"Lo zio del Po": Ricordi estivi in riva al fiume tra gli anni Sessanta e Settanta. La spiaggia da Burtul
La riscoperta di Cremona Beach, di quando il Po era il nostro mare con spiagge ed ombrelloni appassiona i cremonese. Dopo quello di Giorgio Bonali, Fabrizio Loffi ed Ennio Serventi, ecco un racconto di Maurizio Cariani.
Nella mia famiglia l’estate era la stagione in cui entravano in azione gli zii. A supporto di mia madre c’era sempre qualcuno di loro che si faceva carico di riempire le giornate estive dei suoi quattro bambini. Mio padre negli anni Sessanta condivideva ancora il destino comune a molti cremonesi di allora e di oggi, lavorava a Milano e si fermava a dormire nella metropoli del boom economico fino a mercoledì sera. Veniva a casa in treno il giovedì sera con il numero de Il Giorno su cui Jacovitti pubblicava le sue strisce di Cocco Bill che avevano incantato tutti noi, anche mia sorella. Forse era quello il motivo principale per cui noi bambini attendavamo il giovedì sera. Ma è pur vero che, terminata la cena, noi volevamo che fosse proprio nostro padre, sia pur in stereo con nostra madre, a leggerci e a descriverci nei particolari uno ad uno i dettagliati riquadri del breve racconto che si troncava inesorabile con un irritante “continua”. Umberto poi, sarebbe ripartito la mattina seguente per ripresentarsi al pranzo del sabato; da quel momento iniziava il suo spazio di gestione del tempo libero familiare fino a domenica sera. Ma durante la settimana, la lunga settimana, era per l’appunto operativo il pronto soccorso degli zii.
Mario Cariani, classe 1919, era lo zio che ci portava a Po. Spesso si aggiungeva alla trafficata spedizione anche quando era mio padre a portarci al di là del ponte, ma in ogni caso lui si presentava puntualissimo con la sua sempre lucida e sfavillante NSU Prinz di un color beige chiaro (una mescola penso unica…) su cui con ordini secchi ed imperiosi interventi, stoccava il complesso carico di bambini, salviettoni, secchielli, palette e quant’altro potesse minare la sua pazienza. Lo zio Mario era un valido caporeparto alla Ercole Marelli a Sesto San Giovanni ed era abituato a tener a bada quasi duecento operaie presso le quali doveva intervenire sul loro operato; la sua soglia di sopportazione era fortemente sollecitata e, per quanto allenata, poteva anche in alcune occasioni presentare qualche cedimento. Senza dubbio l’estenuante fase della nostra partenza era una di quelle. Ma una volta superata, si involava tutto sereno verso il fiume, accompagnato, lui con noi, da quell’indimenticabile sibilìo della marmitta della sua venerata Prinz che, più avanti negli anni, avrei associato a quello del Velo Solex di mia zia Ida, altra presenza fondamentale nel pronto intervento della nostra infanzia.
Il Po con lo zio Mario era diverso da quello tranquillo, giocoso e familiare con i miei genitori, il materassino, la tenda parasole e gli aggeggi vari per goderti la sabbia. Era più impegnativo, un’impresa, un’avventura, anche di carattere relazionale perché mio zio ogni tanto piazzava qualche burbera reazione. Forse perchè conservava – e così è stato fino alla fine – quell’animo libero e insofferente alle civili restrizioni e convenzioni, come anche alle istituzioni, che la sua sempre magnificata infanzia gli aveva plasmato per bene a Villa Feraboli, nel quartiere di Sant’Ambrogio: una fascia di verde incontaminato tra l’attuale via San Francesco e la Cremonella, verso i binari della ferrovia, in cui lui, mio padre, l’altro mio zio, Odoardo, e altri bambini lì residenti si erano per anni come inselvatichiti in un Eden che rendeva loro sempre in pronto uso verde, piante, frutti, acqua, pesce, animali e un potente senso di libertà di azione. A tal punto che lui, al culmine dei racconti di quelle sue originarie sensazioni mai più provate in vita, era solito esclamare: “Ma me sììvi gnàànca che ghééra èl mòònt!”. “Èl sììvi mììa!”, ribatteva con serietà alle nostre immancabili risate.
Ebbene questo mai sopito animo selvatico e questo suo approccio spontaneamente rude con la natura e le persone era come se riemergesse quando ci portava a Po. Nei primissimi anni Settanta, quando io e i miei fratelli eravamo un po’ più grandicelli, non si fermava al Ponticello dove c’erano tutti, no, lui lo rifiutava. Piuttosto, dapprima con la Prinz e poi a piedi, ci conduceva per intricate boschine fino “da Bùurtul”, diceva. E ci faceva sbucare sullo spiaggione ben avanti verso il ponte. Con lui, oltre che col costume, eravamo solo con cappello in testa e ciabatte ai piedi, nessun altro impiccio; salviettoni, secchielli e palette varie restavano sistematicamente nel cofano della venerata. “Sùta ‘l sùùl ferèènt” del deserto padano, il drappello di arditi arrivava all’acqua correndo di buca in buca, che avevamo imparato a scavare nella sabbia rovente col dorso dei piedi fino agli strati più freschi del terreno per dar tregua alla pianta dei piedi, perchè le ciabatte non bastavano. L’autorizzazione ad entrare in acqua, però, ci era data solo nel tratto con le boe di recinzione, più o meno all’altezza del Ponticello, “perché regàss, cul Po se schèèrsa mììa”. In alternativa si arrivava al pilone del ponte, dove solitamente c’era un’ampia pozza d’acqua che conteneva pesce in abbondanza. Se l’obiettivo era quello, allora ci si portava appresso qualche secchiello col quale catturare qualche piccolo pesce gatto che sarebbe poi stato messo nella vaschetta di casa in sostituzione dei poveri pesci rossi vinti qualche settimana prima alla fiera di san Pietro ma ormai morti.
Quando era presente anche mio padre invece, il momento atteso della giornata era la gara di velocità tra lui e lo zio Mario. Noi quattro tracciavamo la linea di partenza e segnavamo quella di arrivo piantando due bastoni ben visibili ai concorrenti, che hanno sempre preso sul serio quella manciata di secondi in cui ripescare come potevano le energie che a Villa Feraboli erano sempre pronte e disponibili. “Ma nooo, tròp in là!”, era la rituale protesta dello zio Mario ai blocchi di partenza, il quale, nonostante fosse più vecchio di sei anni, per più stagioni bagnò il naso a mio padre. Lo ricordo con un’agilità e una prestanza fisiche naturali, non coltivate, una velocità e soprattutto uno scatto bruciante in partenza per noi davvero sorprendenti. Lasciava indietro anche me e mio fratello, quando ci unimmo alle competizioni. Dopo la metà degli anni Settanta dovette però capitolare, complice l’età ma anche, a suo dire, il contributo dell’alimentazione milanese. “L’è la Marèli”, diceva con ironia in riferimento alla mensa aziendale, di cui, pur non avendone mai mangiate, ci raccontava con raccapriccio delle polpette, da lui romanticamente definite “le misteriose”. Fu così che il suo profilo divenne sempre meno atletico e sempre più padano. A questo proposito, quando al bar del Ponticello si accorgeva di uno sguardo irridente di qualcuno verso la sua pronunciata pancia, battendoci sopra la mano era solito giocare d’anticipo dicendo: “È il cimitero de’ li polli!”, ma con un’inattesa inflessione toscana che lasciava ulteriormente sconcertato chi si apprestava a lanciargli qualche frecciata. L’attimo sufficiente per togliersi di torno e lasciargli in gozzo la battuta.
Nella foto: Ernestina Pedretti (1926-2011) e i suoi quattro figli in uno scatto di Umberto Cariani (1925-2022) dell’agosto 1964. E due immagini di Ezio Quiresi "Da Burtul"
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commenti
Gianpiero Santini
22 luglio 2023 07:34
Quelle estati al Po le ho passate dal 1950 al 1955, dopo ci siamo trasferiti a Varese per il fallimento della tipografia Cremona Nuova. Mio papà era amico di Quiresi.
Eros
22 luglio 2023 09:42
Bravo Maurizio, dai ricordi al racconto 🙂 Anche io sono stato qualche giornata allo "stabilimento balneare" Ponticello anche se poi preferivo andare a pescare. Ricordo la sabbia con la "crosta" di terra tipica del deposito del fiume e gli arbusti da scansare con quei semi con le punte che si attaccavano ai tessuti
Amelia Lietta Manganelli
22 luglio 2023 17:24
Bellissimo ricordo. Un grande fiume e una grande capacità di divertirci e di essere felici. Oggi abbiamo bisogno sempre di più per poi scoprire di non avere niente! Grazie
Primo Luigi Pistoni
23 luglio 2023 11:44
Stupendo ricordo !!! Maurizio Cariani queste preziose memorie in un bel libro, quando ?