25 gennaio 2023

Gli anni delle bombe a Crema

Quando una guerra finisce, è normale che il cosiddetto “uso legittimo della forza”, tipico attributo delle strutture statuali moderne secondo la dottrina dello Stato e il diritto costituzionale, ritorni senza eccezioni nelle mani delle pubbliche istituzioni e che, per prima cosa, cessati i combattimenti, ogni privato consegni le armi, smobiliti gli arsenali e svuoti la propria abitazione dalle scorte di fucili, pistole, munizioni ed esplosivi. Dopo la fine della seconda guerra mondiale, anche a Crema, come nel resto d’Italia, questo succede solo in minima parte. Molti non consegnano armi ed esplosivi, tanto che ne nascono denunce, sequestri, processi a carico di ex combattenti del nostro territorio. A livello nazionale, ancora nel 1951, presentando al Senato il suo settimo ministero, Alcide De Gasperi fa appello a tutti perché si “consegnino le armi” della guerra partigiana, rimproverando duramente i partiti della sinistra di non aver fatto nulla per convincere la propria base in tal senso.

A Crema parecchi attentati seriali si susseguono per un certo periodo di tempo, senza che i loro autori vengano mai identificati, processati e incarcerati. Una delle prime bombe che esplodono a Crema è quella lanciata nella notte tra il 15 e il 16 ottobre 1945 contro l’abitazione di Cristoforo Maggioni. Si legge sul “Fronte Democratico Cremasco” di sabato 20 ottobre 1945, n. 11, anno I, pag. 3: “Cronaca Cittadina - La sera del 15 corrente alle ore 23,30 è stata lanciata una bomba contro la porta di certo Maggioni Cristoforo, fascista rilasciato da poco dalle Carceri di Crema. L’esplosione ha causato lo scardinamento della porta e danni ai mobili; nessuna vittima. Noi condanniamo gesti di questo genere e deploriamo che delle persone possano avere una simile incoscienza che li spinga a non considerare quanto inutili e dannose siano tali azioni di banditi. In seguito a questo fatto, i RR. CC. hanno proceduto a perquisizioni in casa di partigiani ed iscritti al PCI, perquisizioni che non hanno però portato ad alcun risultato”. “L’attenzione dei RR. CC. si ferma, anche a Crema, sempre e soltanto sui partigiani e sui comunisti, con particolare riguardo a coloro che maggiormente hanno dato il loro attivo contributo alla lotta cospirativa ed insurrezionale”. Una lamentela politica che però finisce per costituire anche un’indicazione significativa sulle indagini che allora iniziano a svolgere i carabinieri guidati a Crema dal maresciallo maggiore Angelo De Rosa, un sottufficiale integerrimo e poco influenzabile dalle pressioni politiche del momento, che in proposito sembra apparire, dalla documentazione coeva consultata, più solerte del locale commissario di pubblica sicurezza Mario Rattazzi e anche del suo successore dal 1947, il commissario Giuseppe Montalto.

Un’altra bomba viene lanciata contro casa De Grazia, in via Dante Alighieri, nella notte tra il 20 e il 21 novembre 1945. Riporta il “Fronte Democratico Cremasco” di sabato 24 novembre 1945, n. 16, anno I, pag. 2: “Cronaca - Una bomba in Via Dante - Nella notte tra il 20 ed il 21, verso le ore ventitré, veniva lanciata da ignoti una bomba presso il portone di casa De Grazia. Fortunatamente non si hanno a lamentare vittime. Grande frastuono e rottura di vetri, tra i quali più di novanta del vicino Seminario e un centinaio circa delle suore Canossiane”. Si tratta di attentati esplosivi attuati in orari notturni o comunque con l’oscurità, con le stesse modalità operative e secondo uno schema fisso. Di bombe, d’ora in poi, se ne lanciano parecchie. La tipologia di esplosivo, la sua confezione, i meccanismi di innesco qualche volta variano. Ma si tratta di materiali di uso corrente, anche nel nostro territorio, negli attentati dinamitardi compiuti da talune formazioni partigiane fino a pochi mesi prima, quando il conflitto era ancora in corso. Ad esempio, vengono utilizzate le cosiddette “saponette” al trinitrotoluene, cioè al tritolo.

La sera del 3 dicembre 1945, allo sbocco della via XX Settembre nella piazza San Martino (dal 1970 piazza Giovanni XXIII), un altro ordigno esplosivo provoca la rottura di numerosi vetri e panico tra gli abitanti della zona. Commenta il “Fronte Democratico Cremasco” di sabato 8 dicembre 1945, n. 18, anno I, pag. 2: “Cronaca - Ancora una bomba! - Crema. La sera del 3 dicembre u. s., alle ore 20,50, è stata fatta scoppiare una “saponetta” al tritolo, dove la piazza fa angolo con la via Stefano Pavesi. Lo scoppio dell’ordigno ha provocato la distruzione di molti vetri ed ha seminato il panico tra gli abitanti della zona. Si voleva attentare forse alla vita del tristemente noto Tupone Dandolo, oppure a quella di Barbassa Tonino, ambedue appartenenti alle ex brigate nere, che abitano proprio lì?”. Dopo la terza bomba in circa un mese e mezzo, l’opinione pubblica cremasca comincia a orientarsi, quanto ai colpevoli, in una ben precisa direzione politica. Inoltre, l’obiettivo intimidatorio degli attentati inizia ad apparire piuttosto evidente a tutti.

Sempre nel mese di dicembre 1945, nella notte tra il 12 e il 13 (essendo a Crema, si potrebbe dire come “regalo di Santa Lucia”), la banda degli attentatori si fa più ardita e colpisce con una bomba la sede della DC cittadina. La cosa fa parecchio scalpore in città. Si tratta di un’azione che segna un punto di svolta importante: si alza il tiro con un attentato esplosivo che prende di mira addirittura un partito politico, per di più il principale partito alternativo al cosiddetto “blocco repubblicano” delle sinistre. Dice il “Fronte Democratico Cremasco” di sabato 15 dicembre 1945, n. 19, anno I, pag. 2: “Cronaca - Ancora bombe! - All’ultimo momento ci telefonano che la sera di Santa Lucia verso le 23 un’altra bomba è stata fatta esplodere nella sede del Partito Democratico Italiano (si intende la DC, n.d.a.). Molti i vetri crollati e rilevanti i danni arrecati ai mobili del locale dove da una finestra precedentemente rotta era stato calato l’ordigno. Fortunatamente nessuna vittima. Crediamo di interpretare i sentimenti della maggioranza della popolazione deprecando questi atti di violenza che si susseguono ormai con troppa frequenza nella nostra città”. Dopo l’attentato alla sede della DC, a Crema si comincia a ipotizzare che la banda dei bombaroli abbia dei collegamenti, diretti o indiretti, con le forze politiche avversarie del partito scudocrociato.

Le ipotesi e le voci si fanno sempre più insistenti, tanto che il PCI locale inizia a trovarsi in difficoltà e deve pubblicare sulla stampa cremasca, poco più di una settimana dopo l’ultimo attentato, questo comunicato: “Comunicato del Partito Comunista Italiano - Sui muri di Crema sono apparsi dei manifesti del Partito Democratico Italiano, i quali accusano elementi dei partiti di sinistra e della democrazia progressiva come autori o mandanti della devastazione della propria sede, provocata dal lancio di una bomba ad opera di sconosciuti. Poiché, nonostante le inutili circonlocuzioni, l’allusione è chiara e tocca direttamente il Partito Comunista, la sezione di Crema non può passare sotto silenzio una siffatta accusa senza avvalorarla. Il Partito Comunista si dichiara completamente estraneo a tali atti che deplora. Esso non ha bisogno di ricorrere a tali mezzi ed è rispettoso di ogni opinione politica. Come Partito di Governo e come Grande Partito, il Partito Comunista è il Partito di ordine ed assertore di ogni libertà democratica”. Il comunicato del PCI è molto lungo e continua affermando che, se la DC “adotta come mezzo di propaganda quello di acquistare aderenti invocando la commiserazione del pubblico, è affare suo”. Inoltre, si precisa che “ogni accusa deve essere provata” e “in mancanza di prove ogni accusa non può essere che effetto di leggerezza o di mala fede”.

In realtà, i manifesti affissi dalla DC non riportano accuse al PCI in modo diretto e si limitano a delle espressioni generiche. Il comunicato ha quindi soprattutto la funzione di presa di distanza ufficiale da un attentato così grave agli occhi del pubblico, visto che la maggioranza dei cittadini è convinta del contrario. Così come è convinta che i numerosi episodi di aggressione a persone collegabili al precedente regime siano opera di precisi gruppi di partigiani che non hanno consegnato le armi e continuano a farsi giustizia sommaria. Parecchi esempi riempiono le cronache. L’ultimo è riportato proprio alla pagina successiva a quella del comunicato del PCI, sul “Fronte Democratico Cremasco” di sabato 22 dicembre 1945, n. 20, anno I, pag. 2: “Cronaca - Casaletto Vaprio. Alcuni sconosciuti penetrati nella cascina di Merigo Agostino verso le 1,30 del 20 u. s., essendo stati fatti segno a colpi di fucile dal guardiano Bondio Giuseppe, rispondevano al fuoco con colpi di mitra e lanciavano anche alcune bombe a mano, provocando l’incendio di un fienile. Le campane del paese echeggianti nel buio della notte richiamavano gran folla, il cui intervento pose fine al combattimento notturno”. Lanci di bombe a mano, assalti, pestaggi ed “espropri popolari” sono tutt’altro che rari, soprattutto nei paesi e nelle zone rurali. Questa evoluzione della violenza dinamitarda, in città e nelle campagne, si fa sempre più palese nei mesi successivi, quando le lotte elettorali trovano un puntuale contrappunto in ulteriori bombe, fatte esplodere in specifiche date e contro obiettivi definiti. È una vera e propria strategia, visto il numero delle azioni criminose, la ripetitività delle modalità operative e la struttura organizzativa necessaria per consentire ai colpevoli le debite connivenze, coperture e impunità.

Nel nuovo anno le esplosioni continuano. Il titolo ricorrente, all’inizio dei vari articoli di giornale dedicati a questi attentati, è “Ancora bombe!”. Il primo attentato del 1946 viene inizialmente considerato di possibile matrice fascista. Si tratta di una bomba a mano lanciata contro il Teatro Nuovo, allora adibito a cinema (è l’attuale Teatro San Domenico), la sera del 16 gennaio 1946. Il Teatro è affollato per una proiezione cinematografica. L’obiettivo è di far esplodere la bomba all’interno, tra il pubblico, lanciandola attraverso il rosone posto sulla facciata. Per fortuna, l’attentatore ha una pessima mira e non centra il rosone. L’ordigno rimbalza sul muro esterno, cade sul selciato di piazza Trieste (dal 1970 piazza Trento e Trieste), esplode con grande fragore ma, per fortuna, causa soltanto vetri rotti, senza alcun danno alle persone. Si legge su “Libera Parola” di sabato 26 gennaio 1946, n. 1, anno XXI, pag. 2: “Cronaca - Le SAM non disarmano - Mercoledì sera 16 corrente, mentre al Teatro Nuovo si proiettava il film ‘Lenin 1918’ nel quale risaltava la titanica figura del grande socialista russo, veniva commesso un attentato terroristico da parte di alcuni elementi delle SAM (si intendono qui le ‘Squadre d’Azione Mussolini’, attive nei mesi successivi alla fine della guerra e confluite in altre formazioni nel corso del 1947, n.d.a.). Veniva lanciata una bomba a mano con lo scopo di farla entrare nella sala attraverso il rosone centrale della facciata. Fortunatamente il lancio era impreciso e la bomba rimbalzando contro il muro finiva sul selciato della piazza, provocando un fragoroso scoppio ma senza conseguenze. Gli esecutori dell’insano gesto sono pel momento ignoti ma la Autorità locale coadiuvata da quella giunta il giorno appresso da Crema (si voleva intendere probabilmente Cremona, n.d.a.), sta svolgendo attive indagini per scoprire i criminali e pare sulla buona strada”.

La notte tra domenica 17 e lunedì 18 febbraio 1946 viene fatta esplodere una bomba su un balcone della casa in cui vive Guido Crivelli, il Vice Sindaco di Crema, che è uno degli uomini di spicco della DC cittadina. Nell’edificio ci sono anche le sorelle di Crivelli e l’ordigno danneggia soprattutto la parte di fabbricato in cui abitano queste ultime. Il messaggio di avvertimento e di minaccia è chiarissimo a tutta la cittadinanza cremasca. Infatti, ci sono state, nelle settimane precedenti, accese discussioni consiliari e di giunta in municipio, nelle quali Crivelli è stato direttamente e pesantemente coinvolto. Si è trattato di aspre discussioni che hanno visto prendere posizione, nei confronti dell’opposizione municipale di sinistra, soprattutto il Vice Sindaco. La dinamica dei fatti appare quindi evidente a molti: ci sono esponenti politici che contrariano certi loro avversari in Consiglio e in Giunta e quindi, puntuale, arriva la bomba lanciata, contro quegli stessi esponenti, dalla banda dei soliti attentatori. Certo, il ritornello del “mancano le prove” ha un indubbio valore in sede inquirente e poi eventualmente giudiziaria. Però le “prove”, in senso strettamente giuridico, ci sarebbero solo in caso di flagranza di reato, visto che una ben orchestrata cortina di silenzio pare coprire le attività dei bombaroli. E questa flagranza di reato non si verifica. D’altra parte, le forze di polizia non sembrano intervenire con particolare convinzione e quelle dei carabinieri in città sono limitate: in quel periodo, oltre al maresciallo maggiore De Rosa, sono in forza a Crema solo il vice brigadiere Andrea Tomsic, il vice brigadiere Sebastiano Cortina, il carabiniere scelto Giuseppe Sustersic e pochissimi altri carabinieri. Il mantenimento dell’ordine e la prevenzione dei reati, in un territorio piuttosto esteso come quello di Crema, per di più in un periodo postbellico segnato da violente ritorsioni e vendette, nel quale oltretutto agisce una “squadra” di attentatori esperti nell’uso degli esplosivi e addestrati alle azioni di sabotaggio armato, costituisce certamente qualcosa di molto problematico per questo volonteroso ma insufficiente presidio dell’Arma Benemerita. Solo una collaborazione vera e sincera da parte di tutti potrebbe portare ad acquisire le “prove” sugli autori degli attentati. Ma questa collaborazione manca.

Le reazioni della stampa locale all’attentato dinamitardo contro casa Crivelli sono univocamente di condanna. Riporta il “Fronte Democratico Cremasco” di sabato 23 febbraio 1946, n. 29, anno II, pag. 2: “Cronaca - Bomba (vetri rotti) al Vice Sindaco della nostra città - Approfittando dell’oscurità, domenica 17 c. m. verso le ore 23,30 alcuni sconosciuti gettavano una bomba a mano sul balcone dell’abitazione dell’avv. Guido Crivelli, Vice Sindaco della nostra città, sita in piazza San Martino. La bomba esplodeva in un angolo della porta senza recare danni molto rilevanti, frantumando fortunatamente solo vetri”. Commenta “Libera Parola” di sabato 23 febbraio 1946, n. 5, anno XXI, pag. 2: “Cronaca - Ancora bombe! - Un altro ordigno esplosivo, probabilmente una delle solite “saponette” al tritolo, è stato lanciato alle ore 23,15 del 17 ultimo scorso sul balcone dell’abitazione delle signorine Crivelli, sorelle del nostro Vice Sindaco. Lo scoppio ha provocato la distruzione di tutti i vetri della casa. Fortunatamente non si lamentano vittime. Il gesto dei criminali ha destato vivo sdegno nella popolazione, che vede come la sicurezza di ognuno sia messa continuamente a repentaglio dalla criminalità di individui irresponsabili, che hanno evidentemente tutto l’interesse a creare disordini e scompiglio e facendo poi ricadere su altri la propria colpa”. Qui il giornale dei socialisti cremaschi sembra quasi adombrare responsabilità diverse da quelle ormai diffuse con insistenza dalla vox populi, come se qualcuno volesse far ricadere le colpe degli attentati su degli innocenti, in modo strumentale. Insomma, un “complotto” ai danni delle sinistre. La tesi però non ha alcun seguito in città, vista l’effettiva realtà delle cose e dei fatti.

Tre giorni dopo la bomba contro il Vice Sindaco, nella notte tra mercoledì 20 e giovedì 21 febbraio 1946, un’altra bomba esplode nella Stretta Grassinari, non lontano dalla porta di servizio del Caffè Commercio. Dice “Libera Parola” di sabato 23 febbraio 1946, n. 5, anno XXI, pag. 2: “Cronaca - Ancora bombe!  - Mercoledì sera alle ore 23,30 la solita banda di terroristi che agisce in Crema ha fatto scoppiare una bomba SIPE nella Stretta Grassinari. La bomba è esplosa esattamente a tre metri circa dalla porta di servizio del Caffè Commercio. Ora la cittadinanza tutta si domanda: fino a quando questi banditi potranno continuare la loro nefanda opera?”. La “SIPE” è una bomba a mano prodotta dalla Società Italiana Prodotti Esplodenti di Milano e usata soprattutto nella prima guerra mondiale. Però viene utilizzata anche nei decenni successivi. Il suo uso è tipico delle operazioni di guerriglia e il suo impiego è diffuso nelle formazioni partigiane. La notizia è ripresa anche dal “Fronte Democratico Cremasco” di sabato 2 marzo 1946, n. 30, anno II, pag. 2: “Cronaca - La solita bomba - Uno dei soliti ordigni esplodenti venne lanciato nella Stretta Grassinari. Da principio si pensò che essa fosse diretta al buon Orsini, per svegliarlo un po’ e fargli riacquistare la vigoria perduta. Senonché un piccolo foglietto trovato per terra conteneva parole e minaccie (sic) contro giocatori d’azzardo del Caffé Commercio. Noi non approviamo queste inconsulte manifestazioni esplosive; biasimiamo però che, in momenti così tragici per la nostra patria, vi sia gente che al tavolino di gioco perde centinaia di migliaia di lire e spenda altre vistose somme in bevande più o meno eccitanti. Anche se il denaro gettato via in questo modo qualcuno può considerarlo lo sterco del diavolo e quindi da buttar via, occorre per niente che una infinità di persone soffrono privazioni e che ben volentieri accoglierebbero anche una parte di quella moneta che con tanta spensieratezza, e vorremmo dire delittuosità, viene sciupata. Alle persone di ogni ceto e specialmente coloro che maggiormente sono forniti di mezzi di fortuna, incombe il dovere del buon esempio e dell’onestà. Solo in tal modo potremo riacquistare quel senso di equilibrio e di dirittura morale senza la quale non è possibile alcuna rinascita”.

Un utilizzo plurimo di bombe a mano a fini di natura politica e specificatamente elettorale si ha nel paese di Sergnano, a una decina di chilometri da Crema. Le elezioni amministrative che si svolgono nelle due tornate del 31 marzo e del 7 aprile 1946 in buona parte dei Comuni del territorio cremasco (per la parte restante si voterà il 6 ottobre, data in cui sono previste anche le votazioni per il Comune di Crema) segnano una netta affermazione della DC, a scapito di PCI e PSIUP. Per inciso, il PSIUP è allora il partito socialista, definito come “Partito Socialista Italiano di Unità Proletaria”, sorto nell’agosto 1943 dalla fusione del PSI con il Movimento di Unità Proletaria. Nel 1947, uscita la componente che dà vita al “Partito Socialista dei Lavoratori Italiani”, il partito socialista riprende la vecchia denominazione di PSI. Un Comune che rappresenta, per diversi motivi, un caso emblematico di questa vittoria della DC è quello di Sergnano. Però, prima di arrivare alle bombe di Sergnano, va detto qualcosa su queste elezioni amministrative. Su quindici Comuni al voto nella prima tornata elettorale del 31 marzo, la DC prevale sul PCI/PSIUP in dieci Comuni. Si vota nei Comuni di Camisano, Casale Cremasco, Castel Gabbiano, Cremosano, Cumignano sul Naviglio, Izano, Pieranica, Ricengo, Ripalta Cremasca, Rivolta d’Adda, Salvirola, Sergnano, Ticengo, Vaiano Cremasco e Vailate. Solo a Cumignano sul Naviglio, Rivolta d’Adda e Salvirola vincono il PCI/PSIUP, mentre a Ticengo e Vailate la DC non presenta una propria lista. Su sette Comuni al voto nella seconda tornata elettorale del 7 aprile, la DC prevale sul PCI/PSIUP in sei Comuni. Si vota nei Comuni di Casaletto Ceredano, Castelleone, Monte Cremasco, Offanengo, Pandino, Ripalta Arpina e Torlino. Solo a Torlino vincono il PCI/PSIUP. Sui restanti Comuni del territorio cremasco, al voto nella terza tornata elettorale del 6 ottobre 1946, la DC prevale sul PCI/PSIUP in undici. Però, tra i sette in cui perde c’è quello di Crema. Si vota nei Comuni di Agnadello, Bagnolo Cremasco, Casaletto di Sopra, Capergnanica, Capralba, Casaletto Vaprio, Chieve, Credera Rubbiano, Crema, Dovera, Fiesco, Madignano, Montodine, Moscazzano, Palazzo Pignano, Romanengo, Soncino, Spino d’Adda e Trescore Cremasco. Ad Agnadello, Casaletto di Sopra, Crema, Fiesco, Moscazzano, Romanengo e Spino d’Adda vincono il PCI/PSIUP. La Dc vince quindi nel complesso della circoscrizione, quanto a voti e Comuni amministrati (da tenere presente che Castelleone non farebbe parte della circoscrizione). A Crema, come si è detto, la DC invece perde, ottenendo 5.571 voti rispetto ai 6.740 voti del blocco delle sinistre. Il sistema elettorale assegna 24 consiglieri alla maggioranza e solo 6 alla minoranza. Il nuovo Consiglio Comunale elegge Sindaco il socialista Carlo Rossignoli, un vero galantuomo e uno dei partigiani del nostro territorio più degni di credibilità (e più disinteressati). Ma torniamo ora alle bombe di Sergnano, dove la vittoria della DC sul PCI/PSIUP, dopo una lotta elettorale acerrima e senza quartiere, risulta particolarmente eclatante.

Nella notte tra l’1 e il 2 aprile, dopo che nel tardo pomeriggio l’esito delle votazioni è diventato pubblico, numerose bombe a mano vengono lanciate e fatte esplodere contro le abitazioni di molti eletti per la DC nel nuovo Consiglio Comunale di Sergnano. Le forti deflagrazioni causano terrore nei residenti e danneggiano le case dei neoeletti. Per fortuna non ci sono vittime. Le varie azioni sono palesemente condotte da più soggetti tra loro collegati, in quanto una certa contemporaneità e sinergia tattica sono evidenti. Il livello organizzativo della “squadra” impegnata a Sergnano è palese e indicativa. In poche ore viene reso disponibile agli attentatori un certo numero di bombe a mano, tutte perfettamente funzionanti e pronte all’uso. Nel frattempo, sono identificati i bersagli da colpire, che sono i candidati di cui si è resa nota l’elezione soltanto poche ore prima. Un tempismo significativo. Vengono inoltre forniti gli indirizzi di tali bersagli, le vie per giungere alle loro abitazioni e le vie di successivo disimpegno. Soprattutto, sono subito a disposizione i soggetti incaricati dei numerosi lanci di bombe nei vari punti del paese, di comprovata esperienza nel maneggio degli esplosivi. L’eco dei fatti di Sergnano è notevole. Un intero paese è stato posto sotto aggressione e minaccia da una banda di attentatori dinamitardi, incaricati di colpire e intimidire i nuovi rappresentanti politici locali, eletti in base a regolari e democratiche elezioni amministrative. Però, anche qui, le “prove” non si trovano.

Le attestazioni di solidarietà rispetto agli avvenimenti di Sergnano sono numerose, ad opera delle varie municipalità del nostro territorio e da parte di diverse istituzioni locali. Anche la stampa cremasca condanna l’accaduto. In particolare, non mancano in proposito gli articoli sul giornale della DC cittadina. Si legge infatti su “Il Cremasco” di sabato 6 aprile 1946, n. 4, anno I, pag. 2: “Vita del Partito - Risultato delle Elezioni Amministrative del 31 marzo - Il partito saluta gli amici democratico-cristiani di Sergnano contro le cui abitazioni, nella notte tra l’1 e il 2 c. m., si sono lanciate bombe che hanno causato solo spavento e danni materiali. Le bieche figure che tramano nell’ombra e che gli onesti di tutti i partiti non possono non colpire col marchio del disprezzo, devono essere dalle pubbliche autorità identificate ed esemplarmente punite. La democrazia non deve essere per gli uni ordine, servizio e donazione a pro dei fratelli e per gli altri disprezzo delle più elementari norme di vivere civile. Democratici Cristiani e Cittadini onesti di Sergnano, la Democrazia Cristiana è con voi nel volere la luce sul fatto”. Sullo stesso numero di questo giornale, a pag. 4 si legge: “Al di qua e al di là dal Serio - Sergnano - Sia conforto sapere che tutto il popolo onesto è stretto loro intorno (si intende intorno alle vittime degli attentati, n.d.a.) a bollare col segno del disonore i vigliacchi che tramano nell’ombra e che … rispettano la volontà popolare con il lancio delle bombe contro le abitazioni dei nuovi consiglieri. Il partito ha segnalato il fattaccio al Prefetto e al Ministero degli Interni. I colpevoli vanno identificati e puniti. La violenza va stroncata in radice e subito. È stata la violenza che ha generato il fascismo”. Il “volere la luce sul fatto” e la richiesta che i criminali siano “identificati e puniti” non hanno seguito. Infatti, anche in questo caso, i colpevoli riescono a restare nell’ombra.

Vediamo ora che cosa accade riguardo a uno dei simboli della monarchia sabauda a Crema, che però è anche molto di più, trattandosi soprattutto di un simbolo del nostro Risorgimento nazionale e quindi di un processo storico e culturale che dovrebbe andare oltre le polemiche del momento e gli interessi particolari, superando le specifiche appartenenze di partito e le divisioni dovute alle varie ideologie politiche: si intende il monumento a Vittorio Emanuele II, inaugurato a Crema il 7 agosto del 1881 e opera dello scultore Francesco Barzaghi, collocato in piazza Roma (dal 1959 piazza Vittorio Emanuele II, dal 1978 piazza Aldo Moro). Siamo però nei mesi che precedono le elezioni dei rappresentanti all’Assemblea Costituente e il referendum tra Monarchia e Repubblica. E la statua del Re rappresenta un elemento troppo emblematico, per una certa parte politica, per non essere oggetto di particolari attenzioni negative. Così infatti succede.

Il primo dei due attentati contro il monumento di Vittorio Emanuele II, quello meno grave, viene commesso nella notte tra martedì 12 e mercoledì 13 marzo 1946. Non vengono provocate esplosioni ma si utilizza una vernice rossa per ricoprire la statua del Re in modo quasi completo. Ovvio il significato politico di tale “coloritura”. Dagli accertamenti dell’Ufficio Tecnico del Comune, si comprende che è stata utilizzata una vernice ad alto effetto corrosivo, che intacca lo strato superficiale del marmo e non può essere rimossa con una normale ripulitura. Si è voluto intenzionalmente causare un grave danno alla statua, a causa della “detrapazione con la colorazione in vernice rossa”. L’opera di restauro si presenta quindi ardua e laboriosa. Il Sindaco e la Giunta deliberano comunque un intervento di ripulitura, da realizzarsi attraverso l’asportazione della vernice e il ripristino della statua nelle sue condizioni originarie. A questi fini, viene disposta la costruzione di un’impalcatura in legno intorno al monumento, per consentire lo svolgimento di tutte le operazioni finalizzate al restauro. Presso l’Archivio Storico Comunale di Crema, nella cartella “Affari Generali” del 1946, è conservata la documentazione riguardante la costruzione dell’impalcatura. L’attività degli addetti dell’Ufficio Tecnico si svolge dal 15 al 21 marzo e le ore lavorate sono indicate in un’apposita distinta. Nella nota di pagamento n. 13 (senza data ma della prima settimana di aprile) sono consuntivati i costi del lavoro prestato per costruire l’impalcatura, pari a lire 3.055,20. L’entità del danno causato dalla vernice non è subito evidente alla cittadinanza. La non immediata percezione di tale gravità emerge anche dalla stampa locale. Però nei giorni successivi, con la costruzione dell’impalcatura e con la diffusione delle notizie sui futuri restauri da svolgere, l’atto vandalico si manifesta in tutta la sua pregiudizievole gravità e onerosità.

Riporta in proposito “Il Cremasco” di sabato 16 marzo 1946, n. 1, anno I, pag. 2: “Martedì scorso persone ignote (proprio ignote?) hanno … decorato il monumento a Vittorio Emanuele II di piazza Roma. Ci siamo presi la soddisfazione di raccogliere le impressioni e i commenti di molti cittadini di ogni tendenza (naturalmente anche i repubblicani) e di ogni classe. Tutti, o quasi, sono stati sfavorevoli e cioè di riprovazione dell’inutile e svergognato gesto. Alle tacite proteste di tanti cittadini uniamo quella pubblica nostra perché ‘la democrazia, signori, non comincia necessariamente con la repubblica né finisce per forza con la monarchia; ma consiste, venga la prima o rimanga la seconda, nell’urbanità’ ”. L’autore dell’articolo non dice quale sia la fonte della sua citazione. Commenta invece beffardamente “Libera Parola” di sabato 16 marzo 1946, n. 8, anno XXI, pag. 4: “I Savoia si bolscevizzano? - Dopo l’esito delle elezioni amministrative, i Savoia, fiutato il vento infido, hanno inalberato la bandiera rossa. Ne ha dato per primo l’esempio il ‘padre della patria’ alloggiato in piazza Roma, che tutti i cremaschi hanno improvvisamente visto trasformare in un bel rosso cocomero”. Le elezioni amministrative a cui l’autore dell’articolo si riferisce non sono quelle riguardanti il territorio cremasco, ancora da svolgersi (vedi sopra), ma quelle svoltesi il 10 marzo e riferite ad altre realtà municipali italiane. Da notare, in questo commento, l’assenza di qualsiasi censura riguardo al gesto vandalico e, anzi, una certa irridente soddisfazione.

Le votazioni per i rappresentanti all’Assemblea Costituente e quelle del referendum tra Monarchia e Repubblica si svolgono il 2 giugno 1946. Le due votazioni sono state abbinate e, per la prima volta in Italia, le donne possono esercitare i loro diritti elettorali, sia attivi che passivi. Oltre alla DC come partito di centro e ai partiti della sinistra definiti come “blocco repubblicano”, vale a dire PCI, PSIUP, Pd’A e PRI, si presentano alle urne anche il nuovo partito monarchico (“Blocco Nazionale della Libertà”), i cosiddetti “Qualunquisti” (“Fronte dell’Uomo Qualunque”) e i liberali (“Unione Democratica Nazionale”). A Crema e nel territorio cremasco la DC ottiene più voti degli altri partiti. Nella città di Crema la DC ottiene 6.081 voti. Ma il “blocco repubblicano”, sommando tutti i voti dei partiti che lo compongono, ne ottiene 7.502, prefigurando così la vittoria socialcomunista alle elezioni amministrative cittadine di ottobre. Nella circoscrizione di Crema, nel suo complesso, la DC ottiene il 48% dei voti (circa 28.000 consensi), contro il 29% del PSIUP (circa 17.000 consensi) e il 13% del PCI (circa 7.500 consensi). Da notare quanto il PSIUP sopravanzi il PCI, in queste prime elezioni politiche svolte nel cremasco dopo il fascismo. Nella provincia di Cremona, che fa parte della circoscrizione Mantova-Cremona, sono tre i partiti che fanno eleggere i propri candidati all’Assemblea Costituente. La DC, con 80.395 voti, designa Giuseppe Cappi (28.474 preferenze) e Lodovico Benvenuti (12.671 preferenze). Il PSIUP, con 67.646 voti, designa Ernesto Caporali (10.558 preferenze) e Pietro Pressinotti (9.725 preferenze). Il PCI, con 50.164 voti, designa Dante Bernamonti (11.902 preferenze). Lodovico Benvenuti è quindi il solo rappresentante di Crema e di tutto il territorio cremasco che viene eletto all’Assemblea Costituente. Nelle votazioni per il referendum tra Monarchia e Repubblica, svoltesi nelle 20 sezioni elettorali cittadine di Crema, il risultato è di 9.775 voti per la Repubblica e di 4.831 per la Monarchia. Nella circoscrizione elettorale che comprende i Comuni del territorio cremasco, il risultato complessivo è di 31.869 voti per la Repubblica e di 26.561 voti per la Monarchia. A livello nazionale, circa il 54% dei voti utili va alla Repubblica e circa il 46% alla Monarchia.

Il secondo attentato contro il monumento di Vittorio Emanuele II, quello molto più grave, viene commesso subito dopo la notizia dell’esito del referendum, ufficializzato il 10 giugno dalla Corte di Cassazione. Nelle prime ore notturne tra martedì 11 e mercoledì 12 giugno 1946, una forte esplosione in piazza Roma sveglia di soprassalto i cremaschi residenti in centro città e infrange, per la sua forza d’urto, numerosi vetri delle abitazioni e dei negozi circostanti, posti a parecchi metri di distanza. Sin dalle ore successive, le prime verifiche ordinate dal Sindaco Francesco Boffelli all’Ufficio Tecnico municipale accertano che i danni causati dall’attentato esplosivo al monumento sono probabilmente irreparabili e che la statua, danneggiata e pericolante, rischia di crollare del tutto. La reazione dei cittadini, delle forze politiche e della stampa locale è univoca e senza eccezioni: lo sdegno e la riprovazione sono generali e anche i più accesi repubblicani condannano senza mezzi termini l’attentato, considerato come un ennesimo, intollerabile atto di delinquenza. Nessuno confonde le proprie posizioni politiche con questo gesto, unanimemente censurato come un reato grave, i cui autori sono da punire in modo esemplare. Gli articoli che appaiono sui giornali “Libera Parola”, “Il Cremasco”, “Il Torrazzo” e altri, così come le dichiarazioni dei vari esponenti politici, sono concordi: si tratta di criminalità senza alcuna giustificazione politica. Non si riportano in questa sede, per comprensibili limiti di spazio, i testi dei numerosi articoli usciti in proposito sulla stampa locale. Tutti chiedono alle pubbliche autorità di identificare i responsabili e condannarli per tale atto delittuoso. Tuttavia, anche in questo caso, i colpevoli non saranno mai ufficialmente identificati e quindi processati e incarcerati. Successivamente all’attentato, non sono mancate le operazioni di “depistaggio”, intese ad addebitare le responsabilità dell’azione criminosa ad autori diversi dai colpevoli. Queste vicende meriterebbero un articolo a parte, soprattutto quella riguardante il tentativo attuato in proposito a partire da una ventina circa di anni fa. Basti qui dire che anche quest’ultimo “depistaggio”, dopo alcune iniziali parvenze di riuscita mediatica, è fallito.

Nella stessa mattinata successiva all’attentato notturno, quella del 12 giugno, il Sindaco aveva già convocato con grande tempestività una riunione straordinaria di Giunta. Alle ore 11 si erano infatti riuniti negli uffici municipali il Sindaco e gli Assessori, mentre era stato subito contattato lo scultore Enrico Girbafranti per un parere, a conferma dei primi riscontri forniti dall’Ufficio Tecnico, sulla pericolosità della struttura nei confronti del pubblico. La Giunta aveva deliberato in via precauzionale la rimozione del monumento, l’invio di comunicazioni alle autorità militari e di polizia competenti per l’individuazione dei colpevoli e la pubblicazione sulla stampa locale di un apposito comunicato, riservandosi ogni azione di rivalsa nei confronti degli autori del reato, in ragione del danno sofferto. Il giorno successivo, 13 giugno, il Sindaco presenta quindi, per conto del Comune, formale denuncia all’autorità giudiziaria, nella persona del Pretore di Crema, Ferdinando D’Antonio, richiedendo che si proceda a termini di legge e riservandosi di costituirsi parte civile. Ancora il 13 giugno, il Sindaco invia alle direzioni dei giornali “Libera Parola” e “Il Cremasco” la richiesta di pubblicare un comunicato sull’attentato e sulla decisione di rimozione del monumento. Nel frattempo, giunge in pari data al Comune la conferma di Enrico Girbafranti sulla necessità di rimuovere urgentemente la statua pericolante. Sempre in data 13 giugno, il Sindaco invia all’Ufficio Tecnico disposizione perché si provveda nel minor tempo possibile alla rimozione del monumento dalla piazza. I lavori di demolizione iniziano all’indomani della decisione di rimozione, la mattina di venerdì 14 giugno, e terminano due settimane dopo, il pomeriggio di giovedì 27 giugno. Il monumento sarà restaurato e riposizionato nella stessa piazza il 7 settembre 2013, solo dopo molti decenni dalla data della sua rimozione.

Un altro atto di dispregio pubblico, che però non viene realizzato con materiale esplosivo ma con una sostanza meno pericolosa eppure molto offensiva, è quello compiuto una decina di giorni dopo l’attentato al monumento di Vittorio Emanuele II. Questa volta viene colpito il monumento ai Caduti di piazza Trieste, nella notte tra il 22 e il 23 giugno 1946. Qualcuno prova a sostenere che il materiale con cui è stato lordato, in abbondanza, il monumento donato alla cittadinanza dalla famiglia dei conti Marazzi, per volontà del tenente generale Fortunato Marazzi, sia solo fango. Però sono in parecchi a sostenere che inconfondibili afrori di stallatico non lascino dubbi sulla provenienza organica della sostanza che ricopre l’Arciere e i rilievi marmorei sul basamento, realizzati dallo scultore Arturo Dazzi “a perenne ricordo dei fratelli nelle armi”. Ne nasce un’accesa polemica che coinvolge le forze politiche, la stampa locale e la sezione di Crema dell’Associazione Nazionale Mutilati e Invalidi di Guerra. Per lo meno, non si tratta di un attentato dinamitardo come per la statua di Vittorio Emanuele II e il monumento non deve essere rimosso, come nell’altro caso. Nei giorni successivi, si esegue l’operazione di ripulitura e sanificazione.

Dice “Il Cremasco” di sabato 29 giugno 1946, n. 17, anno I, pag. 3: “Cronaca Cittadina - Insano dispregio del monumento ai Caduti - Crema deve registrare un altro atto vandalico effettuato dai ‘soliti ignoti’ contro uno dei suoi più cari monumenti, quello dei Caduti della Guerra 1915-18. Tutti i cittadini sono profondamente indignati per questo nuovo atto insano, esecrando e deprecabile, compiuto da loschi individui che non si possono chiamare irresponsabili o partigiani di un’idea in quanto associano nella loro opera dispregiatrice persone, abitazioni private e monumenti che attestano il passato glorioso della Patria e della Città. Attentati, bombe demolitrici, fango oltraggioso: sono parto di menti mentecatte; appartengono a individui indegni di chiamarsi italiani. Il fango (o altro) gettato sul monumento dei Caduti per la Patria non può essere che lo stesso in cui essi continuamente guazzano ed amano vivere. La Democrazia Cristiana di Crema si associa al vivo risentimento dell’Associazione Mutilati e Invalidi e alla Associazione Famiglie Caduti in Guerra, che bolla la feccia perversa e infame, e si stringe solidale attorno a coloro i quali portano tutt’ora sulle proprie carni sanguinanti e piagate le stigmate del loro passato, che né bombe né fango potranno mai cancellare o far dimenticare”. Invece, su “Libera Parola” di domenica 30 giugno 1946, n. 23, anno XXI, a pag. 2 (sotto il titolo “Cronaca”), si tenta di ridimensionare l’oltraggio al monumento ai Caduti. Si attacca Massimo Fadini, Presidente della Sezione di Crema dell’Associazione Nazionale Mutilati e Invalidi di Guerra, accusandolo di eccedere nelle rimostranze e nelle proteste contro l’accaduto. Si polemizza sulle sue affermazioni, quali ad esempio “Crema sembra caduta al di sotto dell’ultimo villaggio barbarico” e “Si augurano le maledizioni di Dio sui vili esecutori dell’atto scellerato”. In conclusione, il giornale ironizza su coloro che considerano grave l’aver ricoperto di letame il monumento: “Se per tutte le birichinate si dovesse ricorrere alla protesta pubblica, quante rotative occorrerebbero?”.

Nella seconda metà del 1946 continuano gli episodi di intemperanza politica in alcuni paesi del territorio cremasco e nelle campagne circostanti (anche se con minore frequenza rispetto ai periodi precedenti), mentre a Crema gli attentati dinamitardi sembrano concedere una pausa alla cittadinanza. Il Sindaco socialista Carlo Rossignoli è rimasto in carica solo per pochi mesi e nel 1947 gli succede il comunista Clemente Sinigaglia, che resterà Sindaco fino al 1951. Occorre attendere la notte tra lunedì 24 e martedì 25 febbraio 1947 perché un’altra azione gravemente intimidatoria venga posta in essere: la banda degli attentatori fa esplodere una bomba alla sede del “Fronte dell’Uomo Qualunque” in via Frecavalli. Gli orari, le modalità di esecuzione, il tipo di esplosivo sono quelli di sempre. Si legge su “Il Nuovo Torrazzo” di domenica 2 marzo 1947, n. 9, anno XXII, pag. 2: “Vandali - Lunedì notte è stata fatta esplodere una bomba in via Frecavalli contro il ‘Fronte dell’Uomo Qualunque’. Danni al caseggiato. Vittime: nessuna. Ma lo ‘stile’ è a ripetizione: richiama altre imprese dello stesso tipo e forse compiute dagli stessi elementi. I cremaschi ne sono arcistufi. Possibile che non si possa professare una libera idea politica senza essere infastiditi da simili atti di violenza idiota?”.

Il 1947 trascorre poi senza la serie di attentati esplosivi che aveva caratterizzato l’anno precedente, con un’eccezione nel mese di dicembre, a fine anno. Nella notte tra lunedì 8 e martedì 9 dicembre 1947, una bomba viene infatti lanciata contro casa De Grazia, in via Dante Alighieri. Come si è detto, poco più di due anni prima, nella notte tra il 20 e il 21 novembre 1945, un’altra bomba era stata fatta esplodere contro il medesimo portone della stessa casa. Riporta “Il Nuovo Torrazzo” di domenica 14 dicembre 1947, n. 37 anno XXII, pag. 2: “Intorno al Torrazzo - È un altro paio di maniche - Lunedì notte, 8 dicembre, il riposo dei cittadini abitanti in Via Dante Alighieri venne disturbato da una fragorosa esplosione che ha fatto sussultare le finestre, con relativo attentato all’incolumità dei vetri. Risultò che un ordigno di guerra (una bomba a mano?) aveva sbrecciato il portone della casa De Grazia. La cronaca non aggiunge se ci sia stato sciopero generale, sbarramenti di strada, invasioni di sedi, etc. Ah, già! Si trattava di una casa qualunque, non di una sede comunista”.

Resta da citare la bomba lanciata nel luglio 1948, dopo l’attentato a Togliatti, contro la casa di Dafne Bernardi, in via Piacenza (dal 1970 via Kennedy). Chi esegue il lancio, però, sbaglia la mira per cui, oltre al solito crollo di vetri, risulta danneggiato soprattutto il balcone esterno sul fronte della strada. Se l’autore non fosse stato maldestro, l’esplosione avrebbe avuto effetti gravissimi. Secondo gli artificieri giunti da Piacenza, si trattava infatti di un chilo e mezzo di tritolo. Con questa azione delittuosa si conclude a Crema la stagione delle bombe nell’immediato dopoguerra. Per maggiori informazioni su questi avvenimenti in generale e sull’attentato al monumento di Vittorio Emanuele II in particolare, ci si permette di rinviare all’articolo “Le bombe della Repubblica. Crema, 1946: l’attentato alla statua del Re, un’indagine ancora aperta”, su Insula Fulcheria, XLVII, 2017, Fantigrafica Cremona, pp. 383-415. Il file dell’articolo, in formato “pdf”, è agevolmente scaricabile in rete.

Nell’immagine, una veduta di Crema in quegli anni (fotografia aerea scattata da un aereo della RAF britannica durante un bombardamento nel 1944) e la sentenza del Pretore Ferdinando D’Antonio “di non doversi procedere contro ignoti”, datata 27 agosto 1946, in relazione all’attentato dinamitardo contro il monumento di Vittorio Emanuele II (per una corretta visione dell’immagine, cliccare col tasto destro del mouse e utilizzare la funzione “Apri immagine in un’altra scheda”).

 

Pietro Martini


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