Alla Biennale il restauro timido di Ermentini: come abitare la terra in modo delicato?
Questo “anno lungo un secolo”, ha smentito tante previsioni, ha distrutto reputazioni, ha ribaltato tanti giudizi da infliggerci una lezione di umiltà. L’impressione che la vita non possa più essere considerata come data, come garantita, ci dovrebbe rendere tutti più attenti, più cauti, più sensibili al nostro rapporto con in mondo. Tuttavia, è amaro constatare che Il genere umano agisce di solito come un Catterpilar, ma ha la consapevolezza di un primitivo. Quindi, di fronte a quella che Edgar Morin ha definito “policrisi” (ecologica, sociale, economica e pandemica) necessita un grande cambiamento di paradigma del nostro modo di operare. La vera ricchezza a cui dovremmo ambire è l’intelligenza collettiva con cui possiamo creare un rapporto armonico tra i bisogni umani e le dinamiche ambientali. Non abbiamo più scuse: dobbiamo ripensare il modo di progettare, costruire, riparare e restaurare gli edifici a partire dai materiali.
A questo punto la sola economia realisticamente possibile è quella in cui il motore principale non sia la produzione, ma la manutenzione. Se ci pensiamo bene la cosa non è poi così strana. Qualsiasi organismo vivente dedica una piccola parte della sua vita a crescere e tutta l’altra, la maggiore parte (almeno per i 3/4), a mantenersi. Riparare, restaurare, riusare, adattare, manutenere sono le azioni virtuose che dobbiamo compiere. Questa riflessione è condivisa da molti tranne che dai nostri smemorati deterministici governanti che puntano ancora sulla crescita del PIL.
Dopo la pandemia, che è una prova generale del cambiamento climatico, dovremo imparare a vivere una vita molto più fragile e sperimentare una vera rivoluzione filosofica che si deve estendere al nostro modo di abitare.
L’umanità diventa umana quando inventa la timidezza che non è una malattia, ma un modo più cauto e intelligente di rapportarci con il mondo.
Così Marco Ermentini, il fondatore dell’Architettura timida, sarà protagonista di un evento alla BIENNALE DI ARCHITETTURA DI VENEZIA, al Padiglione Italia, lunedì 27 settembre, h.15/18 nel quale esporrà le sue teorie e illustrerà alcune architetture timide realizzate. Sarà trasmesso in diretta video anche su www.comunitaresilienti.com
La Shy Architecture Association, nata all’Accademia di Brera nel 2000, ci propone una piccola comunità di trasformazione timida e appassionata del mondo. È giunto il tempo di smettere di comportarci in modo violento distribuendo schiaffi e di cambiare atteggiamento imparando a usare il segreto della carezza che ha il prezioso dono di far risvegliare le cose. Così, al contrario del comportamento smodato dell’architettura contemporanea, l’architettura timida è la dolce alleanza tra memoria e futuro. Oggi, per la prima volta, non è richiesto di assecondare un mondo in espansione, ma di operare sul costruito, sull’esistente rinnovando la nostra concezione del restauro. Serve un “nuovo contratto” che fissi una modalità più timida più delicata in rapporto con la natura come un vero soggetto di diritto. La vera ricchezza del timido è di saper intervenire con poco, del quale non vi è mai penuria, utilizzando la conoscenza, la conservazione dell’esistente e la stratificazione con cautela, attenzione, umiltà e gentilezza. Virtù antiquate e dimenticate. L’architettura deve riprendere la sua funzione di medicinale, di balsamo che cura i lembi e le ferite dei nostri edifici e dei nostri luoghi, una cura come tecnica del rammendo per guarire le ferite dell’esserci.
Si rende doveroso rianimare la presenza, ridare la vita, respiro, pensiero a ciò che è spento, immobile e chiuso trattenendone insieme la bellezza e il ricordo. Il pensiero timido ci invita a una “nostalgia del futuro”, che prende radice nell’amore per ciò che esiste e poggia sulla terra.
Il movimento internazionale per l’architettura timida ha al suo attivo da venti anni azioni provocatorie (l’invenzione del miracoloso farmaco Timidina), ironiche (la patente a punti per il restauro), beffarde (la Citroburocratina) e meravigliosamente sconclusionate: dal manifestino rosso dell’architettura timida a mostre, articoli, libri, farmaci, realizzazioni di convegni in Italia e all’estero. La malattia del pensiero timido si è diffusa creando una piccola comunità resiliente, una specie di sacca per resistere alla crudeltà del mondo.
Questo movimento ha generato fra i suoi risultati rilevanti, un nuovo approccio al restauro dell’architettura e un’enciclopedia del dubbio. Proprio in riferimento al RESTAURO TIMIDO è stato ripreso dagli organizzatori della manifestazione quanto, a tale proposito, è affermato nel testo in cui si sostiene che, affinché l’opera perduri nell’orizzonte del tempo, il suo permanere dovrà essere “testimonianza dell’esperienza, l’intervento su quell’opera che non può che essere “timido”. La consapevolezza dell’irreversibilità del tempo comporta accantonare la tracotanza di chi, se pure convinto di restituire alla fruizione l’arte del passato, non si rende conto che le tracce, così cariche di allusioni e di metafore, così cariche di vissuto e testimonianza, sono esse stesse “opere d’arte” forse involontarie, ma sempre tali in quanto segni sempre e comunque dell’individualità irripetibile dell’uomo. Non si può certo dimenticare che le opere “sono”, che sono segni di…, e che si rivolgono a.... L’intervento “timido”, attento a non disperdere i segni della memoria, permette di mantenerli nell’ambito della presenza, quell’ambito in cui non vi è mera successione, ma “durata” ”.
A Venezia verranno presentati molti interventi che riguardano la nostra provincia di Cremona già premiati in importanti concorsi: i restauri di monumenti come S. Maria in Bressanoro a Castelleone, il Castello di Pandino, la piazza di Crema.
Ci saranno anche restauri di capolavori dell’architettura moderna come la recente rinascita dell’officina Olivetti a Crema per Ancorotti Cosmetics che ha vinto il Dedalo Minosse International Prize.
Infine, verrà ripresa l’esperienza al Senato con Renzo Piano del rammendo delle Periferie, un nuovo approccio più cauto e intelligente per cercare di reagire al degrado che ci circonda.
L’evento alla Biennale propone quindi un’architettura della timidezza come cura quotidiana dell’amicizia che unisce chi progetta, chi costruisce, chi abita.
Tale circostanza non è però un episodio isolato. Marco Ermentini con Paola Bassani è stato recentemente protagonista a Bari alla prima edizione di BiArch. La città di Bari è risultata vincitrice del bando del Ministero della Cultura “Festival dell’Architettura” che in venti giorni ha visto alla ribalta 200 ospiti e il succedersi di ben 60 eventi. .
Alla manifestazione, tenutasi dal 1 al 20 settembre, Ermentini, impegnato sul versante teorico non meno di quello della prassi architettonica, ha dimostrato come i due ambiti siano strettamente collegati: non c’è discontinuità né tanto meno contrapposizione. A connetterli è la cultura architettonica che non può essere mai frutto di un’esibizione personale dell’architetto, ma oggetto di puntuale studio e di quella “gentilezza” che, deposta l’arroganza della volontà di lasciare un proprio segno, sa confrontarsi e dialogare col passato. Solo in questo modo si è coevi alla nostra realtà e veramente innovativi. Se è assurdo pensare di riproporre la storia: il tempo non è reversibile, analogamente è assurdo dimenticare che in essa si trovano le nostre radici e la nostra memoria: la nostra identità.
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commenti
EM Ferrari
22 settembre 2021 15:44
Marco Ermentini ci incoraggia nel tentare nuove esperienze. Conduce per questo una battaglia difficile, essendo oggi gli architetti ormai "svuotatati" da ruoli importanti nell'ambito del restauro dei monumenti. L'engineering del restauro si impone come unica matrice. L'esistente dovrebbe guidare il progetto, interrogandosi sulle tracce, sulla loro sopravvivenza, mantenendo la forma senza preoccuparsi della funzione, ponendosi la questione della sostenibilità esaminando, nell'attuale, ciò che rimane per immaginare cosa durerà.