26 luglio 2022

Una gita fuori porta: il villaggio operaio di Crespi d’Adda, “patrimonio dell’umanità” secondo l’Unesco

Con le Mura di Bergamo sono saliti a dieci i siti che l’Unesco ha denominato patrimoni dell’umanità, a cui si devono aggiungere tre patrimoni immateriali, tra cui l’arte liutaria di Cremona. Alcuni, a partire dalla chiesa Santa Maria delle Grazie con l’affresco dell’Ultima Cena, sono ben conosciuti anche a livello mondiale, ma forse pochi sanno che Crespi d’Adda ebbe a meritare, nel 1995, tale prestigioso riconoscimento. Esso merita una visita: anche da Cremona, il villaggio è facilmente raggiungibile: basta uscire al casello di Capriate, che dista da Crespi 2 km. Poi, dal casello seguire le indicazioni per Crespi d'Adda.

Il villaggio, con il suo grande cotonificio, fu costruito nell’ultimo quarto del XIX secolo dalla famiglia Crespi nel comune bergamasco di Capriate San Gervasio. É uno dei villaggi operai del mondo che meglio sintetizzano la cultura produttiva e sociale della modernità industriale. Inoltre, è fra quelli meglio conservati e, contrariamente a siti analoghi, le sue case sono ancora abitate. 

Crespi d’Adda condensa due peculiarità che costituiscono lo specifico campo di ricerca dell’archeologia industriale: è “testimonianza” della creatività umana nelle sue produzioni tecniche ma è anche a pieno titolo “paesaggio culturale”. La definizione del Parlamento sintetizza questo concetto in questo modo: “il paesaggio culturale è forgiato da un paesaggio naturale ad opera di un gruppo culturale. La cultura è l'agente, gli elementi naturali sono il mezzo, il paesaggio culturale è il risultato". Rappresenta l'opera combinata della natura e dell'uomo, in modo da intrecciare in modo organico le esigenze di tipo tecnico-materiale con quelle relative alla vita sociale ed espressiva dell’uomo. È indubbio che il villaggio di Crespi d’Adda illustri l’evoluzione della società e degli insediamenti umani nel corso della modernità industriale, sotto l’influsso di sollecitazioni e/o di vantaggi originati dall’ambiente naturale e dalle forze sociali, economiche e culturali successive, interne ed esterne.

Il paese sintetizza e ripropone la concezione del produrre e del vivere delle zone industriali della modernità: lo spazio è organizzato attorno ai luoghi della produzione, che costituiscono le strutture, ma anche i valori che configurano lo spazio e il tempo della comunità. Esso è l’espressione di un preciso progetto, improntato al principio della razionalità strumentale e, contemporaneamente, denotato da istanze utopiche. 

Con straordinaria chiarezza e densità espressiva, qui, secondo principi di efficienza, igiene e ordine, sono organicamente individuate e connesse le funzioni produttive, residenziali, terziarie. Lo spazio è rigidamente ripartito per corrispondere in modo pieno ai bisogni della collettività: viabilità lineare; casette mono o bifamiliari, razionali, ariose e dotate di giardinetto; chiesa; scuola (asilo ed elementare) con annesso teatro; ospedale e stazione dei pompieri; mensa aziendale; albergo; bagni pubblici; campo sportivo…; negli immediati dintorni, bellissime passeggiate nei boschi e lungo l’Adda e il Brembo.         

Non deve stupire la quantità e la varietà delle strutture collettive: nei tempi migliori, Crespi d’Adda vedeva al lavoro 4.000 operai, che solo in parte vivevano in loco, con le loro famiglie. 

Crespi d’Adda condensa due peculiarità che costituiscono lo specifico campo di ricerca dell’archeologia industriale: è “testimonianza” della creatività umana nelle sue produzioni tecniche ma è anche a pieno titolo “paesaggio culturale”. Il paese ripropone la concezione del produrre e del vivere delle zone industriali della modernità: lo spazio è organizzato attorno ai luoghi della produzione, che costituiscono le strutture, ma anche i valori che strutturano lo spazio e il tempo della comunità.

A dare ulteriormente il senso dell’epoca e delle sue stratificazioni sociali, ecco la grande villa-castello dei Crespi, le ville e le villette dei dirigenti, le case mono o bifamiliari per gli operai, il grande cimitero, in cui la monumentale tomba dei proprietari si erge – a dominare e a proteggere – su un verde e ampio prato che ospita le semplici tombe degli opera, tutte uguali. 

Il progetto ha qui configurato una spazialità in grado di favorire una nuova cultura comunitaria. La corrispondenza tra l’ordine dell’organizzazione spaziale e sociale con quello proprio della moderna fabbrica, sembra rifarsi alle intenzioni dei Crespi e dei suoi progettisti: esaltare il valore “integrativo” del luogo non tanto per assorbire gli inevitabili antagonismi sociali, quanto per predisporre le condizioni per il più fecondo utilizzo del lavoro degli operai. A Crespi d’Adda lo spazio, anche se è definito per segnalare e consolidare quella gerarchia economica, sociale e culturale propria del capitalismo che si era imposta nell’epoca dello sviluppo industriale, non prevede l’esclusione da parte di ciascun agente sociale nei confronti di altri. 

L’organizzazione spaziale del villaggio è quella della “griglia”, che coi suoi caratteri di regolarità e modularità favorisce la corrispondenza tra superfici e le precise funzioni a cui sono adibite. Essa ispira forme espressive capaci di sintetizzare un ideale cristallino di ordine razionale, che si manifesta nella semplicità funzionale delle forme architettoniche, sobrie e armoniose malgrado il ricorso (condensati soprattutto nella grande villa padronale, non a caso denominata “castello”) a motivi e stili presi, anche in modo fantasioso, da varie epoche. 

Gli edifici della fabbrica e gli uffici, oltre alla chiesa e al “castello”, residenza della famiglia Crespi, erano collocati su un lato della strada principale, sulla riva sinistra del fiume Adda, mentre il villaggio con le abitazioni si sviluppava sull’altro lato. La vita delle persone e dell’intera comunità ruotava intorno alla fabbrica, ai suoi tempi e alle sue esigenze.

Come si è già detto, per i lavoratori erano previsti diversi servizi e benefici, che oggi diamo per scontati, come la scuola, un centro sportivo, una clinica, una cooperativa di consumo, un piccolo teatro, lavatoi, ai quali va aggiunta la fornitura gratuita di energia elettrica fornita da una stazione idroelettrica 

Si tratta di un complesso di grande suggestione, posto nel territorio comunale di Trezzo sulla riva sinistra del fiume in corrispondenza di un’ansa e ai piedi del dirupo ovest dei ruderi del castello visconteo che domina la cittadina, rappresenta un maestoso e storico episodio di archeologia industriale, occasione di riflessioni su temi molto attuali legati al lavoro, all’ecologia e ai temi sociali dello sviluppo sostenibile, nonché ai temi del costruire a basso impatto ambientale. 

Tra gli innumerevoli motivi di interesse, alcuni sono direttamente correlati agli assetti strutturali e tecnologici propri della produzione industriale dell’epoca, si impone quello delle ciminiere (e qui il riferimento ai reperti della nostra ceramica Frazzi sono ben pertinenti). Le ciminiere rappresentano uno straordinario riferimento esplicativo e simbolico. A questo proposito, gli studi più rigorosi e documentati1 ci mostrano un rapido succedersi nel tempo e nello spazio di ciminiere di varia misura e dimensione: molte hanno vita breve, a causa della loro obsolescenza nel servire i diversi impianti succedutisi nel tempo e al rapido deperimento strutturale o ai danni provocati dagli incendi, dagli agenti atmosferici (soprattutto i fulmini).

Ma occorre parlare di un altro importante manufatto. Nel 1894 infatti Cristoforo Benigno Crespi, proprietario della fabbrica tessile del vicino comune di Crespi d’Adda e fondatore dell’omonimo villaggio, acquistò l'intero promontorio bagnato dall'Adda a Trezzo su cui sorgevano i resti dell'antico castello e, necessitando della costruzione di una centrale idroelettrica per la fornitura energetica del suo cotonificio, pretese che l’edificio venisse progettato proprio lì, ma con un inserimento nell’ambiente originario senza creare stridenti contrasti.

Venne così progettato un edificio davvero unico nel suo genere che univa alle innovazioni tecnologiche un linguaggio decorativo raffinato, perfetta realizzazione di connubio tra ingegneria e architettura, arte e tecnica. Alla luce delle attuali esigenze economiche e sociali, l’impianto presenta grandi valori in fatto di impatto ambientale.

Del resto, agli inizi del XX secolo, spesso, la realizzazione delle fabbriche si basavano su uno studio accurato delle forme, con lo scopo di nobilitare gli impianti industriali, rendendo le fabbriche luoghi rappresentativi in grado di trasmettere immagini positive dell’energia, della luce, del progresso.

La ricerca della “forma bella” rende questa centrale uno degli episodi maggiormente rappresentativi di questo movimento, con i suoi raffinati decori liberty in dialogo di continuità con i soprastanti resti medievali del castello.

Fu costruita in cemento conglomerato (materiale ancora poco utilizzato all’epoca in Italia), interamente rivestita in pietra di ceppo (una tipologia di puddinga nota come "ceppo dell'Adda” estratta dal fiume), grigia sull’acqua e nell’acqua. Le aperture e le rientranze che movimentano la sua monumentale facciata ricordano le naturali sporgenze della roccia ed il coronamento frastagliato richiama le merlature del soprastante castello, realizzando così un inserimento armonioso nelle preesistenze.

Proprio questa diga, detta Poirèe, in origine a panconcelli in legno, convogliando le acque del fiume lungo i lati della centrale, ha dato origine a un vasto bacino in corrispondenza dell’ansa di Trezzo.

Ma occorre parlare, anche se in modo molto sintetico di un altro importante manufatto. Nel 1894 infatti Cristoforo Benigno Crespi acquistò l'intero promontorio bagnato dall'Adda a Trezzo su cui sorgevano i resti di un antico castello visconteo, necessitando della costruzione di una centrale idroelettrica per la fornitura energetica del suo cotonificio e, in forma gratuita, dell’intero villaggio, pretese che l’edificio venisse progettato proprio lì, ma con un inserimento nell’ambiente originario senza creare stridenti contrasti.

Venne così progettato un edificio davvero unico nel suo genere che univa alle innovazioni tecnologiche un linguaggio decorativo raffinato, nonché notevoli qualità sula piano dell’impatto ambientale. 

Osservazioni conclusive.

Oggi, con meno di 500 abitanti, Crespi d’Adda si presenta come un caso raro di villaggio operaio autentico e perfettamente conservato, con la sua struttura urbana e architettonica praticamente invariata, sopravvissuta al tempo e ai cambiamenti sociali e economici grazie anche alla sua posizione, parzialmente isolata, tra i due fiumi. Gli edifici, sia pubblici che privati, sono nella loro condizione originale: pochissimi i cambiamenti apportati, tra cui un diverso colore per le abitazioni – originariamente bianche e con decorazioni in mattoni – e qualche modifica d’uso per alcune strutture.

Tra gli innumerevoli motivi di interesse, le due ciminiere rimaste rappresentano uno straordinario riferimento esplicativo e simbolico. A Cresi d’Adda ci fu un rapido succedersi di ciminiere di varia misura: la brevità della loro vita è causata dalla loro obsolescenza funzionale o dai danni provocati da incendi e agenti atmosferici. Nonostante la vicinanza nel tempo e l'apparente solidità delle strutture materiali, la storia del processo industriale è fondata in gran parte su materiale deperibile: i metalli sono soggetti, oltre che alla corrosione, al riciclaggio; gli edifici industriali, concepiti in funzione di un uso temporaneo e di specifiche tecnologie, hanno una durata fortemente condizionata dalla finalità dell'impiego e un’obsolescenza assai maggiore dell'edilizia civile e dell'architettura tradizionale. 

Essendo sorto dal nulla e progettato per svolgere in modo organico e “prescrittivo” un insieme di precise funzioni, questo luogo ci offre una visuale che pare escludere la dimensione storica. Una dimensione che può essere recuperata oggi, se sapremo utilizzare questa particolare esperienza come un tassello da mettere insieme ad altri in modo da costruire un presente e un futuro più vivibili.

 

Gianvi Lazzarini


© RIPRODUZIONE RISERVATA




commenti