarginazione giovanile, con lo scopo di informare, aggiornare e formare una “cultura” sul sociale, affinché ciascuno, nel suo ambito precipuo, possa attivare iniziative preventive. Così, in un’intervista del 1987 su Mondo Padano, raccontava come era nata in lei, accanto all’impegno di docente, la vocazione di praticare la carità delle strade: nella sua vita ha aiutato e accolto, con una certa sistematicità, i barboni, gli emarginati, i più poveri, per poi approdare, negli anni Settanta, al mondo della tossicodipendenza. “"Ai giardini pubblici stazionavano quotidianamente ragazzi annullati, quasi morti civilmente, di cui nessuno si prendeva cura, ho deciso di buttarmici a capofitto. L’inizio fu davvero traumatico. Una sera mi hanno fermata due ragazzi e mi hanno chiesto se potevo andare in farmacia ad acquistare del Cardiostenol, un prodotto che conteneva anche un po’ di morfina. Allora ero veramente ingenua nei confronti del problema droga, non sapevo cosa fosse una crisi di astinenza, non potevo comprendere il loro linguaggio. Mi dicevano di far presto perché stavano male. Sono entrata alla Farmacia Centrale e, quando ho fatto la mia richiesta, il farmacista ha sgranato gli occhi. ‘Madre -mi ha chiesto- lei ha la ricetta?’. ‘Se vuole -gli ho risposto- posso darle la carta d’identità’.  Il farmacista mi ha preso in disparte, mi ha detto che non poteva darmi quelle fiale perché saremmo finiti tutti e due in galera. Poi, visti quei due che mi aspettavano fuori dalla farmacia, mi ha pregato di stare lontana da loro, di lasciar perdere ‘quella gente’ che, quando non trovava eroina, si faceva anche sei o sette fiale di quel farmaco, rubando i ricettari. Sentivo di dover fare qualcosa lo stesso per loro. Così ho cercato le fiale in un’altra farmacia ma anche lì non ho ottenuto nulla. Sono ritornata al convento, sempre con quei due ragazzi dietro. Nel portone del convento uno dei due ha avuto una crisi d’astinenza: occhi stralunati, bava alla bocca, pallore, nausea, insomma stava veramente male. Sono corsa di sopra, ho aperto l’armadietto dei medicinali, ho trovato due fiale di Cardiostenol e le ho date a quei due. Avevano la loro siringa e si sono bucati nel portone. Da quel momento non mi sono più salvata da loro. A tutte le ore suonavano il campanello del convento. Mi cercavano. Anche le madri mi tempestavano di telefonate: vada a cercare mio figlio, mi dicevano, è ai giardini, corra al pronto soccorso, è stato male. Così la mia presenza è diventata costante per loro”.

Per il suo instancabile lavoro nell'assistenza e nel recupero dei più diseredati ed emarginati madre Agata Carelli si era guadagnata il soprannome di "Vagabonda della Carità", con il quale era a nota dovunque. L'Amministrazione Comunale, accogliendo la richiesta pervenuta a suo tempo dal Gruppo Incontro, che conta anche un numeroso seguito di simpatizzanti e sostenitori, ha ritenuto di rendere omaggio alla religiosa canossiana, a memoria e testimonianza perenni del suo amore per la città e per i più deboli ed indifesi intitolandole nel 2010 lo slargo antistante Palazzo Duemiglia.


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