8 dicembre 2022

Anime russe sedotte dalla Madonna Sistina di Raffaello. E se la vedesse Putin?

Nel momento in cui rimaniamo inorriditi da quanto sta facendo Puntin in Ucraina (dopo la Cecenia e la Siria) – non è un caso che uno studioso schierato come Tomaso Montanari lo descriva “un tiranno mostruoso” – non possiamo dimenticare quanto amore abbiano riservato all’Italia e all’arte italiana, in particolare a quella di Raffaello, tanti personaggi e intellettuali russi, ammaliati, per non dire sedotti (da se-ducere: condurre a sé) da un’opera in particolare: la “Madonna Sistina” di Raffaello

Una Pala d’altare commissionata al pittore urbinate, come racconta il Vasari, per la chiesa di San Sisto a Piacenza, ma acquistata nel 1764 da Augusto elettore di Sassonia, per la sua collezione, e inserita nella Gemäldegalerie di Dresda. A Piacenza ne rimane una copia. In Italia due tra i massimi critici d'arte, Roberto Longhi e Antonio Paolucci, si divisero sul giudizio, considerando questa Madonna, l'uno come opera non troppo importante, l'altro come massima espressione artistica: “Non si può essere più bravi di così nel dominio delle forme e del colore”. Anche il già citato Tomaso Montanari è spinto a scrivere: “ogni volta che vedo la Madonna Sistina di Raffaello, mi viene voglia di farlo: di dire, cioè, che è il più bel quadro del mondo. Perché? Perché quando la vedi non ti viene voglia di niente altro: c’è dentro tutto”.

Nel secondo dopoguerra l’opera fu dall’esercito sovietico requisita e trasferita a Mosca, ma ritornò nella città tedesca nel 1955. Stalin aveva incaricato un ufficiale di trovare la Madonna Sistina e di portargliela a Mosca in gran segreto, dove rimase per otto anni, durante i quali il dittatore la visitò con pochi intimi, nei sotterranei del Museo Puskin. Poi la fece pulire e restaurare con grande cura. Dopo la sua morte, ma prima della restituzione, esposta al pubblico moscovita, fu visitata dall’interminabile processione di un milione e mezzo di persone in pochi mesi. Tra questi lo scrittore Vasilij Grossman, autore di quel capolavoro che è “Vita e destino”, che ci ha lasciato un ricordo indimenticabile di questo “incontro”. 

Agli inizi del ‘900 Michail Bakunin aveva sostenuto che l’opera possedeva un potere quasi “taumaturgico”, perciò proponeva di portarla nelle sommosse come protettrice, in quanto nessuno avrebbe avuto il coraggio di spararle contro. Ma c’è un altro mistero che riguarda Lenin, certo non un appassionato di arte. C’è un’opera stupefacente di Arpenik Nalbandyan, esponente di spicco del “realismo socialista”, che nel 1961 ritrae “Lenin a Dresda nel 1914” in visita alla Madonna Sistina. Se l’era inventato? E se è così, chi lo spinse a farlo? Molti studiosi, da ultimo Bianca Gaviglio (Raffaello, la Madonna Sistina e i russi, ed. Landau, 2020), dopo il piacentino Eugenio Gazzola (La Madonna Sistina di Raffaello. Storia e destino di un quadro, Quodlibet, 2013), hanno tentato di risolvere l’enigma: come mai proprio i Russi sono stati ammaliati da questo quadro? Indagini rigorose, anche originali, ma il mistero rimane.
Il suo irresistibile fascino, tuttavia, non era un fenomeno nuovo, tanto è vero che della Madonna Sistina abbiamo commenti dei maggiori intellettuali tedeschi, giunti a Dresda quasi in pellegrinaggio: Winkelmann, Goethe, Novalis, Schelling, Hegel, Schopenauer, Nietzsche, Freud, Heidegger. Non meno numerosi i russi, pur abituati a ben altre manifestazioni della bellezza, quella delle icone: Puskin, Dostoevsky, Tolstoi, Sergej Bolgakov, Nicolaj Berdjaev, il teologo Pavel Florenskij, e infine Vasilij Grossman. Per tale motivo questa opera di Raffaello è stata denominata “Madonna del pensiero”, capace di attivare pensieri e considerazioni profonde sul rapporto tra arte, visione religiosa e condizione umana come nessun’altra. 

Raffaello sembra seguire l'iconografia tradizionale, inserendovi poche ma significative variazioni, mantenendo in ogni caso quell’equilibrio formale, che dà armonia, componendo le diversità ma evitando qualsiasi banale parallelismo. Una finestra è aperta verso il cielo con nuvolette/angeli, i tendaggi levati come un sipario: si annuncia l'epifania del divino, l'apparizione della Vergine con in braccio Gesù, che scendono verso gli uomini per incontrare le loro miserie. Maria e il bambino non sono eterei, ma assai corposi, carnali. Molto seri: consci del loro destino futuro di sacrificio (Prolessi) oppure di incontrare il dolore degli uomini? Guardano verso i visitatori/fedeli e si muovono verso di loro (notare il movimento del velo e della veste di Maria, nonché quello di S. Sisto). I colori si richiamano nella scena, con i loro valori simbolici: blu e oro (i colori dell'eternità e regalità, dell'essere fuori dal tempo); verde (la speranza); rosso (l'amore); bianco (la purezza, la fede). Le figure di Maria e dei santi disposte a triangolo; se compresi gli angioletti, a rombo. I due santi individuati dai simboli iconografici: il triregno papale e la torre per Santa Barbara.

Nel dipinto di Dresda un sipario si apre ed ecco apparire Maria a piedi nudi col Bambino, che dal cielo stanno scendendo verso la terra: si tratta di una “apparizione” che accade nel mondo umano pur venendo dal cielo – si colloca proprio sul “confine”, sul “limite” tra trascendenza e immanenza – ma il movimento è tutto interno all'umanità, pur rimanendo presenza divina. La veste di Maria, che si muove verso la terra e l’umanità, indica la realtà di questo cammino come preludio di un incontro fisico ma anche interiore. Ciò è sottolineato dalla maggiore carnalità di questa Madonna rispetto ad altre, e dalla serietà del Bambino: tutt'altro che infantile il suo guardare al mondo. 

Poi una santa Barbara di straordinaria bellezza terrena con gli occhi verso il basso. E il gesto di San Sisto, con lo sguardo fisso a Maria, implorante, perché con la mano indica il visitatore, o il popolo dei fedeli. Questi sono portati “dentro” la scena, non più osservatori esterni. Tutti particolari a sottolineare l'incarnazione, la corporeità, pur nella visione sublimata di Raffaello, la compenetrazione del divino nell'immanenza. La presenza dei due angioletti in basso, ritratti come monelli, appoggiati ad un davanzale, indica la separazione tra terreno e ultraterreno. Sembrano due chierichetti un poco stufi della rappresentazione, pronti a correre fuori a giocare. La Madonna Sistina come madre qualunque, con uno sguardo umanissimo, un raggio di gioia per coloro che la guardano, mentre il bambino ha lo sguardo di chi è consapevole dello stato di miseria della condizione umana. Questa amalgama di suggestioni esercitò sui russi un’attrazione, un richiamo, un fascino irresistibili. Perché?

Per cercare di sciogliere questa problematicità, forse conviene approfondire il significato delle Icone ortodosse, che erano negli occhi e nella memoria di questi intellettuali come del popolo russo. Il grande teologo Florenskij sosteneva che la prospettiva rinascimentale non poteva rappresentare immagini “sacre”, in quanto lo sguardo dell’artista, nato dalla posizione prospettica dell’occhio che guarda, finisce per materializzare la cosa osservata, renderla umana, non più divina. Per tale motivo, per superare la materialità dello sguardo umano, nelle icone si incontra la “prospettiva inversa/rovesciata”, o anche una visione polscopica di un oggetto o di una figura, in modo tale che la rappresentazione si smaterializzi e ci porti direttamente al cospetto del divino. La rappresentazione iconica di Maria, ad esempio, non è un segno o simbolo della Vergine, ma è il divino stesso che appare nella sua luminosità, un fatto di natura divina. Nella icona si realizza ontologicamente la presenza del trascendente. L’icona perde il suo valore di ‘tramite’. Guardandola, si viene alla presenza della stessa Madre di Dio. La tavola non è, per Florenskij, un canale di luce, ma la Luce medesima.

La rinascimentale Madonna Sistina si sottrae a questo processo di umanizzazione, in quanto sembra, secondo lo studioso russo, che Raffaello abbia avuto un’apparizione in sogno, una visione, una “visita” della Vergine, che lo spingeva a rappresentare in modo diretto il trascendente. Forse è proprio questo che le grandi anime russe percepiscono nell’opera di Dresda, venendo portati, di fronte a tanta bellezza, ad una “visione estatica”. Tanto che Vasilij Zukoskij, amico di Puskin e Gogol, scrisse: “L’ora che trascorsi dinanzi a questa Madonna appartiene alle ore più liete della mia vita… cominciai a sentire chiaramente che l’anima si espandeva… un certo commovente senso di grandezza vi penetrava, l’inesprimibile si esprimeva… Il genio della pura bellezza era in lei”. Quindi è la bellezza che compie il miracolo, che sollecita lo sguardo estatico e che, come dicono gli studiosi, porta ad appagare l’animo del visitatore attraverso i sensi, aprendolo alla contemplazione e ad uno sguardo benevolo sul mondo. La cultura russa si trovava con questa Madonna davanti ad un miracolo inaspettato: nel quadro vi era la presenza reale di Maria e di Gesù, quindi di realtà trascendenti, ma all’interno di una figura totalmente umana, troppo umana nella sua armonia. Il che generava meraviglia, per questo continuo passaggio tra il divino presente nell’immagine, che però rimane carnale, terrena, ma di una bellezza che li trasportava di nuovo nel divino.

Dostoevsky visitò la Madonna a Dresda insieme alla moglie, che così lo descrive: “Mio marito attraversò tutte le sale senza sostare, conducendomi direttamente davanti alla Madonna Sistina. Considerava questo dipinto il massimo capolavoro creato dal genio umano. Lo vidi in seguito fermarsi per ore davanti a quella visione di bellezza senza uguali, che ammirava con tenerezza e trasporto”. Nei suoi romanzi spesso fa riferimento alla “madonna di Raffaello”, come in Delitto e castigo e nei Demoni, mentre nell’Idiota inserirà la sempre citata frase: “La bellezza salverà il mondo”, pensando forse ancora a Raffaello. Come Tolstoj, che tuttavia ne dava una valutazione meno entusiasta, ne aveva una copia nel suo studio, sopra il divano dove morì nel 1881. 

A riassumere la tensione tra narrazioni divergenti, bastano due ricordi di Sergej Bulgakof, teologo russo, dopo essere stato marxista. Nel 1898 la visione della Madonna a Dresda lo sconvolge, e si pensa che da lì sia partita la sua conversione. Gli occhi della Vergine lo trafiggono, insieme a quelli del bambino, in quanto presagiscono quello che sarebbe avvenuto, con l'accettazione della sofferenza per i peccati degli uomini. Rimane come fulminato: la testa gli gira, versa lacrime dolci e amare insieme, si scioglie il ghiaccio del suo cuore. “Non era un turbamento estetico, no; era un incontro, una nuova conoscenza, un miracolo”. Nel 1923 ritorna a Dresda da credente e questa volta la visione del quadro lo delude, pur apprezzandone la bellezza. “Era un dipinto, opera di un genio sovrumano, sì, ma di tutt’altro significato... Si avvertiva la suprema rivelazione di carattere femminile del dono di sé, ma umano, soltanto umano... ciò che trionfa qui è la femminilità”.

Tuttavia il commento più coinvolgente è quello di Vasilj Grossman, che ne rimase folgorato (La Madonna Sistina, in Il bene sia con voi!, Adelphi, 2011): “L’hanno vista dodici generazioni di esseri umani, questa tela, un quinto dell'umanità passata sulla faccia della terra dall’inizio dell’evo moderno ai nostri giorni. L’hanno guardata vecchiette in miseria, imperatori europei e studenti, miliardari d’oltre oceano, papi e principi russi, l’hanno ammirata vergini purissime e prostitute, colonnelli dello Stato maggiore, ladri, geni, tessitori, piloti di caccia e maestri di scuola, l’hanno vista i buoni e anche i cattivi”. E più avanti prosegue: “La nostra epoca guarda la Madonna Sistina e vi intuisce il proprio destino. Ogni epoca fissa lo sguardo su questa donna con il bambino in braccio, e fra gli esseri umani di generazioni, popoli, razze e secoli diversi si instaura un senso di fratellanza dolce, commovente e doloroso insieme. L’uomo prende coscienza di sé e della propria croce e comprende di colpo il legame prodigioso fra le epoche. Il legame di quanto è vivo oggi con ciò che vivo è lo è stato e non lo è più, e con ciò che invece ancora deve esserlo”. 

Il suo commento, però, non finisce qui. Uscito dal museo, “per strada sbalordito e turbato dalla potenza di un’emozione inattesa”, cerca di collegare quanto visto e provato a quanto di grande ha già incontrato: Guerra e pace, ad esempio, oppure la musica di Beethoven, che l’ha consolato nei momenti più cupi della sua esistenza. Ma poi ha un lampo, una specie di visione: Treblinka: “Era lei a calpestare scalza, leggera, la terra tremante di Treblinka., lei a percorrere il tragitto da dove il convoglio veniva scaricato fino alla camera a gas. La riconosco dall’espressione che ha sul viso, negli occhi. Guardo suo figlio e riconosco anche lui dall’espressione adulta, strana”. Grossman intuisce qui il vero carattere delle grandi opere d’arte: solo nel momento in cui la ricerca della bellezza accetta di misurarsi col problema del male e dell’ingiustizia nel mondo, non decade a fuga dalla realtà.

La Madonna di Raffaello dunque è nostra contemporanea, come il Bambino col suo sguardo che ha compreso tutto. Ma è serena, bellissima, piena di un amore che non cede alla paura, che ha fede ancora nella nostra invincibile umanità: “contemplando la Madonna Sistina manteniamo la nostra fede nel fatto che vita e libertà sono inscindibili, e non vi sia nulla di più alto dell'umanità dell'uomo”.

Forse sarebbe necessario che le Nazioni Uniti, invece che condannare Putin per crimini di guerra, di cui è pienamente consapevole, lo sollecitasse a visitare anche lui il Museo di Dresda per incontrare Raffaello, nella speranza che abbia una visione, una scossa di umanità. Una speranza assurda, la mia: per comprendere una grande opera, occorre un animo altrettanto grande ed empatico, che sappia elevarsi. 

 

Carmine Lazzarini


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