"I Ferragni, spirito di rinnovamento nella Cremona di ieri", quattro generazioni e uno straordinario impegno civico raccolti nel libro di Stefano Carletti
È credenza comune, purtroppo aumentata negli ultimi due decenni, considerare Cremona quale città periferica rispetto al fluire delle idee e delle culture contemporanee. A sfatare questa falsa rappresentazione della realtà è la storia, che vede la nostra città in prima fila non solo durante le lotte risorgimentali, con decine di martiri della liberazione nazionale, ma anche negli eventi più recenti.
A dimostrare la giustezza di tali affermazioni vi sono gli uomini e le loro azioni, più forti e duraturi di qualsiasi libello. Tale concetto è avvalorato dalle vicende di ben quattro generazioni della famiglia Ferragni, oggetto di oltre un decennio di studi di Stefano Carletti, autore del pregevole testo ‘I Ferragni. Spirito di rinnovamento nella Cremona di ieri’, un libro edito da CremonaBooks e reperibile in tutte le librerie cittadine al prezzo di 20 euro.
Si tratta della narrazione di un impegno politico-sociale concreto, iniziato durante i moti carbonari del 1821 e perseguito fino al secondo dopoguerra. La dura battaglia del progresso prende dunque il via nell’epoca dei lumi, quando il padre di Francesco (1802) e Gaetano (1813), ricco membro della borghesia mercantile cremonese e capostipite della famiglia, avvia i figli alla lotta per la libertà. Sono proprio i due giovani, nel 1832, tra i fondatori della sezione cremonese della Giovine Italia, il tutto in una fase storica arrischiata, nella quale anche solo pronunciare il nome della Nazione poteva costare confische, torture o perfino l’esilio.
Cinque anni più tardi, entrambi i Ferragni viaggiano verso Parigi, una città da poco sollevatasi contro la Restaurazione degli Imperi. Qui, i fratelli incontrano e collaborano con l’esponente di punta della cospirazione lombarda, il conte milanese Federico Confalonieri, un rivoluzionario che verrà poi imprigionato nelle fredde caverne boeme del famigerato Spielberg, tomba di numerosi martiri dell’indipendenza.
Nel 1839 è proprio una Ferragni, loro sorella, a sposare l’avvocato Tibaldi, discepolo del Maestro Mazzini, del quale è diretto collaboratore. Tibaldi è un repubblicano di ferro, da sempre impegnato nell’organizzazione e nel recupero di armi e soldi allo scopo di tener viva la rete della cospirazione, sino allo scatenarsi di una rivolta (che arriverà nel famoso ’48).
Sono anni caldi, culminati con lo scoppio di due guerre d’Indipendenza, conflitti che vedono tutti i componenti di ‘casa Ferragni’ impegnati in prima persona. Nel 1859, dopo le sanguinose battaglie del Quadrilatero (e a Lombardia liberata), sarà proprio Francesco, nominato esplicitamente dal Comune cittadino, ad accogliere a Cremona sia il nuovo re Vittorio Emanuele II, sia Cavour, primo storico presidente del Consiglio dei ministri.
La vena di partecipazione e di azione della famiglia, in favore dello sviluppo della neonata nazione italiana, non si esaurisce con la tanto anelata Unità. Luciano Ferragni (1853), figlio del patriota Gaetano, cresce all’interno di una generazione cremonese che vanta figure illustri, personaggi che nel tempo segneranno (e faranno) la storia del progressismo italiano. Tra loro si ricordano Filippo Turati, Arcangelo Ghisleri, Leonida Bissolati ed Ettore Sacchi. Questi giovani illuminati lavorano alla realizzazione di uno Stato nuovo, che possa garantire diritti sociali più ampi e mettere in discussione, dopo lunghi secoli, poteri che risultano accettati benché illegittimi. Cavalcando detti ideali, all’ombra del Torrazzo, durante gli anni Ottanta dell’Ottocento, prende forma la prima ‘resistenza’ di stampo socialista, forma di lotta della quale Luciano rappresenta una delle anime più vivaci. Popolare e apprezzato, il politico democratico è acclamato sindaco di Cremona nel corso delle innovative elezioni del 1889, che segnano l’allargamento del suffragio amministrativo a tutti i cittadini di sesso maschile, maggiorenni e alfabeti. Scaduto il primo mandato, Luciano Ferragni è rieletto primo cittadino nel 1895 e quindi nel 1897. La sua attività al governo cittadino marca un decennio in cui Cremona si distinguerà per acume amministrativo, risultando uno dei laboratori più avanzati della democrazia italiana.
Dopo la morte di Luciano, l’eredità politica di famiglia è condivisa dai suoi figli Gaetano (1887) e Rosolino (1896), i quali, allineandosi alle formazioni politiche del loro tempo, seguono le nuove inclinazioni delle idee progressiste. Seppur cresciuti negli stessi valori, i due fratelli intraprendono strade molto diverse. Gaetano, affiliato al Partito Socialista dal 1911, si estranea dalla lotta politica con l’avvento del fascismo e torna in prima linea solo a Liberazione avvenuta. Nel 1945 entra infatti nel Consiglio comunale cittadino e si dedica ai tragici problemi lasciati dal conflitto. Stimato da un’intera comunità, nel 1948 verrà quindi eletto al Senato della Repubblica. Rosolino si lascia invece affascinare dal vento rivoluzionario che soffia dalla Russia e nel 1919 aderisce al movimento marxista guidato da Bordiga, una fazione politica con cui partecipa, nel 1921 a Livorno, alla storica fondazione del Partito comunista d’Italia. Bandito da Cremona dopo la marcia su Roma (e dopo aspri dissidi con Farinacci), il leninista si trasferisce a Milano, dove scala rapidamente le gerarchie di Partito e arriva a partecipare a riunioni segrete indette dal Comitato Centrale. Accertate le sue mansioni, nel 1926 viene arrestato dalla polizia fascista e nel 1928 citato in giudizio insieme ai massimi dirigenti comunisti (tra loro Gramsci e Terracini) in quello che è considerato il primo grande processo politico l’Italia. Condannato a sedici anni di carcere, trascorrerà parte della prigionia con un giovane Sandro Pertini.
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