"Si scoprono le tombe e si levano i morti", quella lapide (difficilmente leggibile) sotto i portici del comune dedicata al musicista-patriota Alessio Olivieri morto a Cremona
Alessio Olivieri chi era? E' arrivata in redazione una lettera (a firma Gianni Ferrari) che racconta un curioso episodio accaduto in cortile Federico II, sotto i portici di palazzo comunale. “Ho assistito a una diatriba sulla quale, purtroppo, non ho potuto dare risposte. Due turisti provenienti da Como stavano leggendo con qualche fatica le lapidi in marmo nel cortile del Comune, purtroppo mal tenute, quando sono capitati davanti a quella di Alessio Olivieri. Hanno cercato di capire chi fosse poi hanno chiesto a un passante che ha fatto spallucce. Hanno chiesto ad un altro che ha detto è un cremonese, c'è anche una strada a Borgo Loreto dedicata a lui. Poi leggendo meglio la targa si capisce che era un musicista e che ha musicato “si scopron le tombe e si levano i morti...”. Ma quale il suo legame con Cremona? Se potete aiutarmi, così potrò essere d'aiuto a chi mi interpella?”. Angelo Locatelli, collega giornalista cremonese purtroppo portato via prematuramente dal Covid, effettuò alcuni anni fa una bella ricerca nella quale raccontò la storia di Alessio Olivieri, il suo rapporto con Cremona e la storia di quella lapide posta vicino a quella di Garibaldi sotto i portici del comune.
L’autore dell’ “Inno di Garibaldi”, il musicista Alessio Olivieri, si spense a Cremona il 13 marzo 1867.
Egli, nato a Genova il 15 febbraio 1830, era capo musica del II Reggimento della Brigata “Savoia”. Si trovava in città grazie agli eventi dovuti alla Terza guerra d’Indipendenza conclusasi con la Pace di Vienna il 3 ottobre 1866. A Cremona l’Olivieri poteva contare sull’amicizia di alcuni cremonesi conosciuti quando questi erano esuli a Genova: Giovanni Cadolini, Angelo Bargoni, Luigi Binda, Mauro Macchi; e su quella di altri garibaldini e patrioti conosciuti in seguito.
Specialmente con i quattro nominati, che furono tra i primi in assoluto in tutta Italia ad apprendere il nuovo inno, aveva instaurato dei buoni rapporti di amicizia. Essi erano presenti alla prima prova ufficiale dell’inno tenuta in Genova presso la sede de “La Solidarietà del Bene”, un’Associazione di Mutua Assistenza tra gli Emigranti. La prima volta che l’inno venne eseguito in pubblico fu il 25 aprile 1859.
Ma l’esordio vero e proprio risaliva al 31 dicembre 1858, ultimo giorno dell’anno. Il generale Garibaldi con alcuni amici fedeli tra cui Nino Bixio era a Genova, in località Zerbino, in casa del patriota bergamasco conte Gabriele Camozzi (Bergamo, 1823- Dalmine, Bergamo, 1869), dottore in legge, garibaldino in seguito parlamentare. Il poeta marchigiano Luigi Mercantini (Ripatransone, Ascoli Piceno, 1821-Palermo, 1872), l’autore de “La spigolatrice di Sapri”, quella sera portò il testo, musicato da Alessio Olivieri, commissionatogli dallo stesso Garibaldi circa otto giorni prima. L’inno marziale dell’Olivieri, eseguito con il trio di Gaetano Fabiani, fu ascoltato da tutti in silenzio. Al termine dell’esecuzione i presenti scattarono in piedi incolonnandosi secondo il concetto militare e intonando alcuni pezzi di quel canto inizialmente chiamato “Canzone italiana” in quanto inneggiante alla libertà dei numerosi stati della penisola. Il messaggio dato dalle parole unito all’efficace forza persuasiva della musica marziale dell’Olivieri da allora furono sempre presenti in tutte le imprese garibaldine, “da San Fermo a Mentana”.
La canzone fu tra le più cantate ancora nella prima guerra mondiale.
Alessio Olivieri, come ben scrisse Fiorino Soldi nel “Risorgimento Cremonese”, “aveva saputo interpretare lo spirito dell’epopea garibaldina tanto da entusiasmare quel gruppo di patrioti che portarono le note dell’inno tra i cospiratori”.
Il musicista non ebbe neppure il tempo di assaporare la popolarità che il suo inno, tra quelli patriottici per eccellenza, ebbe in tutta la penisola. Morì, come detto, a Cremona nel marzo 1867 ucciso dal colera che imperversava in città come altrove e che portò con sé pure il colonnello Zanoni, comandante del reggimento cui apparteneva l’Olivieri.
La morte del musicista fu molto sentita dai volontari garibaldini cremonesi e dalla popolazione in genere che lo conosceva come l’autore della nota canzone, ma la diffusione del morbo contagioso sconsigliò funerali di massa.
Un mese dopo la sua morte , il 20 aprile 1867, Giuseppe Garibaldi compiva la sua ultima visita a Cremona che durante le operazioni militari della Terza guerra di Indipendenza aveva ospitato il Quartier Generale delle truppe italiane. Vi furono grandi festeggiamenti ma avrebbero avuto un significato diverso, per la città e per la storia, se ad accogliere il generale si fosse suonato l’inno a lui dedicato presente l’autore dello stesso. Trentacinque anni dopo, il 6 luglio 1902, la rappresentanza municipale cittadina dedicò un’epigrafe al personaggio che onorò Garibaldi e l’Italia con quell’inno e la città di Cremona con la sua presenza e le sue amicizie. La testimonianza marmorea, murata sotto il quadriportico del comune di Cremona accanto a quella di Garibaldi, così lo ricorda: “Nel gran fascio di luce/ projettato nei secoli dell’epopea Garibaldina/ non andrà spento il nome dell’umile soldato/ Alessio Olivieri/ capo musica nel 2° Reggimento Brigata Savoia/ che dalla strofa ispirata di Luigi Mercantini/ trasse l’inno fatidico/ squillante da San Fermo a Mentana/ l’eroico risveglio nell’ora solenne/ in cui per la libertà dei popoli “si scopron le tombe si levano i morti”/. -Nacque in Genova il 15 febbraio 1830/ Morì in Cremona il 13 marzo 1867- La rappresentanza municipale 6 luglio 1902”.
Un pezzo di storia cremonese che dai muri del comune parla ancora ai cittadini, spesso distratti, con le altre epigrafi collocate nei pressi.
L’ “Inno di Garibaldi”, uno dei canti patriottici che appartengono alla storia d’Italia, era stato intitolato, inizialmente, “Canzone italiana”. Divenne poi l’ “Inno dei Cacciatori delle Alpi” e dei garibaldini in genere e quindi “Inno di Garibaldi”. Ma dalla maggior parte della popolazione, la canzone era conosciuta come “Si scopron le tombe, si levano i morti...” o “All’armi! All’armi!” dalle parole iniziali della canzone stessa. Durante la Prima guerra mondiale era ancora cantata come simbolo di lotta contro i nemici “di sempre”. Essa era conosciuta e appresa da gran parte della popolazione italiana alla stregua dell’Inno di Mameli. Come quest’ultimo, in molte scuole, era oggetto di insegnamento sulla scia dell’apprendimento e della trasmissione dei valori risorgimentali.
Nel ‘800, quando la canzone venne composta, la musica in Italia era un simbolo di resistenza e di lotta all’occupante che trovò in alcuni musicisti dei validi assertori: Vincenzo Bellini nella Norma, Gioacchino Rossini nel Guglielmo Tell, Giuseppe Verdi con il Nabucco e i Lombardi. Il cognome di quest’ultimo appariva spesso scritto sui muri preceduto da “Viva”. “Viva Verdi”, per i patrioti, era un acrostico che, sciolto, significava, Viva “Vittorio Emanuele Re D’ Italia”, il cognome del musicista al completo.
Anche l’inno di Garibaldi ebbe la propria funzione galvanizzante verso coloro che desideravano un’Italia libera. Le parole furono scritte dal poeta Luigi Mercantini, lo stesso che compose “La spigolatrice di Sapri”, dedicata alla sfortunata spedizione di Carlo Pisacane, una delle migliori poesie patriottiche studiata ovunque in Italia fino agli anni Sessanta del Novecento (“Eran trecento, eran giovani e forti, e sono morti!”). Il testo dell’Inno di Garibaldi, esaltando la morte per la patria che trasforma i caduti in martiri per la libertà, incita, “mute le lingue, sien pronte le braccia”, a liberarsi dalle catene dello straniero ricacciandolo oltre i confini d’Italia.
Il testo venne commissionato dallo stesso Garibaldi al Mercantini (Ripatransone, Ascoli Piceno, 19 settembre 1821-Palermo, 17 novembre 1872) il 23 o 24 dicembre 1858; la musica venne composta dal maestro Alessio Olivieri, in quel tempo nella città natale. Egli conferì al brano, scevro da artifizi stilistici, un certo dinamismo consono alla funzione che lo stesso doveva avere. Il primo a pubblicare lo spartito musicale di quanto in oggetto fu l’editore Francesco Lucca, fervente mazziniano milanese che, in seguito, depositò tutte le sue pubblicazioni presso la Biblioteca Nazionale Centrale di Firenze.
A Garibaldi la canzone non poté che far piacere perché in essa vedeva i princìpi della musica come impegno civile enunciati da Giuseppe Mazzini nel saggio del 1836 intitolato “Filosofia della musica”. Nello stesso saggio, e di conseguenza nell’Inno di Garibaldi, si dava importanza al ruolo del coro come voce del popolo. A Garibaldi, che aveva una bella voce da baritono, piaceva cantare in coro e non disdegnava cantare arie d’opera, inni o canzoni. Spesso anche a Caprera, con la figlia Teresina al pianoforte, il generale e i suoi familiari cantavano insieme varie canzoni tra cui l’inno dell’Olivieri.
Le parole della canzone mutarono col tempo adattandosi alle gesta dell’eroe dei due mondi. Alla versione ufficiale venne in seguito aggiunta, all’inizio, la frase “All’armi! All’armi!”. Il quarto concetto espresso nel testo originale venne sostituito da un altro dopo l’impresa dei Mille mentre un altro ancora venne aggiunto dopo il XX settembre 1870, data della conquista di Roma.
Nelle foto la lapide sotto i portici del comune e Garibaldi, poi il testo dell'inno di Garibaldi e la statua all'eroe dei due mondi in piazza della stazione (da tempo senza sciabola)
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commenti
micheledecrecchio@gmail. com
30 agosto 2023 16:36
Secondo altri, la sua morte prematura fu dovuta alla tisi (tubercolosi), altro crudele morbo che, in epoca pre-antibiotica, stroncava spesso vite ancora molto giovani