A San Camillo festa per il beato Enrico Rebuschini, «piccolo prete dei malati, che insegna alla Chiesa l’essenziale»
Testimone di una santità feriale, con una vita accanto ai malati e ai fragili. Il beato Enrico Rebuschini, morto il 10 maggio 1938 a Cremona, vive ancora nella memoria dei cremonesi. Così, la mattina di venerdì 10 maggio, nell’86° anniversario della scomparsa, il vescovo Antonio Napolioni ha presieduto la Messa in sua memoria, celebrata nella cappella della casa di cura S. Camillo di Cremona, dove padre Rebuschini svolse buona parte del suo ministero.
L’Eucaristia è stata concelebrata da alcuni sacerdoti diocesani, tra cui il vicario episcopale per il Clero e il Coordinamento pastorale, don Gianpaolo Maccagni, il rettore della comunità camilliana, padre Virginio Bebber, mons. Attilio Cibolini, rettore della Cattedrale, e don Enrico Maggi, delegato episcopale per la Vita consacrata. Presenti alla celebrazione anche i padri e i fratelli camilliana, il personale sanitario della struttura, una delegazione delle suore delle Figlie di San Camillo, e la rappresentanza cremonese dell’opera nazionale “Caduti senza croce”. Nell’assemblea anche le autorità del territorio, nelle persone del sindaco di Cremona, Gianluca Galimberti, del prefetto Corrado Conforto Galli, del comandante provinciale dei Carabinieri, Paolo Sambataro, e del comandante della Guardia di Finanza di Cremona, Massimo Dell’Anna. «Una festa della comunità camilliana, ma anche di tutta la comunità cremonese – ha sottolineato padre Virginio Bebber nei saluti iniziali –, in quanto il beato Enrico si è sempre sentito parte di questa comunità ecclesiale». E nel saluto un auspicio: quello di non accontentarsi di quanto fatto, ma di spingersi oltre nel servizio dei fratelli e dei malati, seguendo l’esempio del Beato, un uomo semplice, ma dal cuore grande.
L’omelia del vescovo si è aperta con un monito: «Non rifiutare al povero il necessario per la vita». Anche se, in questo periodo, nel mondo c’è chi sistematicamente fa tutto per rifiutarlo. «Sistematicamente distruggono le case, gli ospedali, impediscono l’arrivo del cibo e dei medicinali. Distruggono la vita», ha aggiunto mons. Napolioni. «Una spirale diabolica in cui cadiamo ancora una volta». In un mondo in cui si spendono 2.280 miliardi in armi, invece che per curare il pianeta e per sfamare le folle, il suggerimento del vescovo è quello di seguire l’esempio del beato Rebuschini, anch’egli vissuto in tempo di guerra: «Come lui possiamo scegliere di continuare a curare i corpi e le anime, testimoniando che c’è un’altra logica». Non l’odio, non la via della distruzione, nemmeno la strada strada dell’indifferenza, ma quella da seguire è la via del «cuore guarito e reso capace di cura, di tutto l’umano», sulla scia della testimonianza di «un piccolo prete dei malati, che insegna alla Chiesa l’essenziale». E allora l’invito è quello di «non rifiutare al povero il necessario per la vita, ma, anzi, condividilo e anche la tua vita sarà in abbondanza».
Al termine della celebrazione, chiusa dalla preghiera per i caduti senza croce, il vescovo Napolioni, accompagnato da padre Bebber, ha fatto visita agli ospiti della struttura di via Mantova.
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