95 anni fa lo scempio in piazza. Per realizzare il palazzo degli Agricoltori demolito l'antico isolato. Fu la prima costruzione voluta dal regime di Farinacci nel 1929
Novantacinque anni fa la piazza del Duomo acquistava la sua fisionomia attuale. La acquistava a spese dell'antico quartiere posto a nord della Cattedrale, demolito per lasciare spazio al nuovo palazzo degli Agricoltori, la prima delle grandi demolizioni volute dal regime fascista che aveva affidato all'ingegner Nino Mori
il compito di farsi interprete della nuova grandeur farinacciana. Inaugurando nel 1929 la prima importante realizzazione il fascismo poteva insediarsi nel cuore stesso della città: una presa di possesso dal forte con tenuto simbolico e dalle pesanti conseguenze sul piano urbanistico prima e sociale poi, che avrebbe modificato in modo irreversibile il volto stesso della città. Ci erano voluti alcuni anni, per sistemare le cose dopo quell'ottobre del 1922. Anni spesi a mettere in atto la nuova normalizzazione. Ora era giunto il momento di imporsi anche visivamente alla città, collocando nel centro della città la sede di quell'associazione che più di tutte aveva pagato le prime lotte contadine e che ora aveva necessità di ritrovare, all'ombra della Cattedrale e del Palazzo Comunale, sicurezza sociale e potere politico. Una scelta che, se da un lato obbediva a quel mai sopito desiderio di rettifilo urbanistico, eliminando tutto quanto fosse difforme da questa concezione di equilibrio, dall'altro veniva anche a tranquillizzare gli agricoltori sulla paventata possibilità che fosse trasferito in una zona periferica il mercato settimanale. Ma giocava anche a favore di questa trasformazione il desiderio degli amministratori di intervenire demolendo quegli edifici di scarso valore economico sostituendoli con altri maggiormente qualificati. In questo senso si sarebbe chiuso il quarto lato della piazza con un edificio "dignitoso" che non sfigurasse nel contesto monumentale. I risultati, come possiamo osservare confrontando le due fotografie della piazza prima e dopo l'intervento (la seconda scattata da Ernesto Fazioli), sono stati da questo punto di vista sicuramente deludenti se non peggiorativi. So- prattutto nella scelta delle finte archeggiature in marmo di ispirazione classica, che dovrebbero rappresentare il pendant del portico della Bertazzola da un lato e del palazzo comunale dall'altro e che invece risultano decisamente dozzinali. Il palazzo degli agricoltori si inseriva a sua volta in un preciso quanto discutibile disegno urbanistico che prevedeva il trasferimento del mercato dalla sua originale sede in piazza Cavour nella vicina zona di piazza Sant'Angelo, demolendo l'intero quartiere. In alternativa vi era stata un'altra proposta che avrebbe previsto addirittura l'utilizzo dell'area di palazzo Galizioli dopo averlo demolito. In realtà nessuna delle due venne realizzata: sulle macerie di palazzo Galizioli venne costruito l'attuale edificio della Ras, mentre il mercato, pensato dapprima come sotterraneo, poi in superficie con padiglioni fuori venne alla fine accantonato, e rimase solo, a documentare lo scempio, l'isolato palazzo dell'arte, iniziato nel 1941 e terminato solo nel dopoguerra.
"Il "comitato d'affari" farinacciano lavorava grosso modo secondo questo schema collaudato - osserva l'architetto Michele de Crecchio - individuazione di un grosso ente finanziatore, di norma romano e spesso collegato al capitale pubblico; sbrigativo esproprio coattivo degli edifici interessati dell'operazione immobiliare (demolizione integrale e ricostruzione intensiva di interi isolati urbani); affidamento sistematico dei progetti all'ing. Mori, ottimo organizzatore, poco appassionato progettista, ma fedelissimo braccio operativo del gerarca locale; rapida esecuzione dei lavori, spesso neppure preceduta dal rilascio di regolare licenza edilizia da parte della mortificata autorità comunale. In queste condizioni, parlare di "qualità" a proposito dell'architettura del periodo fascista e, in particolare, di quella più direttamente promossa dal pote- re politico locale, è impresa invero problematica. L'ingegner Nino Mori, pur dotato di spiccate capacità manageriali, non era infatti in grado da solo di esprimere un linguaggio architettonico coerente e dignitoso di qualità. La sua attività progettuale utilizzava sistematicamente il contributo iniziale di qualche buon professionista (l'arch. Rastelli per le prime opere, l'arch. Baciocchi per la Galleria ecc.), professionista che era poi destinato a restare nell'ombra finendo per occuparsi soprattutto solo degli interni. Le idee del suggeritore iniziale venivano di fatto rielaborate dal vero progettista del regime: l'aiutante di studio, il disegnatore Giulio Bentivegna, invero abile a recuperare gli stilemi più correnti del gusto "littorio", quella rozza contaminazione di razionalismo e di novecentismo che andava allora di moda e nella quale eccelleva Marcello Piacentini, l'architetto prediletto da Mussolini che, proprio nella vicinissima Brescia (piazza Vittoria), stava in quegli stessi anni dando forma alle ridicole ambizioni edilizie del regime. Quasi nessuna delle opere ufficialmente ispirate dal regime può salvarsi, in generale, da questo giudizio impietoso: piazza Duomo è ancora oggi deturpata dal brutto finto porticato di ispirazione romana che caratterizza la sede degli agricoltori; il palazzo dell'INPS (oggi ospitante il cinema Tognazzi) richiama solo goffamente certe soluzioni del Novocomum di Terragni; i "birilloni" di granito rosa che adornano la tristissima galleria XXIII marzo (oggi XXV Aprile) ne accentuano in modo tragicomico la goffa architettura; decisamente orrendo risulta poi il "tricolore" della facciata della Casa delle Corporazioni (oggi Camera di Commercio), purtroppo esaltato dalla brutta siste- mazione recentemente realizzata della piazza antistante".
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commenti
Michele de Crecchio
11 maggio 2024 23:12
Onorato di vedere citate parti di un mio vecchio scritto, ho poco da aggiungere: chi volesse ulteriormente approfondire l'argomento dovrebbe ritrovare quanto ebbi a scrivere, più recentemente, su Facebook in merito alla particolare conformazione degli antichissimi e gradevoli edifici purtroppo allora demoliti.
Ritengo però doveroso aggiungere che la mia ipotesi al riguardo del contributo del Baciocchi alla progettazione della galleria XXV Aprile è stato recentemente confermata da una tesi universitaria (relatore il compianto arch. Luciano Roncai) che ha individuato in una celebre galleria milanese (me ne sfugge il nome), perpendicolare al corso Venezia, la scuola del Portaluppi che, proprio attraverso il suo allievo Baciocchi, finì per influenzare in misura assai significativa la galleria cremonese, consentendo di superare radicalmente le prime modeste ipotesi progettuali elaborate dal tandem Mori -Bentivegna. Ricordo che il Baciocchi, dopo la guerra, divenne un professionista di notevoli capacità e fortuna. Come nel caso del Cocchia (per il Palazzo dell'Arte), anche nel caso del Baciocchi, probabilmente anch'esso consigliato al Mori dallo stesso Farinacci, il "ras" cremonese sembra aver avuto un notevole intuito (o dei buoni consiglieri) nella valutazione delle potenzialità dei giovani architetti.
Quanto infine alla piazza antistante l'attuale Camera di Commercio, credo che alla sua ultima "sistemazione" (quella che i cremonesi ricordano soprattutto per la contestata "pensilina", poi eliminata "a furor di popolo") non poco abbia contribuito anche l'architetto oggi progettista della contestatissima ipotesi di nuovo ospedale cittadino.