29 gennaio 2024

"Parlà ꞌn dialèt". Spesso non c'è di meglio per trasmettere ciò che si vuole esprimere

A volte, non c’è niente di meglio della pronuncia dialettale per trasmettere ciò che si vuole esprimere. Ma ogni volta che si vuole utilizzare questo linguaggio bisogna trovare il modo di farsi capire non solo da chi lo conosce, ma da chiunque ci stia ascoltando.

C’è chi lo usa per raccontare facezie, chi per rivisitare il passato, chi per riscattare il senso del vivere in un luogo caratteristico, che ormai nel villaggio globale in cui siamo immersi, sta perdendo le sue radici.

Cominciamo col dire che i dialetti, tutti i dialetti italiani non sono varianti dell'italiano. Ricorrendo all'immagine dell'albero genealogico, i dialetti italiani e l'italiano sono altrettanti rami del comune tronco latino. Chi parla un dialetto, quindi, non sta storpiando l'italiano, ma sta parlando un diverso gergo neolatino. Certo anche ai nostri giorni secondo un'indagine dell'Istat pubblicata nel 2017 (l'ultima disponibile), quasi il 46% della popolazione si esprime in italiano con i familiari, oltre il 32% sia in italiano sia in dialetto, circa il 14% soltanto in dialetto; percentuale che raddoppia negli over 75.

 Nella storia la lingua italiana non ha beneficiato nella sua espansione sul territorio di quelle spinte unificanti di origine religiosa che, nei paesi di lingua tedesca, ad esempio portarono la popolazione alla consuetudine della lettura e della scrittura. E fu così che la lingua usata da Lutero per tradurre la Bibbia, divenne davvero, “popolare”; lingua di tutto intero un popolo, pur politicamente diviso. Nelle condizioni in cui l'Italia ha vissuto prima e dopo la sua unità, l'italiano si è scontrato con forze ostili alla sua diffusione territoriale. Ha conosciuto diverse città-capitali, ciascuna, con l'eccezione della Roma papale, con oligarchie municipali. Ha sofferto la mancanza di una borghesia moderna e di strutture amministrative unitarie, ha patito la frammentazione della realtà sociale ed economica. In queste condizioni l’italiano è stato utilizzato dai letterati e dai burocrati, mentre nella vita quotidiana, anche in occasioni pubbliche, tutte le classi sociali in tutte le regioni, continuavano a parlare i loro dialetti. Nella storia linguistica italiana, che si muove tra unità e molteplicità, la tendenza a una lingua come bene comune e la tradizione locale non comportano una contrapposizione tra lingua e dialetto. Se ripensa al passato, chi ha un buon bagaglio d’anni, ricorda che nel Novecento è stato percepito (e forse enfatizzato) il declino dei dialetti in rapporto al nuovo contesto sociale. Invece per i dialetti è stata un’imprevista fortuna letteraria. Essi in quanto lingue di un mondo scomparso sono sembrati strumenti adeguati all’espressione del disagio personale e collettivo. Dagli albori dell’attuale secolo  è iniziato poi il recupero delle parole perdute nell’esperienza personale degli autori, più che nella realtà, visto che nel 2007 (dati tratti da ISTAT), più della metà dei parlanti dichiarava di usare ancora i dialetti. Oggi la fortuna dei dialetti si avverte attraverso altri canali (canzoni, televisione, cinema, internet). Ad esempio il senso di perdita ha indotto alcuni poeti a riscoprire i dialetti nativi, spesso di centri piccoli o piccolissimi, inoltre è proseguito l’approdo alla letteratura di idiomi estranei alle tradizioni letterarie, dei dialetti più collaudati. Più che in passato il dialetto entra anche nella prosa, con l’inserimento di voci dialettali tanto nella narrazione quanto nei dialoghi, come segno di un’adesione letteraria alla realtà o come manifestazione espressiva, dagli inserti plurilingui, fino all’interferenza letteraria di italiano e siciliano come in Andrea Camilleri. 

Il dialetto sembra diventato voce privilegiata della poesia anche se, secondo un altro luogo comune, è un’alternativa a un italiano ritenuto ormai logoro. In poesia la scelta linguistica del dialetto, considerato a lungo lingua minore, permette di raggiungere le fasce più popolari del territorio, interessandole alle tematiche della quotidianità, senza nulla togliere alla funzione attribuita alla poesia come intimo arricchimento e come passione individuale. Ci sono concorsi per poesie dialettali: alla cerimonia di premiazione seguono incontri ai quali la cittadinanza partecipa numerosa, ascoltando con attenzione le opere dei poeti partecipanti. Ma sono ancora troppo poche le voci nuove tra gli autori che presentano le loro opere. Dai poeti più schivi, a volte, si riesce a carpire una loro intima ispirazione; altri autori preferiscono più l’adesione alla realtà. 

Penso che se un testo sia esso prosa o poesia, ha l’ambizione di riflettere, con i mezzi dell’arte, temi e aspetti della società italiana, non può ignorare il fatto che questa realtà sociale è tutta compenetrata di parole ed espressioni regionali. Forse perché l’italiano standard è più una lingua della comunicazione formale ed è perciò più attivo a livello cerebrale che emotivo. Storicamente è la lingua che permette di comunicare con gli altri, con coloro che – si presume consciamente o inconsciamente – non possono capirti fino in fondo perché il loro orecchio non è sintonizzato con il ritmo del tuo cuore nella tua lingua. Il dialetto, invece può trasmettere le tue emozioni a un pubblico cui non hai bisogno di spiegare tutto per filo e per segno, perché capiscono davvero – e non solo letteralmente – da dove vieni.

L’affermazione della letteratura dialettale dipende anche dall’editoria, che favorisce la circolazione delle opere al di fuori del contesto di origine: ne derivano linee comuni alle diverse letterature dialettali italiane, come la traduzione in dialetto di autori italiani o classici, la ripresa di generi alti con abbassamento comico, l’esaltazione dei diversi dialetti condotta, per paradosso o per scherzo. Anche se alcuni autori rifiutano un uso comico del dialetto, rivendicandone l’uso popolare.

Altre sono le spinte culturali  che nella storia italiana si intrecciano con la questione dialettale.

Se è vero, com'è vero, che il cinema è lo specchio di un paese, parlando della lingua del cinema di casa nostra, non si può non parlare del dialetto, anzi dei dialetti, che hanno giocato un ruolo di grande peso espressivo nel cinema italiano. Approfittando della finzione, i territori italiani hanno rivendicato, con un certo orgoglio, le loro specifiche identità culturali e politiche, diventando nel tempo un uso di esigenza di aspetti culturali, che il cinema ha provato a connotare caratterizzando l’ambiente. 

Decisamente più funzionale l'obiettivo di alcune associazioni di preservare, valorizzare e promuovere il patrimonio linguistico italiano attraverso la raccolta di testimonianze orali delle varietà linguistiche locali e la loro pubblicazione sul proprio sito web. Vengono di regola esplicitati obiettivi interconnessi: la conservazione, la valorizzazione e la diffusione delle ricchezze linguistiche locali. La strategia è quella di utilizzare i nuovi strumenti digitali e tecnologici per creare un catalogo pubblico di testimonianze orali.

E che dire del dialèt cremàsch? Anche nel nostro territorio attraverso varie forme di incontro in molti hanno ripreso a godersi il piacere di parlare e ascoltare il dialetto. Oggi sta prevalendo l’idea che. perse le nostre tradizioni, il fascino del vernacolo sia legato alla capacità di esprimere concetti, storie, valutazioni della tradizione popolare. Trascurato, bistrattato, esaltato, ogni epoca gli riserva uno stato d’animo: è il destino, volta a volta, del dialetto. Si è persa anche l’abitudine degli ultimi decenni del secolo scorso, di sentir rimproverare chi si esprimeva in dialetto; non si teme nemmeno più come nel passato che il vernacolo possa impoverire socialmente e culturalmente le nuove generazioni, anzi le attuali teorie educative sostengono che i bambini bilingue acquisiscono più facilmente competenze perché hanno più memoria, più attenzione e flessibilità. Però nessuno più insegna il dialetto né nella forma parlata, e neppure in quella scritta (che non è cosa semplice perché il modo di scriverlo non va inventato o improvvisato, ma va uniformato e semplificato, allo scopo di renderne più facile la lettura e la comprensione). Tuttavia: quel diverso modo di parlare il dialetto è il nostro e solo nostro, differente da quello di tutti gli altri abitanti della terra. Più del colore degli occhi e dei capelli in esso si esprime una più specifica identità: soprattutto la cadenza e l’accento inconfondibile, rappresentano una sorta di DNA linguistico. Si capisce allora perché alcune Istituzioni facciano di tutto per non dimenticarlo e valorizzarlo in un momento della nostra storia in cui, se non contrastato, ci porterebbe ad abbandonarne l’uso e con esso forse anche il ricordo, dato che i termini dialettali tramandati soltanto oralmente tendono a perdersi. A questo ha provveduto, almeno per quanto riguarda il dialetto della città, il prof. Luciano Geroldi con il ”Vocabolario del dialetto di Crema”, Tipolito Uggé, Crema, 2004.  Per la riedizione del “Vocabolario,” Leva Artigrafiche, Crema, 2013, il prof. Carlo Alberto Sacchi  ha completato il volume con un “Profilo della produzione poetica contemporanea del dialetto cremasco”.  Inoltre nel 2016 aveva progettato “La us da Crèma e dal Cremàsch” un’antologia dialettale per raccogliere le voci di tutti coloro che scrivevano poesie in dialetto cremasco, anche se non avevano mai pubblicato, per modestia, per questioni economiche, o anche per paura di esporsi al giudizio degli altri.

In quella occasione la scelta dei testi poetici era stata anticipata da un’indagine a tappeto per raccogliere i contributi  di  poeti  che non avevano mai pubblicato né in proprio né su antologie.  

Sono stati contattati 162 poeti cremaschi: 86 maschi, 76 femmine; 38 i poeti di Crema città, 124  dei paesi del Cremasco, per un totale di 342  poesie. 

Purtroppo per mancanza di sponsor, dovuto anche al succedersi di crisi finanziarie, l’opera è rimasta inedita. Qualcuno che aveva accarezzato la speranza di veder stampate le sue poesie su un libro, ancora oggi chiama per sapere se mai lo saranno: le loro aspettative sincere e senza fini speculativi sono andate deluse anche rispetto al riconoscimento dell’amore che ancora circola tra la gente per il dialetto della propria terra.

Se per alcuni critici letterari, il dialetto è ormai una lingua morente, se non proprio morta, per altri l’italiano e il dialetto sono lingue vive e vegete; un esempio attuale potrebbe dar ragione  ad alcuni e torto ad altri: chi ha progettato per la giornata del dialetto  di questo gennaio, in giro per le strade di Crema ha avuto non pochi problemi a  conversare in dialetto,  anche con persone di una certa età.

Lo si può verificare su Instagram in cremaiscrema.

La conservazione dei dialetti locali è una questione importante, in quanto fanno parte del patrimonio culturale di uno specifico territorio. Tuttavia, il passaggio generazionale e l'omogeneizzazione derivanti da nuove forme e metodi di comunicazione rappresentano una minaccia per la sopravvivenza degli idiomi tradizionali e locali. 

Da più parti si suggerisce l’introduzione dello studio del dialetto locale nella scuola. Al di là che non ci si improvvisa insegnanti di dialetto locale, al di là che la scuola ha già tanti altri obiettivi da raggiungere e problemi da risolvere, teniamo presente che per evitare l’estinzione dei dialetti (se ci sarà!), ciò sarà dovuto al fatto che: il dialetto si impara nel vivere quotidiano, conservando la sua impronta orale; che non si insegna perché è una lingua spontanea e come tale evolve rapidamente e rapidamente  per mancanza d’uso, si estingue.

 

Graziella Vailati


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