800 anni fa moriva San Domenico di Guzmàn. I tanti legami con Cremona
Oggi, mercoledì 4 agosto, alle 19, nella Basilica patriarcale di San Domenico in Bologna, il cardinale Matteo Maria Zuppi presiederà una solenne concelebrazione in occasione dell’ottavo centenario della morte di San Domenico di Guzmàn (1170-1221), recentemente definito da Papa Francesco, proprio per questo importante anniversario, un “autentico predicatore di grazia” nell’Europa del suo tempo. Alla funzione nel sacro edificio in cui San Domenico riposa, parteciperanno, tra gli altri, anche l’attuale maestro dell’Ordine dei predicatori (così sono definiti i Domenicani), il filippino fra’ Gerard Francisco Timoner III. Un appuntamento importante che avviene alla vigilia della morte del fondatore dell’Ordine mendicante (sorto in parallelo con quello dei francescani) avvenuta proprio a Bologna, il 6 agosto di 800 anni fa. Ed è qui che si “materializza” il legame con Cremona. Infatti San Domenico morì in una cella “presa a prestito” dal suo confratello, l’inquisitore Fra Moneta da Cremona che a Bologna fu professore di filosofia, maestro delle arti e decise di farsi frate domenicano nel 1120 proprio dopo aver conosciuto Domenico di Guzmàn. Una figura, quella di Frà Moneta, che andrebbe senz’altro riscoperta e approfondita. Fu autore del trattato antiereticale Adversus catharos et valdese, opera, composta in cinque libri che esamina dettagliatamente la dottrina catara, confutandone ogni singola tesi. Gli studiosi considerano questa opera tra le più importanti fonti per la conoscenza dell’eresia catara. All’interno del trattato spiccano inoltre tre trattazioni a carattere specificamente filosofico che prendono in esame il problema dell’immortalità dell’anima, dell’eternità del mondo e del necessitarismo. Da una analisi delle fonti utilizzate da Fra Moneta, compiuta da storici e studiosi sono stati anche riscontrati numerosi parallelismi con le opere di Guglielmo d’Auvergne e di Maimonide. Il domenicano va quindi considerato come una tappa fondamentale per la storia del pensiero.
Infine, la ricorrenza dell’ottavo centenario della morte di San Domenico di Guzmàn, non può che far riemergere una delle pagine più buie dell’ottocento cittadino, vale a dire la demolizione del grandioso complesso monastico di San Domenico, al quale pochi anni fa è stata per altro dedicata una tesi di dottorato, all’Università degli Studi di Milano, a cura di Adam Ferrari. Il complesso di San Domenico, lo ricordiamo, era ubicato nel cuore di Cremona, dove ora sorgono i giardini di piazzale Roma. L’abbattimento avvenne in un’epoca notoriamente caratterizzata da un largo sentimento anticlericale, alimentato anche dalla stampa locale (e non) e dalla politica. Nonostante i numerosi tentativi di evitare il peggio da parte anche di illuminati personaggi di Cremona (e non), non ci fu nulla da fare. Come ricordano le fonti storiche la chiesa conventuale, dedicata al fondatore dell’Ordine dei predicatori, era di dimensioni analoghe alla vicina cattedrale. I rilievi dell’architetto Carlo Visioli datati 1862, evidenziano che la chiesa era lunga 85 metri, 35 erano i metri di ampiezza del profondo transetto e 22 quelli delle tre navate. I pilastri che sostenevano le volte avevano un diametro di 1,75 e un’altezza di 7,75 metri. La torre campanaria, completata a cavallo tra Quattro e Cinquecento, era alta 62 metri e costituiva il secondo campanile cittadino, secondo solo al celebre Torrazzo. La storia della perduta San Domenico, simile a quella di tanti altri complessi religiosi abbattuti nel corso dell’Ottocento, è stata solo in parte salvata, grazie alla presenza, ancora oggi, di opere d’arte che ornavano il grande complesso religioso e storico.
Nelle foto l'arca di San Domenico e fra Moneta da Cremona
Eremita del Po
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