2 giugno 1946, Cremona scelse la Repubblica con la maggioranza più alta della Lombardia. I comizi, le contrapposizioni, le scelte della Chiesa
Il 2 giugno 1946 elettori ed elettrici votarono su due schede: su una comparivano i simboli dei partiti per eleggere i membri della Assemblea Costituente, sull’altra si sceglieva tra il simbolo della Monarchia e quello della Repubblica. I cremonesi dettero una preferenza netta alla Repubblica.
La scelta repubblicana ebbe qui 144.808 voti, cioè il 65,2% (mentre la percentuale nazionale fu del 54,2%). Per contro la Monarchia ebbe 77.192 voti, pari al 34,7%, poco più della metà della Repubblica. Non dissimile il risultato complessivo del Collegio Mantova - Cremona: 304.275 contro 148.853. Ancora più netto il risultato nella città di Cremona, dove la Repubblica conseguì 29.843 voti (70,2%) contro 12.645 (29,8%). Infatti Cremona ebbe la più alta percentuale pro Repubblica tra le città capoluogo della Lombardia (e si collocò diciottesima tra le città d’Italia). Anche a Crema la Repubblica raggiunge un ottimo 67%. Il Comune con la più alta percentuale repubblicana fu Bonemerse con l’88%. Montodine e Casaletto Ceredano (alla pari) sono invece i Comuni in cui prevalse la monarchia con la percentuale più alta: 64%.
La vittoria venne celebrata con una festa affollatissima in Piazza del Comune, presenti il Sindaco Luigi Rossini con Ernesto Caporali e Piero Pressinotti (PSI), Giuseppe Cappi e Ottorino Rizzi (DC), il Maggiore dei Carabinieri Di Dato, il Comandante del Distretto Militare Col. Ziveri, il vice Prefetto Matteri, Francesco Frosi Presidente del CLN, il Prof. Puerari Direttore di “Fronte Democratico” (giornale del CLN, allora unico quotidiano locale), Angelo Formis e Verzeletti per la Camera del Lavoro, Giuseppe Gaeta e Dante Bernamonti per il PCI, Vittorio Dotti del PRI, Catalano per il Partito d’Azione, Levi per la Democrazia del Lavoro, Fiorino Soldi per il Fronte della Gioventù. Fu l'ultima volta che la piazza si riempì all'inverosimile a conclusione di quella lunga campagna refendaria, segnata dai grandi comizi. “Lotta di popolo”, il settimale del Pci cremonese, parlava di 40.000 intervenuti al comizio di Palmiro Togliatti il 26 in piazza Marconi, durato un'ora e venti minuti, ed anche “Fronte democratico” parla di una “folla strabocchevole”, attirata dal leader che aveva rivolto una chiara sollecitazione alla Dc a pronunciarsi a favore della Repubblica, come aveva già fatto in altre province, denunciando manovre monarchiche e intrighi. Altri 10.000 avrebbero gremito la piazza del Comune il 29 maggio in occasione del comizio di Giancarlo Pajetta, preceduto da quello di Pietro Nenni. Era un momento particolarmente caldo perchè per diversi giorni era divampata una polemica sulla posizione della Chiesa e sulla pastorale della Quaresima del vescovo Giovanni Cazzani in cui si riconosceva la necessità di opporsi “con tutte le forze al laicismo di Stato, alle dottrine di Marx e di Lenin, al divorzio, a chi nega il diritto della famiglia cristiana nella scuola” mantenendo un atteggiamento neutrale nei confronti della scelta tra repubblica e monarchia. Nella lettera si sosteneva che la religione cristiana era una delle basi di convivenza e dello stato e l'ossequio alle autorità era dovuto in quanto “afferma una rappresentanza divina in ogni legittima autorità”. Ne derivava che lo Stato non può essere “agnostico” e, quale sia l'ordinamento che esso si dà, la laicità è “inconcepibile” e la religione cattolica ne è una base di prim'ordine.
Il primo maggio si era intanto svolto il primo comizio unitario per la “repubblica dei lavoratori”, tenuto dal socialista Ernesto Caporali, dal cattolico Angelo Formis e dal comunista Dante Bernamonti. Il congresso del partito liberale del 3 maggio aveva approvato la mozione filo-monarchica ed il 10 maggio era arrivata la notizia dell'abdicazione e dell'esilio di Vittorio Emanuele III, criticata dal CLN cremonese in quanto “potrebbe sembrare una concessione al sentimento dominante nel popolo, tende invece a rafforzare la monarchia in conseguenza dell'insediamento diretto del Luogotenente nella funzione regia: con ciò pare minacciato il principio della tregua istituzionale”. Otto sono le liste che si presentano per elezioni nella circoscrizione Cremona-Mantova: Partito Comunista Italiano, Pc Internazionalista, Partito Repubblicano, Partito Socialista Italiano, Unione Democratica Nazionale, Blocco Nazionale Libertà, Partito d'Azione e Democrazia Cristiana.
Nell'ultima settima antecedente il voto si susseguirono i comizi: Mario Venanzi, comunista, presidente del CLN lombardo, parò al teatro Ponchielli; Filippo Jacini, per l'UDN, parlò di Stato non confessionale, di coscienza civile e concordia nazionale, ma senza alcun accenno alla questione istituzionale. Al cinema Enic (oggi l'ex Tognazzi) il repubblicano Ernesto Re tenne una conferenza sui contenuti essenziali della repubblica: le autonomia, una democrazia moderna, l'intervento diretto del popolo con lo strumento dei referendum. Maria Vezzini e Marina Barbieri, della commissione femminile della Dc, parlarono al Cittanova a favore della repubblica, adducendo come motivazioni il fatto che i Savoia avessere avuto posizioni massoniche e momenti di ostilità nei confronti dei cattolici. Altri comizi vennero tenuti da Giuseppe Cappi (DC), Giancarlo Pajetta (PCI), il socialista Mario Bracci, Ivanoe Bonomi (PDL), Porenza per il Blocco Nazionale. Particolarmente significativo il comizio di Pietro Nenni il 29 maggio in piazza del Comune, per sfatare il timore del “salto nel buio”, con un plauso dalla Dc per avere scelto una repubblica non “rossa” ma di “tutto il popolo italiano affratellato” ed un richiamo ai cremonesi Ettore Sacchi e Leonida Bissolati che, pur repubblicani avevano visto nella monarchia sabauda un ruolo positivo, purtroppo poi confluito in altra direzione.
In realtà vi fu all’interno della DC un confronto ed un travaglio sulla scelta tra Repubblica e Monarchia. La DC organizzò, a livello nazionale, un referendum interno molto partecipato nel quale prevalse l’orientamento repubblicano, solo un quinto scarso degli iscritti si pronunciò per la monarchia, “agnostico” circa un quarto dei votanti. Su 836.812 votanti il 60% (504.085) si pronunciò per la repubblica, il 17% (146.061) per la monarchia, il 23% (187.666) si dichiarò neutrale. Nel gruppo dirigente della DC cremonese l’orientamento repubblicano si era mostrato già nel 1945 come piuttosto nettamente prevalente.
Giuseppe Cappi, uno dei massimi rappresentanti della DC cremonese e dirigente di livello nazionale, dichiara “la Repubblica è per mio conto preferibile “, essa però dovrà garantire le “libertà democratiche, di pensiero, di parola, di stampa, di associazione, di culto, di voto, di insegnamento, di proprietà , di successione ereditaria”. Nettamente convinte della scelta repubblicana si mostrarono l’area giovanile, quella derivante dal filone delle “leghe bianche”, delle Fiamme verdi e del sindacalismo. Pur essendo presente nelle sue file un’ala moderata filo monarchica la DC non condivise la campagna delle forze monarchiche basate sulla semina di inconsulte paure verso la scelta repubblicana come “salto nel buio”, “sanguinosa rivoluzione” e così via. Anche nei confronti del voto alle donne lil giudizio positivo è totale, cone aveva giò avuto modo di affermare Giuseppe Cappi al primo congresso provinciale, quando aveva chiarito “che l'attività politica della donna non la strapperà a quei compiti e funzioni familiari che le sojo proprie, ma penso che se ogni po' d'ann metterà uan scheda sull'urna e parteciperà alla elezione di quel governo che dovrà decidere l'avvenire loro e dei loro figli non sarà dannoso né ingiusto”. E sul settimanale “La riscossa” velia Goldani Nizzotti scriveva che è stato molto dannoso non aver ascolatto il paerere delle donne che a stragrande maggioranza erano contro la guerra, con l'invito conclusivo alle donne a dare “il voto a uomini valenti”.
Nel Partito Socialista l’orientamento per la Repubblica è invece chiarissimo ed incontrastato. Emilio Zanoni conduce con particolare enfasi la battaglia dalle colonne de “L’Eco del Popolo. “O Repubblica santa il tuo vessillo sull’alto Quirinale a l’aura ondeggi” è il titolo a tutta pagina del giornale il 1° giugno. Si rivendicano quali caratteri del nuovo Stato repubblicano la sovranità del Parlamento e lo sviluppo della democrazia ad ogni livello, il rispetto di tutte le libertà e dei diritti del cittadino, la laicità, forme di autogoverno nell’economia e nel sociale, le autonomie locali, l’assoluta indipendenza della magistratura. Particolarmente aspra ed argomentata la critica all’operato dalla casa regnante. Contradditorio è invece l'atteggiamento ne confronti del voto alle donne che lo stesso Zanoni avrebbe potuto rappresentare una pericolosa incognita per l'influenza massiccia esercitata dal clero sull'elettorato femminile.
Come per il Partito Socialista (col quale vigeva un forte patto di unità e si condividevano numerose iniziative comuni) l’impegno repubblicano del PCI è nettissimo e vigoroso. Accanto ai contenuti istituzionali i comunisti esaltano, del futuro Stato repubblicano, il carattere antifascista e le innovazioni sociali a favore delle classi lavoratrici. Parola d’ordine con cui titola il giornale provinciale del partito: “Viva la repubblica democratica dei lavoratori”. Una parte consistente della propaganda è volta a difendersi dalle accuse relative alla libertà religiosa nella futura Repubblica. Lo farà in particolare Palmiro Togliatti nella storica grandiosa manifestazione che tenne in Piazza Marconi il 26 marzo 46. Nel loro complesso anche a Cremona i voti degli elettori socialisti e comunisti furono compatti e determinanti per la scelta repubblicana.
Repubblicani e Partito d'Azione, con alla testa personalità di notevole spessore come Dotti, Catalano, Speranzini ed altri, sono naturalmente per la Repubblica, in modo acceso, spesso anche polemico verso ambiguità e reticenze di qualche forza del CLN. Ne rivendicano la primogenitura per la storica continuità con le radici risorgimentali e mazziniane. Sottolineano anche drasticamente il tema della laicità dello Stato. Per loro parla a Cremona, in piazza del Comune, il Ministro Cianca.
Il Partito dei Democratici del Lavoro è presente a Cremona e si ispira sia al socialismo riformista di Bissolati che al liberalismo. A livello nazionale si proclama agnostico, a Cremona propende per la Repubblica ma senza scaldarsi troppo. Il comizio più importante è quello di Ivanoe Bonomi, al Teatro Ponchielli, che ebbe strascichi polemici perché vi furono aperte contestazioni da parte di alcuni repubblicani presenti.
Il Fronte della Gioventù era l’organizzazione che riuniva i giovani di tutte le formazioni del CLN. Suo organo di stampa era “L’Avvenire”, assai vivace, su linee molto innovatrici e spesso polemiche. Fiorino Soldi vi scrive affermazioni come: “Il popolo soffre la fame e la miseria e l’incuria dei ricchi è troppo atroce”, implicita critica ad una insufficiente radicalità dell’azione del CLN. Mario Coppetti rivolge accuse al CLN perché ha al suo interno troppe forze che frenano le urgenti riforme sociali. L’organizzazione ed il suo giornale sono dunque decisamente per la Repubblica.
Di destra e chiaramente in prima fila a sostegno della Monarchia è il Blocco Nazionale della Libertà. Per la Monarchia si pronunciano anche il Fronte dell’Uomo Qualunque ed il Partito Liberale Italiano. Per le prime due formazioni citate non emergono particolari episodi degni di nota riferiti al nostro territorio, forte e caratterizzante invece la dialettica interna ai liberali cremonesi. Più che a livello nazionale da noi erano presenti nel gruppo dirigente qualificati elementi antifascisti, progressisti e repubblicani che si contrapponevano alla pur forte ala moderata e conservatrice. Tanto che la Sezione liberale di Cremona si pronunciò pubblicamente per la Repubblica. Per questo quando, a livello nazionale, prevalse nel partito l’opzione monarchica, parecchi esponenti di punta ed intellettuali del PLI cremonese si dimisero dalle cariche ricoperte. Tra essi: Gianfranco Taglietti, Giangaleazzo Biazzi Vergani, Mauro Masone, Giorgio Valgimigli, Luigi Di Stefano, Giacomo Salvalaggio e Gianluigi Piazza. Tutto ciò portò naturalmente ad una posizione pubblica molto prudente e contradditoria nel referendum. Nel principale comizio del PLI a Cremona l’oratore, Filippo Jacini, sostenne che contenuti di libertà, progresso e democrazia dello Stato possono essere compatibili sia con l’una che con l’altra forma istituzionale.
Il clero ed il mondo cattolico parteciparono intensamente e direttamente alla campagna referendaria ma soprattutto a quella per la elezione della Costituente. Amplissimo lo spazio dedicato alla politica nelle pagine del settimanale della Curia “Vita Cattolica”. Il legame con la DC, se non è ancora formalizzato, è solido e sostanziale mentre è aperta l’ostilità verso comunisti e socialisti (ma anche verso il Partito d’Azione ed il PRI per il loro laicismo). Circa la scelta tra Monarchia e Repubblica si lascia ai fedeli libertà di scelta. Qua e là trapela una certa maggiore simpatia per la tradizione e la monarchia, ma anche nei suoi confronti - a fianco di timori ed analisi critiche sulla forma repubblicana - vi sono giudizi storici negativi e diffidenza. Quello che davvero conta per la Chiesa, nel caso di vittoria della Repubblica, è il peso che deve avere la DC nei rapporti di forza con le sinistre. Sarà infatti con trasparente sollievo che “Vita Cattolica” titolerà a tutta pagina sul risultato del Referendum e per la Costituente: “Sotto le insegne di Cristo nasce la nuova Repubblica Italiana”.
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