"Dolce tormento": l'amore barocco celebrato dall'Accademia Bizantina con la voce di Maayan Licht conquista il pubblico dell'Auditorium Arvedi
Come tessere policrome dei meravigliosi mosaici ravennati i musicisti dell’Accademia Bizantina, blasonato ensemble nato nella città romagnola e presente da decenni sulle scene internazionali, si sono uniti nel disegnare un concerto che ha coniugato rigore stilistico e potenza emotiva: questo è ciò che è accaduto con Dolce tormento, il variegato programma portato in scena per l’odierno appuntamento del Monteverdi Festival, con la direzione al cembalo di Ottavio Dantone, insieme alla voce magnetica del giovane controtenore Maayan Licht.
Il concerto, ospitato nella suggestiva cornice dell’Auditorium Giovanni Arvedi, gremito in tutti gli ordini di posti per l’imperdibile appuntamento, ha offerto al pubblico un programma che ha attraversato due secoli di musica, dal primo Seicento al pieno Settecento, seguendo il fil rouge dell’amore e delle sue infinite sfaccettature: la passione, la gelosia, la nostalgia, il dolore.
Ottavio Dantone non è solo tra i migliori clavicembalisti e organisti al mondo, è anche un profondo conoscitore dei codici espressivi dell’epoca barocca. La sua metodologia di lavoro, consolidata dall’esperienza e da uno studio filologico costante, gli consente di leggere le antiche partiture come un contemporaneo dell’epoca, ovvero tenendo conto di consuetudini e canoni esecutivi al tempo considerati impliciti e, pertanto, non scritti. Il risultato è una musica tridimensionale, ricca di sfumature e capace di toccare l’animo.
Già dall’iniziale Sonata Decima quinta di Dario Castello, si è percepita l’estrema coesione e la sensibilità interpretativa dell’ensemble, con una resa dello “stil moderno” nitida, fluida e un suono rotondo e capace di spaziare da pianissimo incantati a contrappunti di millimetrico incastro. La bellezza delle gagliarde di Giovanni Maria Trabaci, raramente eseguite con tanta eleganza e carattere, ha mostrato la versatilità timbrica e il gioco dei contrasti interni dell’ensemble, sempre capaci di restituire significato anche alle prese con strutture melodiche più squadrate e protobarocche.
La voce celestiale di Maayan Licht lo ha preceduto in un plateale ingresso ex abrupto che ha lasciato senza fiato gli spettatori. Con eccezionale presenza scenica Licht ha volteggiato tra il pubblico dell’Auditorium mentre i suoi gorgheggi si intrecciavano con i melismi del bravissimo konzertmeister Alessandro Tampieri e il cembalo di Dantone. Licht, vincitore del “International Oper! Awards 2025” nella categoria “Artisti emergenti”, ha confermato di essere una voce destinata a lasciare il segno. Il suo “Sì dolce è il tormento” è stato il cuore palpitante del concerto: un’interpretazione intima, cesellata nel fraseggio e sospesa tra malinconia e struggente dolcezza. Ma è nei brani più teatrali, come “Sposa, non mi conosci” di Giacomelli o “Un pensiero nemico di pace” di Händel, che Licht ha mostrato la sua presenza scenica, il controllo delle dinamiche e la capacità di colorare ogni parola con intensa espressività, grazie al suo timbro cristallino e vibrante.
L’Accademia Bizantina, guidata con mano sicura e ispirata da Dantone, ha confermato ancora una volta la sua statura internazionale: precisione impeccabile, cantabilità strumentale, dialogo costante tra le voci interne, come nell’elegantissimo Concerto grosso n. 5 di Alessandro Scarlatti, compositore che fa piacere vedere rappresentato nel programma di stasera, “musice instaurator maximus”, come si legge nell’iscrizione dettata dal cardinale Pietro Ottoboni sulla lapide della sua tomba napoletana, inspiegabilmente non considerato nel pantheon dei grandi compositori italiani di tutti i tempi, e nella travolgente Sinfonia Il Coro delle Muse di Vivaldi.
La straordinaria tecnica vocale di Licht ha strappato ovazioni da concerto rock dopo la scoppiettante aria di Vivaldi “Gelosia, tu già rendi l’alma mia”. Repentino cambio di affetti con l’aria di Giacomelli, che nei chiaroscuri delle messe di voce giocate sui piani sfalsati delle appoggiature foriere di sensualissime tensioni armoniche ci ha trascinato in una temperie drammatica, in cui ci sono sembrati riecheggiare echi da Pergolesi. Trilli, escursioni dinamiche, fioriture: l’acrobatica coloratura nell’interpretazione magistrale di Licht non è mai fine a sé stessa ma si fa sempre veicolo di emozione purissima e ammaliatrice.
Alessandro Tampieri ci ha regalato una bellissima esecuzione del concerto in mi minore di Vivaldi, mettendo in evidenza la sua maestria e il dialogo con l’ensemble. Largo da pelle d’oca con la melodia del violino che si è librata sui ribattuti morbidissimi degli archi. Un canto umanizzato, che ci ha fatto vieppiù comprendere quanto la musica antica possa parlare ai nostri cuori.
Particolarmente toccante il celebre “Lascia ch’io pianga”, momento di puro raccoglimento in cui voce e strumenti hanno respirato all’unisono, lasciando il pubblico avvolto in un silenzio carico di pathos. Gran finale con l’aria infuocata “Un pensiero nemico di pace”, che ha lasciato senza parole per il virtuosismo di Licht. Carisma, questo è il dono di questo scricciolo dalla voce di usignolo, che possiede a piene mani e condivide con il pubblico attraverso la generosità del suo canto.
Odi et amo, ci ha sussurrato per tutta la sera l’immortale Catullo. Il nostro excrucere però si è limitato all’agognare un salvifico refolo di aria condizionata che potesse alleviare dalle temperature tropicali, mentre sul piano musicale si è tramutato da tormento a magnifica festa dei sensi. Un concerto che è stato molto più di una semplice esecuzione musicale: una vera e propria esperienza immersiva nell’estetica barocca, un percorso arrivato dritto al cuore dell’umano sentire, guidato da interpreti di altissimo livello.
Applausi fragorosi e prolungati, premiati da due bis fuori programma, hanno salutato una serata indimenticabile, coronata da una standing ovation al terzo acclamatissimo bis.
Foto di Salvoliuzzi Photographer
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