18 maggio 2021

Masterplan 3C, perchè un piccolo comune dovrebbe aderirvi?

Dal momento che è stato chiesto ai comuni di esprimere la propria adesione al Masterplan 3C, a mezzo della presente, mi permetto di condividere con Voi alcuni spunti di riflessione per uno scambio di opinioni.

Il Presidente della provincia Mirko Signoroni chiede ai Comuni soldi per aderire a quanto previsto dal suddetto studio con lo scopo di farlo diventare il faro di riferimento della politica cremonese del domani, per essere competitivi in un mondo globalizzato. È proprio la globalizzazione che ha subito i maggiori contraccolpi e mostrato la propria fragilità di fronte ad un fenomeno prevedibile, che ha colto impreparato il mondo, concentrato a fare profitti e non a programmare politiche per mettere al riparo i propri cittadini, non solo da pandemie, ma da crisi economiche strutturali. Abbiamo a che fare con un piano che prevede dei “decision maker” estranei al contesto territoriale e che prendono decisioni al di fuori e al di sopra dei cittadini.

A pag. 22 del Piano si legge ‘’è vincolante per le linee d’azione …., indipendentemente dalle alternanze amministrative,...’’. In questo modo si azzera il ruolo della politica di fare scelte per il territorio che, nel frattempo, potrebbe anche subire cambiamenti di cui non si potrebbe tenere conto. Così, la classe politica diventa accondiscendente, acritica e a volte complice con chi vuole solo trarre profitto e poi magari andarsene. Con l’asservimento della politica è chiaro che il territorio diventa attrattivo e appetibile! E questo Masterplan fa il paio con quello presentato da A2A/LGH. Le finalità ultime sono le stesse: plusvalore.

Quali visioni strategiche possono avere tecnocrati, avulsi dalla realtà quotidiana e che operano solo per interposti interessi e su freddi numeri lontani dalle relazioni sociali che sono il collante di un territorio? A chi risponde (a quale plusvalore) questo fantomatico “organo operativo’’? Perchè i privati decidono il nostro destino? Si prevedono tre poli provinciali (Cremona, Crema, Casalmaggiore) escludendo dalla pianificazione tutto il resto del territorio. Il trend demografico e l’invecchiamento della popolazione non possono essere visti solo dal punto di vista economico. Sono prima di tutto sociali e da affrontare in tutti i territori, non solo nei poli attrattivi. Comunque non possono essere visti come un’opportunità di business. Non possiamo considerare un merito, se siamo la prima provincia in Italia, per impianti di biogas. Né possono essere considerati ‘’circular economy’’.

Nello stesso PNRR (Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza) inviato alla Commissione Europea sono stati tolti dalla Missione “economia circolare e agricoltura sostenibile”. Non possiamo certo vantarci se siamo al terzo posto per numero di suini allevati, vista la vulnerabilità del suolo di quasi tutta la provincia. Nel Masterplan si parla dell’”effetto moltiplicatore degli investimenti infrastrutturali”. Facciamo alcuni esempi: la bacinizzazione del Po e canale a Milano, opere proposte nel dopoguerra, che non stanno in piedi economicamente, ambientalmente e che non sposterebbero che piccole frazioni di merci dalla strada e dalla ferrovia (Milano da anni è sulla via della dismissione dell’industria pesante). Oppure il raddoppio ferroviario. Linea su cui passano meno di 40 treni al giorno e che nei paesi più ‘’ferroviari’’ di noi valutano sature linee mono binario tra i 120 e i 160 treni/giorno, a seconda della digitalizzazione dei sistemi. E ancora, un’autostrada che non risolverebbe i problemi del traffico locale sulla ex SS10. Da dove nasce l’esigenza che la nostra provincia diventi una piattaforma logistica, visti i danni, che in tutti i territori, dove si è presa questa strada (asta BreBeMi) stanno subendo prodotti dal consumo di suolo (pag. 46 calcolate 40 aree dismesse), abbandono e svuotamento di complessi, speculazione, precarietà lavorativa? Tutte queste attività favoriscono settori a basso o bassissimo valore aggiunto. Ci prospetta un futuro a livello Spagna e Grecia, con gli italiani a fare i manovali nei cantieri (o a distribuire pizze in bicicletta).

Non manca, ovviamente, una critica alla burocrazia, ostacolo di progresso e del “laissezfaire’’, ma non si parla di quanto effettivamente serve ai piccoli Comuni: una struttura tecnica pubblica con competenze territoriali e d’insieme. Vedi la scelta politica di smantellare la struttura della Provincia a Cremona, ben oltre la riforma Delrio, senza provvedere a questa necessità. A queste condizioni è difficile rispondere alla domanda del titolo: perché mai un piccolo Comune dovrebbe aderire ad un Piano che ha un approccio tecnocratico e che non mette al centro i cittadini e le piccole comunità?

Maria Grazia Bonfante

Consigliere comunale “Vescovato insieme si cambia”


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