15 dicembre 2024

Il nuovo libro di Piero Carelli al Caffè filosofico di Crema

Con giustificato orgoglio Marco Ermentini, presidente del Caffè filosofico di Crema, presenta il nuovo Quaderno, il numero 21, che come da tradizione viene donato al termine della serata per accompagnare il brindisi natalizio. Con tanti auguri di buon anno. Il ventunesimo, per l’appunto, di questa associazione,  “piccola sacca di resistenza contro l’approssimazione”, che deve molto all’autore del libro del 2024. È Piero Carelli che l’ha scritto, e l’ha dedicato al suo Maestro Emanuele Severino. Nel solco di Severino. Appunti per una filosofia della caverna riporta in copertina l’immagine dell’opera di Angelo Noce “L’urlo”, che con il quadro di Munch condivide il sentimento di desolata protesta contro un mondo in disfacimento. Il corpo stesso dell’urlante è ridotto a nudo scheletro, ma riesce ancora a lanciare quel grido ammonitore: stiamo distruggendo la Terra, ci stiamo uccidendo vicendevolmente, siamo vittime forse non del tutto innocenti di più o meno involontari carnefici. Come scrisse Andrea Ladina commentando la mostra del 1985 da cui proviene il quadro, “attraverso la trasformazione della materia più semplice e povera, la terra, la sabbia, l'acqua, il silicio, la polvere di ferro e d'alluminio, Angelo, come un archeologo che affonda le sue mani nel terriccio fresco del nostro inconscio, come un «messaggero» di notizie ormai sepolte dal tempo, fa venire alla luce i resti «parlanti» di un'umanità dimenticata, il dramma arcaico e moderno della sofferenza e dell'insicurezza umana”. Ed è per l’appunto questa sofferenza il nucleo portante del libro di Carelli, al di là dell’omaggio al Maestro.

L’incontro con il Maestro

Non è agevole restituire in breve i molteplici aspetti del libro, che si articola in capitoli e paragrafi densissimi, ciascuno con un proprio specifico sguardo prospettico. Provando a sintetizzare, si potrebbe dire che esistono un “prima” e un “dopo” esistenziale in questa sorta di autobiografia filosofica. Il “prima” si concentra sul fortunato incontro all’Università con il Maestro Emanuele Severino, che trasmette all’autore la passione per la ricerca. Approfondendo lo studio del pensiero di Severino, ci si imbatte in una serie concatenata di premesse e conseguenze di una logica stringente: quella stessa concatenazione che terrà avvinte centinaia di ascoltatori nelle piazze e nei teatri dei Festival, incluso Crema del pensiero. Ma a partire dalla negazione del nulla e del divenire, dato che, come ammoniva già Parmenide, “solo l’essere è, ed è concepibile, mentre il non essere non è, e non è concepibile”, Severino trae gli esiti paradossali e del tutto inconcepibili di una metafisica in cui il destino di uomini e cose sarebbe quello di un’eternità, fissata in ogni istante della precedente vita nell’immobilità disarmante di “un cartone animato, una serie di figure statiche, immutabili in movimento”, secondo l’immagine proposta da Carelli. Nel luogo senza luogo di quel destino, ad esempio, potremmo imbatterci in Socrate. Ma quale Socrate? Tutti i Socrate vissuti nella realtà storica, degradata a mera apparenza o apparizione, e approdati, dopo quella che banalmente chiamiamo “morte”, alla Verità disvelata del nostro destino. Là ci saranno non uno, ma “cento, mille, infiniti Socrate: il Socrate neonato che viene alla luce, il Socrate che combatte come oplita, il Socrate che parla con Alcibiade, il Socrate che si difende a testa alta al processo, il Socrate che beve la cicuta, il Socrate che pronuncia le ultime parole mentre il suo corpo è quasi del tutto freddo. Tutti gli istanti della sua vita. Tutti qui, contemporaneamente: lui che cammina, lui che è seduto, lui che è in silenzio, lui senza barba, lui con la barba”. Di fronte a questo “castello della Follia”, Carelli trova il coraggio per dissociarsi da paradossi e fluttuanti figure di un discorso abissale che è una lucidissima allucinazione.

Caverna e Tempio

Interpretando liberamente Severino, Carelli spiega che è come se vivessimo nella caverna platonica, mondo dell’apparenza dove si agitano uomini comuni e filosofi più o meno illuminati. Fuori c’è il Tempio dove alberga la Gioia degli dèi severiniani. Misterioso, questo Tempio dove nessun umano è mai entrato, e dove rifulge il Destino della Necessità, poiché tutto, ogni esistente, è destinato all’eternità. Con benefica metamorfosi, Carelli ribalta i termini del dualismo, e invita i filosofi a tornare nella caverna. Ed osa rivolgersi così al Maestro: “Nel tuo splendido Teorema tutto è connesso ed è connesso da sempre. Qui no: ogni connessione è una conquista. Una conquista costruire o ricostruire relazioni, ponti… Una conquista cioè, una creazione continua dal nulla. Una creazione talora faticosa come ricucire uno strappo internazionale, chiudere una guerra senza umiliare nessuno dei contendenti evitando quindi di gettare il seme di nuovi conflitti, interrompere la spirale della violenza tra due popoli ciascuno dei quali vanta delle ragioni sacrosante”.

L’impegno civile

Ed ecco il “dopo”. Il distacco dal Maestro avviene grazie all’incontro con nuovi maestri, da Martin Luther King a don Lorenzo Milani, che il ’68 consacra come “apostoli degli ultimi” e “teologi di una rivoluzione” di fronte alla quale la filosofia di Severino sembra piuttosto un “gioco intellettuale”. Ma l’abbandono del Maestro viene in qualche modo mediato dall’accogliere il nulla come un “non essere ancora”, un ideale da realizzare, un faro che deve guidarci verso la meta di una società libera da ingiustizia sociale, guerre e distruzione dell’ambiente e dei fratelli. In altre parole, le utopie sessantottine. Questa si palesa come forza di persuasione del libro, ambientata in un mondo che sessant’anni dopo non è migliorato, anzi ha visto avanzare spettri di morte reale, accompagnati da violenza, aggressività, narcisismo e solitudine. Un mondo in cui chi non aveva voce è stato vieppiù strangolato da potenti senza scrupoli, e ridotto a tacere dal clangore delle armi. Ora Carelli, anziché i diversi Socrate, vede “tutti i lamenti: di chi soffre di fame, di chi soffre nel corpo e nell’anima. Tutte le voci: le voci spensierate dei bambini fortunati, le voci angosciate dei bambini-soldato e l’urlo dei bambini palestinesi. Il mondo contemporaneo è “la casa dei mortali che rischia di bruciare”. Nel dilagare di guerre civili e minacce nucleari, genocidi e devastazione dell’ecosistema, Carelli individua lucidamente responsabilità etiche che vanno ricondotte all’essere umano rapace ed egoista. Con il suo stile tipicamente “maieutico”, fatto di molte domande e qualche risposta, Piero si avventura in una confessione che trascende il tema autobiografico del rapporto maestro-discepolo ed approda ad un appello all’impegno per salvare valori come giustizia e pace.

Sensi di colpa

“Non stiamo assistendo, di nuovo, a un vero e proprio «tradimento dei chierici»? Non stiamo vedendo filosofi - pur brillanti e coltissimi - asserviti alla logica del mercato, una logica che li porta a pubblicare libri a tambur battente sollecitati dagli Editori, a fare il giro delle kermesse filosofiche particolarmente «generose» dove spesso altro non fanno che riciclare lezioni accademiche senza tener conto minimamente del livello medio del pubblico presente?”. Con questa domanda Carelli introduce un appello a tutti gli uomini di buona volontà affinché intervengano con la propria capacità persuasiva e dissuasiva nei confronti dei potenti. Ma la sua non sarà una voce che grida nel deserto, come spesso sembra essere perfino quella del Papa? Dovremmo secondo Carelli farci un esame di coscienza e uscire da pigrizia, conformismo e indifferenza. Ce n’è per tutti. E prima di ogni altro, per lui stesso. Carelli sembra infatti domandare perdono innanzitutto per essersi allontanato dalla filosofia di Severino. Ma questo non è un tradimento. In primo luogo perché la passione per la filosofia che gli è stata trasmessa non è mai venuta meno. In secondo luogo perché un bravo alunno è ampiamente autorizzato a discostarsi dall’insegnamento del maestro per dar vita a una personale visione del mondo, a una critica costruttiva che dischiuda orizzonti inediti. Nella Postfazione al libro, Patrizia de Capua scrive: “Non ha forse Aristotele «tradito» Platone che all’Accademia gli aveva insegnato a diffidare dell’esperienza? Lui invece nel Liceo non faceva che provare a sperimentare per quanto possibile ai suoi tempi: osservare tutti gli esseri del mondo umano e naturale. E impostare lo studio dei viventi, con i pochi strumenti a sua disposizione (praticamente i suoi occhi), in modo da farne una classificazione destinata a durare molti secoli”. E così diventò il maestro di color che sanno.

Arti varie

La serata del Caffè, introdotta dalle emozioni suscitate dalla musica di Eleonora Ornaghi all’arpa e al salterio con archetto, e vivacizzata dalle letture teatrali di Luigi Ottoni, capace di accendere empatia e condivisione con chi ha scritto parole che altrimenti resterebbero mute per il cuore di molti, si chiude con l’ironia di Ermentini, che dopo avere elogiato Carelli gli imputa una colpa. Il professor Carelli ha acceso negli studenti del Liceo la malattia della pensite. Molti ex alunni, convinti di essere stati contagiati, si stringono attorno al professore, testimoni di un insegnamento che ha colto nel segno. Anni fa Ermentini portò in libreria scatole di “Timidina” per sostenere il restauro timido. Alcuni la cercarono in farmacia. Chissà se ora qualcuno cercherà  un rimedio per la pensite… se non sanno indicarvelo, fate presente che i sintomi sono inquietudine e affascinazione, come da canto delle Sirene o morso di vipera.      

Filppo Lamberti


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