12 maggio 2021

Giovanni Beltrami, l'incisore al servizio dei Bonaparte

Tra i cremonesi più legati a Napoleone Bonaparte vi è senza dubbio Giovanni Beltrami.  “V'ha egli forse mestieri di lodare quando i soli fatti tessono l'encomio il più lusinghiero?”, si chiedeva nel 1839 Antonio Meneghelli, parlando di lui “onore del cielo italiano, perchè a niuno secondo fra i glittografi antichi, e forse maggiore di quanti fiorirono ne' tempi a noi più vicini. Sono chiari il Pistrucci e il Berini; questi per molto valore nello scolpire le pietre dure tanto a rilievo, quanto ad incavo; quegli per avere incisa la lira sterlina, guardata qual tipo delle monete coniate per eccellenza. Ma niuno intraprese opere di lunga lena pari a quelle del Beltrami; niuno di accinse a rivaleggiare col pennello e collo scarpello; niuno diede in un topazzo di pochi pollici, od alta pietra di simil tempra, la Cena di Leonardo da Vinci, la Tenda di Dario di Lebrun, Giove coronato dalle Ore dell'Appiani, e Bacco consegnato da Mercurio alla Ninfa dell'antro Niseo, preso da un contorno dell'immortale Canova” (Meneghelli Antonio, Insigne glittografo Giovanni Beltrami, Padova, 1839).

Giovanni Beltrami (1779-1854) nonno del matematico Eugenio, è stato uno dei più grandi incisori di pietre dure italiani, con ogni probabilità il più grande dell'Ottocento. Presso il Museo civico Ala Ponzone si conserva quello che è considerato il suo capolavoro: un cristallo di rocca, ma secondo alcuni si tratta di un topazio bianco del Brasile, con incisa la Tenda di Dario, soggetto tratto da un dipinto del 1661 di Charles Le Brun che si trova a Versailles, realizzato nel 1828 per Bartolomeo Turina e per il fratello Ferdinando. Ma tra i suoi clienti giovanili Beltrami poteva annoverare anche la famiglia Bonaparte; nella raccolta di stampe Bertarelli a Milano è conservata un'incisione all'acquaforte di Felice Zuliani che riproduce due cammei con i ritratti di Napoleone e di sua moglie Giuseppina di Beauharnais, andati in seguito perduti, come purtroppo è accaduto a gran parte della produzione dell'incisore cremonese. Potrebbe essere proprio la signora Bonaparte la figura femminile ritratta nel cammeo, inciso in agata, che l'artista cremonese regge nel ritratto che ne fece Giovanni Carnevali, detto il Piccio, conservato oggi presso la Pinacoteca Ala Ponzone. Il ritratto ha un'impostazione cinquecentesca con l'artista raffigurato di tre quarti a mezzo busto che mostra tra le mani una delle sue creazioni. 

I due nel 1838 avevano partecipato insieme all'esposizione di Brera per la quale Beltrami aveva preparato una raffigurazione dell'Olimpo tratta dal quadro di Andrea Appiani. Beltrami e il Piccio si conoscevano probabilmente già da qualche anno attraverso la comune frequentazione di artisti come Giuseppe Diotti e Pietro Ronzoni. I Beltrami, d'altronde, erano una famiglia di artisti: Giuseppe, fratello di Giovanni, era mercante ed antiquario che il Piccio frequentava assiduamente per conoscere e studiare le opere antiche che transitavano nella sua bottega. Il figlio Eugenio era pittore e miniatore ed aveva sposato la cantante veneziana Elisa Barozzi, che il Piccio ritrasse in un bellissimo disegno conservato sempre al museo civico Ala Ponzone. Dal matrimonio tra i due sarebbe nato il matematico Eugenio. Un altro figlio di Giovanni, Luigi, aveva sposato una pittrice padovana, Elisa Benato a cui lo stesso Piccio aveva donato una piccola tela rappresentante “La danza delle stagioni”. Eppure Giovanni aveva imparato l'intaglio delle pietre dure e preziose da autodidatta. Lui, nato nel 1779, figlio di un gioielliere, Giuseppe e di Teresa Cipelli e nipote del pittore Andrea Beltrami. Dopo un apprendistato insoddisfacente presso il glittografo milanese Giuseppe Grassi, il giovane Beltrami se ne torna a Cremona dove nella bottega del padre inizia a fabbricarsi gli attrezzi che aveva visto, ma non aveva potuto sperimentare. Inizia col realizzare un cammeo con Eraclito e Democrito inciso su topazio orientale, Giove e Venere in agata blu e poco più tardi in topazio bianco una scena con Amore Psiche. La prima commissione importante arriva con il vicerè Eugenio de Beauharnais, figlio di Giuseppina moglie di Napoleone, che “avea veduto con occhio di compiacenza qualche saggio del nostro artista. No andò guari che gli allogò una collana di sedici camei, il cui tema esser dovea la storia di Psiche. E perchè sapeva che alla più squisita perizia glittografica accoppiava molto valore nel disegnare, e molta fecondità nella invenzione, così volle che tutto uscisse dalla sua mano, e suoi fossero i pensieri, i disegni”. Beltrami sottopone il soggetto all'artista di corte Andrea Appiani e, avutane l'approvazione, esegue il lavoro. Ma “e già l'opera viaggiava per la contemplata destinazione; ma il corriere venne aggredito, e la collana pure fu preda di quelle mani rapaci che tutto aveano involato. Increbbe al Principe Eugenio il sinistro; ma nobile retribuì a larga mano il Beltrami, come se avesse ricevuto i camei, e ordinò che un'altra collana dell'intutto eguale occupasse l'ingegno dell'abile artista”. La collana era un dono del vicerè alla sua sposa, la principessa Augusta di Baviera, sposata nel 1806. Agli stessi data il ritratto su cammeo dell'imperatrice Giuseppina: “L'area dell'agata zaffirina. Sopra cui venne eseguito, era allo incirca di un pollice e mezzo; eppure ne uscì un vero prodigio dell'arte. Nè va di che stupire: quanto più piccolo era il diametro, tanto più felici vedeane i risultati”. Nel 1815, Beltrami si trova presso la corte bavarese di Massimiliano I per cui realizza diversi lavori, tra i quali un intaglio con il ritratto del sovrano, attualmente a Vienna presso il museo del tesoro imperiale (Schatzkammer) nel palazzo di Hofburg. Circa dieci anni più tardi, Carolina Augusta di Baviera, figlia di Massimiliano e divenuta imperatrice d'Austria, gli commissiona un ritratto in onice dell'imperatore Francesco I simile a quello già eseguito per il padre. Tra i clienti privati figura Bartolomeo Turina di Cremona che gli commissiona diversi lavori. Altri committenti privati sono Bartolomeo Soresina Vidoni e Giovanni Battista Sommariva. 

Fabrizio Loffi


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