19 ottobre 2024

Vampiri. Illustrazione e letteratura tra culto del sangue e ritorno dalla morte. Oggi sui inaugura al Museo Civico di Crema e del Cremasco

La mostra Vampiri. Illustrazione e letteratura tra culto del sangue e ritorno dalla morte, promossa e prodotta dal Museo Civico di Crema e del Cremasco, in programma dal 19 ottobre 2024 al 12 gennaio 2025, indaga il fenomeno che prende corpo attorno alla figura del vampiro, dalla sua genesi in antichi miti e credenze fino alla icona pop della contemporaneità. L’esposizione intende mostrarne le implicazioni culturali e artistiche in oltre duecento opere, provenienti dal patrimonio di venti biblioteche pubbliche italiane e di collezionisti privati, tra testi letterari e poetici, spesso illustrati, pubblicati in volume e su riviste, incisioni, fogli sciolti, edizioni originali e materiale iconografico. 

Il termine vampiro, nella letteratura europea, è utilizzato per la prima volta attorno al 1730, sebbene l’origine di questa figura sia radicata in tempi lontani: nasce in culture e religioni distanti tra loro, ma accomunate dall’esigenza di trovare una spiegazione ai fenomeni esoterici del ritorno dalla morte e quindi un riferimento simbolico nella lotta tra il bene e il male. Con il passare del tempo e il mutare della società e dei costumi, si trasforma in una icona ambivalente e ineffabile, cristallizzandosi in un poliedro di multiformi presenze, che, nel corso dei secoli, si ammanta di fascino ambiguo, oscuro, incerto. Il vampiro è un essere fluido, privo di una connotazione sessuale precisa, a cavallo tra vita e morte, che subisce malvolentieri le leggi della natura e le sovverte, incarnandosi in corpi sempre differenti e contaminando i generi e le forme di arte e di letteratura.

Dal mito mesopotamico di Lilītu (Lilith), demone della notte, si guarda ai culti ellenici: la controversa vicenda della nèkyia omerica, rito necromantico che risveglia gli spiriti dal mondo dei morti. In mostra se ne tiene traccia con le illustrazioni di John Flaxman, di William Russell Flint, nel testo di Remy de Gourmont, illustrato da Henry Chapront, e nel ciclo contemporaneo di Edoardo Fontana che ne porta il titolo. Nel percorso espositivo si risale ai primi trattati esoterici e pseudoscientifici del Settecento, come il seminale De masticatione mortuorum in tumulis di Michael Ranfft, pubblicato a Lipsia nel 1725 (Biblioteca Manfrediana di Faenza). Dalla medesima vicenda prendono avvio le Dissertazioni dell’abate francese Augustin Calmet (Biblioteca Queriniana di Brescia, Biblioteca Passerini-Landi di Piacenza e Collezione Bianchessi di Crema). 

L’esistenza di upiri, vrikolaki, strigoi era confutata da personalità come il medico olandese Gerard Van Swieten, nel suo Vampirismus (1787, Biblioteca Manfrediana, Biblioteca Passerini-Landi) e dall’arcivescovo di Trani Giuseppe Davanzati (Dissertazione sopra i Vampiri, 1789, Biblioteca Passerini-Landi). Lo stesso approccio scettico si trova anche nella, raramente considerata, Lettera di un Amico ad una Dama sopra i Vampirj, pubblicata nel 1765 a Venezia, e qui esposta dalla Collezione Biancardi di Milano.

Sul finire del XVIII secolo, il positivismo illuminista cede il passo a una letteratura più intima ed emotiva che introduce il primo Romanticismo, ove fa la sua apparizione la figura della belle dame sans merci. È facile riconoscere in questa donna misteriosa e letale, il presupposto su cui si baserà l’idea di vampiro moderno. Ecco Lilith raffigurata nel celebre dipinto ottocentesco di Dante Gabriel Rossetti, ed ecco Lamia di John Keats, Christabel di Samuel Taylor Coleridge, che sarà illustrata anche da Lucien Pissarro (Eragny Press, 1904). In mostra sono esposte la litografia dal Disegno preparatorio per Lamia di John William Waterhouse (1905); le illustrazioni di Gerald Metcalfe e la litografia a colori e oro Christabel (1898) di George Frampton e infine le acqueforti art déco di Frank Sepp per La sposa di Corinto di Johann Wolfgang von Goethe (1925, Collezione Proverbio, Milano e Lisbona).

Nel 1816 presso Villa Diodati, sul lago di Costanza, si incontrarono Lord George Gordon Byron, il suo segretario, John William Polidori e Percy Bysshe Shelley, con la moglie Mary Wollstonecraft Godwin. Il gruppo di amici decise di sfidarsi nella stesura di racconti di terrore. Mary Shelley concepì qui il suo capolavoro Frankenstein di cui in mostra è esposta la prima edizione italiana (de Luigi, 1944). Dalla suggestione di un abbozzo di racconto di Lord Byron, A Fragment (si espone una copia tarda ottocentesca del testo e una delle prime traduzioni italiane), William Polidori scrisse The Vampyre (1819), di certo il primo racconto moderno sul tema. Lord Ruthven, figura ispirata da Byron, è una creatura crudele che agisce all’interno di una società alto-borghese e nobile. In Italia appare con il titolo Il vampiro in una rivista di geografia e viaggi «Il Raccoglitore» (1821, Biblioteca di Lovere). Negli stessi anni Ernst Theodor Amadeus Hoffmann scrive lo straordinario Vampirismus, oscura e terrificante vicenda di cui in mostra sono esposte la prima traduzione italiana (Battistelli, 1923, Biblioteca Statale di Cremona) e le illustrazioni di Franz Wacik.

Dopo Charles Baudelaire protagonista di arte e letteratura diventa la «musa corrotta dall’estetica del male», le donne non morte e ritornanti di Edgar Allan Poe, di Joseph Sheridan Le Fanu e di Rudyard Kipling. La sublimazione della bellezza terribile supera l’immaginario romantico per trasformarsi nella femme fatale. In mostra sono presenti libri con illustrazioni tratte dai racconti dell’orrore di Poe, tra queste le immagini per Ligeia e Berenice come quelle realizzate all’acquaforte da Wogel, pubblicate nel 1884 (Collezione Bandirali di Crema). A Poe si ispirarono anche artisti come Harry Clarke, Byam Shaw, Edmund Dulac e Alberto Martini. È interessante notare come il vampiro, a un certo punto della sua storia, sia rappresentato in continua decontestualizzazione: può esserne un esempio la litografia nella quale Martini ritrae la Marchesa Casati come una vamp

Carmilla di Joseph Sheridan Le Fanu pubblicato per la prima volta sulla rivista «The Dark Blue», in mostra, con la sua vittima, Laura, rappresenterà da principio le contraddizioni dell’Inghilterra perbenista, per divenire simbolo di una sessualità sempre più libera. Sarà illustrata negli anni Ottanta del Novecento da Leonor Fini. Completamente diverso è il personaggio, a cavallo tra realtà e finzione, di Erzsébet Báthory. L’artista post-impressionista ungherese István Csók, di cui è esposta una acquaforte, la ritrasse spesso ed ebbe per lei una sorta di infatuazione. 

La figura di Giuda, come suicida, è spesso associata al vampiro. Aubrey Beardsley creò, nel 1893, A Kiss of Judas, disegno sulla rivista «Pall Mall Magazine» per accompagnare l’omonimo racconto di Julian Osgood Field. A Beardsley si ricollega Marcus Behmer: su tutte le immagini pubblicate nella sua Salomè, si impone la mostruosa farfalla-vampiro che ci riconduce al suo simbolo di tramite tra mondo terreno e ctonio. Qualche anno prima era stata pubblicata la traduzione francese del De Demonialitate di Ludovico Maria Sinistrari, il cui manoscritto risalente agli ultimi anni del Seicento fu riscoperto da un editore di Parigi. Sinistrari considerava il vampiro come tutti quei demoni, talvolta nemmeno troppo sgraditi, che animavano di fantasie licenziose il dormiveglia. Di quegli anni è anche Olalla (1885) la vampira spagnola di Robert Louis Stevenson che, tra sensi di colpa e perbenismo vittoriano, sarà banco di prova per un esperimento di traduzione pubblicato da Alfred Jarry sul «Dossiers acénonètes du Collège de Pataphysique», nel 1958. 

Nel 1897 Bram Stoker pubblicò a Londra Dracula: titolo suggeritogli dal soprannome affibbiato al principe Vlad iii di Valacchia. In teca a Crema, alcune edizioni originali inglesi e americane, tra le quali spiccano quelle edite nel primo Novecento. Ad accompagnare queste troveremo la rara anastatica del libretto xilografico che contiene il ritratto di Vlad iii, alcune mappe della Transilvania e illustrazioni naturalistiche di pipistrelli, materiale che ispirò Stoker. Fu solo nel 1922 che Sonzogno pubblicò a Milano Dràcula. L’uomo della notte (Biblioteca Manfrediana). Questa traduzione parziale tenne banco in Italia per più di due decenni: la prima edizione integrale vide infatti la luce solo nel 1945 dai Fratelli Bocca (Biblioteca Manfrediana).

La figura del vampiro approda anche nel paese del Sol Levante e si ritaglia un posto nell’immaginario giapponese, assolutamente autonomo rispetto alle armate di yōkai autoctoni, ma al tempo stesso nipponizzandosi e ammantandosi di nuovi livelli di lettura. In mostra la prima edizione di Dracula di Stoker in lingua giapponese tradotta da Teiichi Hirai nel 1956, il raffinato cofanetto Vampire’s Box (2022) di Takato Yamamoto ed altre interessanti illustrazioni e pubblicazioni.

Non mancano, in area italiana, alcuni testi, scritti tra fine Ottocento e inizio Novecento: Vampiro. Una storia vera di Franco Mistrali (1869, Biblioteca Minguzzi-Gentili di Bologna), le novelle di Francesco Ernesto Morando, Luigi Capuana, Giuseppe Tonsi (Il vampiro, 1904, Biblioteca Civica Angelo Mai, Bergamo), Daniele Oberto Marrama e la poesia Il vampiro di Amalia Guglielminetti.

Gli artisti cechi di area simbolista si raccolsero attorno alla rivista «Moderni Revue», la cui più iconica copertina, realizzata da Karel Hlaváček nel 1896, raffigurava proprio una donna vampiro. Lo stesso Hlaváček scrisse inoltre Upír, malinconica poesia pubblicata nella raccolta Tardi verso l’alba che suggerì a František Kobliha uno dei suoi straordinari cicli di xilografie. Lo strigoi romeno è lo spirito non pacificato di un defunto che esce di notte dalla tomba per recare danno ai vivi. Una donna vampiro è la protagonista del romanzo Signorina Christina di Mircea Eliade, esposto nella prima, rara, edizione romena, nella prima italiana e francese. All’interno del romanzo, Eliade cita Mihai Eminescu, presente in mostra con la prima traduzione italiana della poesia Calin, e con la rivista «Convorbiri Literare», ove apparve la poesia Strigoi.

Devono al romanzo gotico di Stoker sia il film Nosferatu di Friedrich Wilhelm Murnau (1922), sia il suo remake, diretto da Werner Herzog e interpretato da Klaus Kinski e dalla giovane Isabelle Adjani, di cui in mostra è presente una copia del manifesto nell’edizione belga del 1979, disegnato da David Palladini. Il film muto di Murnau deve buona parte del suo impatto culturale e seduttivo al genio, un po’ picaresco, del produttore, scenografo e grafico Albin Grau. Egli disegnò innumerevoli versioni del Conte Orlok, ispirandosi al lavoro di Alfred Kubin e soprattutto di Hugo Steiner-Prag, illustratore del Golem di Gustav Meyrink. In mostra un confronto tra i due artisti.

Intervista col Vampiro di Neil Jordan (1994) è tratto dall’omonimo libro di Anne Rice pubblicato nel 1976 e capostipite di una fortunata serie di storie che raccontano una complessa genealogia di vampiri. L’anno precedente Stephen King pubblicò una delle sue migliori novelle, ’Salem’s Lot in mostra con il dirompente I am legend di Richard Matheson che, per la prima volta, attribuisce il vampirismo alla diffusione di un virus.

A partire dall’antologia curata da Elinore Blaisdell nel 1947, e illustrata dalla stessa eclettica artista, tra gli anni Cinquanta e Settanta del Novecento, furono pubblicati numerosi studi letterari e raccolte. È certamente I vampiri tra noi di Ornella Volta e Valerio Riva, la prima esauriente collezione di respiro internazionale. Volta ci dà inoltre, forse, la più visionaria ed eccentrica lettura dell’immaginario vampiresco, con Le vampire, dapprima pubblicato in francese, in mostra la prima edizione, e quindi tradotto in italiano. Su questa scia è il testo del giornalista milanese Emilio de’ Rossignoli Io credo nei vampiri. 

Sul tema saranno visibili, per larga parte dalla collezione fiorentina di Emanuele Bardazzi, opere dei più rappresentativi artisti di fine Ottocento e inizio Novecento, mostrando il talento luciferino di Henry Chapront per M.me Chantelouve, immagine guida della mostra, l’estro di Félicien Rops e le immagini esoteriche di Marcel-Lenoir, Alméry Lobel-Riche, Valère Bernard e Carl Schmidt-Helmbrechts. La delicatissima puntasecca Immagini della sera di Raoul Dal Molin Ferenzona (1932) parla di quella capacità evocativa, di quelle visioni simboliche e del potere immaginifico della letteratura e dell’arte, che tanta parte hanno nell’opera degli artisti italiani. Due litografie del francese Georges De Feure evocano il male: Les vices entrent dans la ville (1894) e L’amour aveugle, l’amour sanglant (1893-1894).

Edvard Munch dedica più di una incisione ai vampiri, raffigurati in un gesto ferino teso tra amore e dolore: in mostra una vignetta del 1906. Si passa per le linee tormentate dell’espressionista austriaco Oskar Kokoschka (Collezione Fiori di Bologna), le illustrazioni surrealiste di Max Ernst per i collage di Une semaine de Bontè, fino alla sintesi pop di Andy Warhol che elegge Dracula tra le dieci icone della storia dell’umanità. In mostra la litografia a colori dalla serie Myths Suite (1981). La litografia di Roland Topor, autore anche della novella I denti del vampiro, realizzata nel 1968 si discosta dall’immaginario comune e ci conduce in una dimensione onirica obliqua tra ironia e spavento.

I vampiri conquistano anche le copertine dei fumetti Alan Ford e Dylan Dog e s’insinuano tra le pagine di Corto Maltese, con Dracula di Guido Crepax. La narrazione si fa poi più ambigua nelle opere di alcuni artisti contemporanei: archetipiche versioni del mondo dei revenants emergono nei disegni simbolici di Agostino Arrivabene e di Edoardo Fontana. Figure femminili sono protagoniste dell’incisione Spose sorelle di Andrea Lelario e delle calcografie di Sonia De Franceschi. Evocano le atmosfere di Nosferatu le chine di David Fragale e le xilografie di Stefano Grasselli, così come le architetture rarefatte di Jacopo Pannocchia. Giungono, infine, a tracciare altri ponti tra passato e futuro, le fotografie di Agnese Cascioli, l’inafferrabilità dell’acquerello Carmilla di Simona Bramati, il segno esoterico di Irene Di Oriente e la tavola originale Carfax per Dracula raccontato e illustrato da Marco Furlotti. 

Realizzata in collaborazione con Aretè Associazione Culturale e Alla fine dei conti di Mantova, la mostra è accompagnata da un catalogo edito da Museo Civico Crema con prefazione di Antonio Castronuovo e testi di Elena Alfonsi, Paolo Battistel, Carla Caccia, Domenico Cammarota, Marius-Mircea Crişan, Mario Finazzi, Edoardo Fontana, Lidia Gallanti, Roberto Lunelio, Silvia Scaravaggi, Elena Vismara.


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